Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18327 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. III, 09/07/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 09/07/2019), n.18327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.V., F.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DUILIO, 13, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA GRECO,

rappresentati e difesi dagli avvocati VALENTINO FIORIO difensore di

sè medesimo, PAOLO MARIO SILVIO FIORIO, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

V.S., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO ECUADOR N. 6,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA MASSAFRA, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ALBERTO TEALDI, UMBERTO DENTIS

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1542/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/02/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GILNNITI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,

in subordine rigetto;

udito l’Avvocato PAOLO MARIO SILVIO FIORIO;

udito l’Avvocato ALBERTO TEALDI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1.La Corte di appello di Torino con sentenza n. 1542/2017, pronunciando sulla impugnazione principale e sulle impugnazioni incidentali proposte avverso la sentenza n. 5399/2016 del Tribunale di Torino, in parziale riforma di quest’ultima:

– da un lato, previa dichiarazione del difetto di legittimazione passiva di V.S., ha dichiarato che la società Cesj S.r.l. aveva occupato senza titolo i locali di proprietà dei ricorrenti siti in (OMISSIS), dal (OMISSIS) e, per l’effetto, ha condannato la società Cesj s.r.l. a corrispondere ai ricorrenti, a titolo di indennità di occupazione senza titolo dell’immobile, Euro 79.650,00, già detratti Euro 1.950,00 versati nell’agosto 2014, oltre interessi legali dalle singole scadenze mensili sino alla domanda e da questa al saldo ex art. 1284 c.c., comma 4;

-dall’altro, ha dichiarato tenuti e quindi condannato F.V. e C., in solido tra loro, a pagare alla società Cesj s.r.l. Euro 61.848,46 (IVA inclusa) oltre interessi legali ex art. 1284 c.c., comma 4, dalla domanda al saldo.

E, per l’effetto, ha dichiarati compensati i reciproci crediti sino a concorrenza, respingendo ogni altra domanda.

2. Era accaduto che F.C. e V. avevano convenuto davanti al Tribunale di Torino la società Cesj s.r.l. e V.S., chiedendo: a) in via principale, la condanna dei convenuti: al rilascio dell’immobile (sito in (OMISSIS)), da essi occupato senza titolo; al pagamento dell’indennità di occupazione del predetto immobile (indicata in Euro 3.750,00 mensili dal 1.3.2014 oltre ad Euro 350,00 mensili per spese e detratti Euro 1.950,00 versati ad agosto 2014) ed al risarcimento del danno; b) in via subordinata, qualora fosse stato accertato il perfezionamento di un contratto di locazione, declaratoria di intervenuta risoluzione per inadempimento dello stesso, con condanna al rilascio ed al pagamento dei corrispettivi dovuti.

A seguito di ricorso per accertamento tecnico preventivo, si era costituita la società Cesj s.r.l.: a) dichiarandosi disponibile al rilascio; b) resistendo alle domande di pagamento dell’indennità di occupazione e di risarcimento del danno; c) chiedendo in via riconvenzionale, la condanna dei ricorrenti al pagamento dei lavori eseguiti, come accertati nel separato procedimento per accertamento tecnico preventivo dalla stessa promosso, e dell’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile; d) e chiedendo in via subordinata di compensare il proprio credito con le pretese avversarie eventualmente riconosciute.

V.S. si era a sua volta costituita, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e resistendo al ricorso.

Il Tribunale di Torino – dopo aver rilevato che l’immobile era stato rilasciato il 29.2.2016 in seguito ad ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.; e dopo aver confermato detta ordinanza:

a) aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata da V.;

b) aveva accertato che: tra le parti erano intercorse lunghe e articolate trattative dirette alla stipula di un contratto ad uso diverso di abitazione senza giungersi ad alcuna stipula; il canone di locazione sarebbe dovuto ammontare ad Euro 3.750,00 mensili ma era stato ridotto sino al 31.7.2016 per agevolare l’inizio del rapporto locatizio, tenuto conto dei lavori realizzati dalla conduttrice; la conduttrice aveva ottenuto le chiavi dell’immobile dal 18.2.2014;

c) aveva ritenuto dovuta in solido dai convenuti l’indennità di occupazione, che aveva quantificato in Euro 88.050,00 determinandola sul canone mensile concordato moltiplicato per il numero di mesi di occupazione;

d) aveva respinto, per difetto di prova anche sul pregiudizio risarcibile, la domanda di pagamento degli oneri accessori e la domanda di risarcimento del danno, esposto in Euro 24.600,00;

e) aveva accolto la domanda riconvenzionale di rimborso delle riparazioni straordinarie e di pagamento dell’indennità formulata ex art. 1150 c.c., ovvero in via residuale anche ex art. 2041 c.c. (escludendola ex art. 1592 c.c. in difetto di contratto di locazione), quantificando in Euro 61.848,46 (IVA inclusa) l’importo dovuto, facendo proprie le valutazioni espresse dal consulente tecnico nominato nel procedimento di accertamento tecnico preventivo;

f) aveva quindi compensato tra le parti i crediti reciprochi sino a concorrenza ed aveva condannato i resistenti a rifondere ai ricorrenti 1/3 delle spese del grado come liquidate, ponendo in solido tra tutte le parti le spese dell’accertamento tecnico preventivo.

Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società Cesj S.r.l..

F.C. e V. si erano costituiti, resistendo all’impugnazione e spiegando appello incidentale.

Si era costituita anche V.S. proponendo a sua volta appello incidentale.

La Corte territoriale con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado.

3.Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso F.C. e V., articolando 12 motivi.

Ha resistito ai primi 5 motivi con controricorso V.S.. In vista dell’odierna udienza entrambe le parti hanno prodotto memoria a sostegno dei rispettivi assunti.

All’odierna udienza il Procuratore Generale ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, come pure ha chiesto il difensore della V., mentre il difensore dei ricorrenti ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Il ricorso è affidato a 12 motivi.

1.1. I primi cinque motivi concernono il difetto di legittimazione passiva della V., che è stato affermato dalla Corte territoriale.

F.C. e V. denunciano:

-con il primo motivo (p. 12), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi e controversi costituiti: a) dalla mancata spendita da parte della V. del nome della Cesj s.r.l. (di cui la V. era stata nominata liquidatore) al momento delle trattative, svoltesi tra novembre 2013 e marzo 2014 e della consegna delle chiavi dell’immobile alla V. avvenuta nel mese di febbraio 2014 (p.14); b) dalla spendita del nome della Cesj (con richiesta di intestare a quest’ultima il contratto) soltanto nel mese di luglio 2014 (p.17), ovvero successivamente all’individuazione del contenuto essenziale del contratto, alla consegna delle chiavi alla V. e solo dopo 4 mesi di occupazione dell’immobile da parte V. (unitamente alla Cesj); c) dallo stato di liquidazione della Cesj s.r.l. al momento della consegna delle chiavi dell’immobile alla V. (p. 19), con conseguente impossibilità per quest’ultima (nella sua qualità di liquidatore della società) compiere atti non finalizzati alla liquidazione (quale per l’appunto era la presa in locazione di un immobile di pregio di 500 mq); d) dal fatto che la V. aveva riferito che si sarebbe impegnata a revocare lo stato di liquidazione entro l’anno ed aveva invitato a stampare e firmare il contratto, che sarebbe stato da lei sottoscritto il successivo 4 agosto. Sostengono che la Vizzani era di certo il soggetto passivamente legittimato per la domanda di rilascio dei locali e per il pagamento delle indennità e dei danni per abusiva occupazione, in quanto era stata colei che, proponendosi come locatore, aveva abusivamente ottenuto la disponibilità dei locali, assumendo personalmente e senza spendere il nome della società (asseritamente) rappresentata precisi impegni in ordine al canone ed alla durata del contratto. Deducono che la V. non aveva speso il nome della società ed aveva contrattato in proprio, ottenendo la consegna dei locali, per poi chiedere che i conseguenti impegni fossero assunti dalla società (di cui era liquidatrice). Affermano che la Corte territoriale, se avesse esaminato i suddetti fatti, avrebbe affermato la legittimazione passiva della V.;

– con il secondo motivo (p. 24), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1388,1705,2208 e 2697 c.c. (in forza del quale colui che voglia imputare gli effetti dei propri atti al soggetto asseritamente rappresentato e non a sè stesso deve provare la spendita del nome del rappresentato), nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che gli atti negoziali e prenegoziali, posti in essere dalla V., potessero essere imputati alla Cesj s.r.l. in forza della sola circostanza che la V. ricopriva la carica di liquidatore della società, senza verificare se la medesima aveva provato di aver speso il nome della società o di aver fatto mai presente di agire nell’interesse di soggetto diverso da sè medesima al quale avrebbero dovuto essere imputati gli effetti giuridici delle proprie azioni;

– con il terzo motivo (p. 30), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto non provato, nonostante la mancata contestazione (fino all’atto di appello) e la produzione di fotografie (che ritraevano la camera da letto con baldacchino, lavatrice, decine di calzature, indumenti e borse, biancheria intima lasciata sui mobili dell’appartamento), il fatto che la V. aveva abusivamente occupato e utilizzato l’immobile per proprie esigenze non professionali;

– con il quarto motivo (p. 35), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame del fatto decisivo e controverso costituito dal fatto che la V., nonostante le loro allegazioni, non aveva contestato per tutto il giudizio di primo grado di aver occupato l’immobile per proprie esigenze personali;

– con il quinto motivo (p. 36), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno da parte; deducono di aver chiesto nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la condanna della V. al risarcimento del danno anche per violazione del dovere di buona fede, in quanto la stessa, pur avendo occupato i locali, aveva indicato soltanto 4 mesi dopo che il conduttore sarebbe stato la società Cesj in liquidazione; sottolineano che detta domanda, ritenuta assorbita dal giudice di primo grado, era stata riproposta nel giudizio di appello, ma non aveva formato oggetto di esame da parte della Corte territoriale.

1.2. I motivi dal sesto al dodicesimo concernono l’indennizzo per i lavori eseguiti, la condanna al pagamento dei quali è stata confermata dalla Corte territoriale.

F.C. e V. denunciano:

– con il sesto motivo (p. 40), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. e della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 2 bis, 3 e 22 nella parte in cui la Corte ha affermato che la Cesj era soggetto terzo, in quanto il contratto di comodato verbale, che aveva consentito a detta società ed alla V. di occupare l’immobile dal mese di febbraio al mese di luglio 2014 (in vista del costituendo rapporto di locazione, che le parti si erano impegnate a formalizzare a far data del 1 agosto 2014), era nullo ai sensi dell’art. 1, comma 346 citato. Sostengono che, al contrario, detto contratto era valido, con la conseguenza che: a) la Cesj non avrebbe dovuto essere considerato soggetto terzo; b) non avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 936 c.c.; c) avrebbe dovuto essere loro riconosciuto l’indennizzo richiesto;

– con il settimo motivo (p. 42), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, nella parte in cui la Corte territoriale, in assenza di domanda di parte, ha rilevato d’ufficio la nullità del contratto di comodato (intercorso tra le parti tra i mesi di marzo 2014 e luglio 2014) senza avere assegnato alle parti un termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione; si dolgono che la Corte ha così operato un accertamento in fatto (mancata registrazione del contratto) ed in diritto (sua conseguente nullità), senza sviluppare sullo stesso il doveroso contraddittorio tra le parti;

-con l’ottavo motivo (p. 44), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame del fatto decisivo e controverso, costituito dall’intervenuto accordo (in forza del quale la V., a fronte di una riduzione iniziale del canone, avrebbe eseguito a proprie cura e spese alcuni lavori nell’immobile per risistemarli alle proprie esigenze), autonomo e distinto rispetto al comodato; deducono che la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare se in forza di detto autonomo accordo la Cesj potesse essere considerata quale soggetto terzo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 936 c.c. (che trova applicazione solo quando l’autore delle opere sia realmente terzo rispetto al proprietario del suolo, non essendo allo stesso legato da un rapporto negoziale, che gli abbia attribuito il diritto di costruire);

-con il nono motivo (p. 48), violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto applicabile l’art. 936 c.c. nonostante che, come emerso in sede di atp, fossero stati fatti eseguire lavori diversi dalla realizzazione di opere o costruzioni (quali opere di pulizia, decorazione, rimozione dei corpi illuminanti, arredi, ritocchi agli impianti, ecc.); si dolgono che la Corte, nonostante le eccezioni sollevate in entrambi i giudizi di merito, ha affermato l’applicabilità dell’art. 936 c.c. senza verificare se le opere in concreto realizzate fossero addizioni idonee a determinare l’incorporazione di nuove costruzioni nel loro appartamento;

– con il decimo motivo (p. 50), omesso esame di un fatto decisivo e controverso, costituito dal fatto che le opere – asseritamente eseguite dalla Cesj, ed accertate nella CTU svolta nel procedimento di ATP – non erano costruzioni idonee a determinare l’incorporazione di nuove costruzioni nel loro alloggio;

– con l’undicesimo motivo (p. 51), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c. e art. 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale, sulla base degli accertamenti effettuati in sede di atp, ha affermato il diritto della società Cesj all’indennizzo richiesto ex art. 936 c.c. in misura pari all’asserito incremento valore dell’immobile (individuato in sede di atp), nonostante essi ricorrenti avessero eccepito che l’indennizzo doveva essere limitato al valore dei beni e della manodopera e la Cesj non aveva provato le spese sostenute; sostengono che l’art. 936, comma 3 attribuisce al proprietario la scelta se l’indennizzo debba essere parametrato all’incremento di valore oppure ai costi per i materiali e per la manodopera;

– con il dodicesimo motivo (p. 57), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame del fatto decisivo e controverso, costituito dal fatto che la Cesj non aveva provato i costi effettivamente sostenuti per cui non aveva diritto ad alcuna indennità per i lavori eseguiti; ribadiscono che, a tutto voler concedere, l’indennità dovuta alla Cesj doveva essere in ogni caso contenuta nei costi che la società avesse effettivamente provato di aver sostenuto e che, poichè la Cesj non aveva dato prova di alcun pagamento, essi nulla dovevano.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Inammissibili sono i primi cinque motivi, che, in quanto strettamente connessi, si trattano qui congiuntamente.

La Corte territoriale ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della V. sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) dalla visura prodotta risultava che Cesj S.r.l. all’epoca dei fatti era in stato di liquidazione e che suo liquidatore, nominato con atto del 25.11.2013 iscritto nel registro imprese il 3.2.2014 (quindi in epoca comunque prossima al periodo di occupazione accertato dal primo giudice), era per l’appunto la V.;

b) dall’esposizione contenuta nel ricorso introduttivo di primo grado emergeva che le trattative, condotte dalla V., erano tese a far concludere a Cesj il contratto di locazione (ad uso non abitativo), circostanza questa che trovava conferma nella bozza del contratto di locazione, dove era indicata Cesj S.r.l. quale conduttrice;

c) è del tutto logico e normale che le trattative siano condotte dal legale rappresentante del soggetto che poi avrebbe sottoscritta il contratto di locazione anche con riferimento alla disponibilità di accesso ai locali.

In definitiva, secondo la Corte, non vi è motivo per ritenere che la V. avesse agito, occupando senza titolo l’immobile, in proprio e congiuntamente alla società da essa rappresentata; in senso contrario non è rilevante osservare che erano stati trovati nell’immobile indumenti ritenuti di proprietà della V.; d’altronde è indubbio che le spese per le migliorie apportate all’immobile erano state sostenute dalla Cesj (pur essendo contestato il diritto della Cesj alla restituzione di tali importi). E l’accertata estraneità alla vicenda della V. determina l’assorbimento delle altre censure da essa sollevate.

A fronte dell’articolata motivazione che precede, occorre ricordare che la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti (privilegiando alcune e disattendendone altre), è mancipio esclusivo del giudice di merito, sempre che questi dia contezza con motivazione adeguata e congrua del criterio adottato. Poichè ciò nella specie è avvenuto, il ritenuto difetto di legittimazione passiva della V. è insindacabile nella presente sede di legittimità.

2.2. Inammissibili sono altresì i motivi dal sesto al dodicesimo.

La Corte ha confermato la statuizione del primo giudice in punto di diritto della società Cesj ad ottenere il rimborso per le riparazioni straordinarie e l’indennità per i miglioramenti sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) il consulente tecnico nominato nel procedimento di accertamento tecnico preventivo aveva accertato che le riparazioni straordinarie ed i miglioramenti eseguiti da Cesj S.r.l. avevano avuto come conseguenza un incremento di valore dell’immobile di proprietà dei F. per Euro 61.848,46 (Euro 50.880,06 oltre IVA), pari al totale delle spese effettuate;

b) nella specie era applicabile l’art. 936 c.c., in quanto premesso che i F. non avevano mai chiesto la rimozione delle opere ed erano scaduti sei mesi dal giorno in cui gli stessi avevano avuto notizia dell’esecuzione delle opere (termine sulla cui decorrenza non vi era stato rilievo alcuno da parte dei F.) l’obbligo dell’indennizzo è una conseguenza derivante, a carico del proprietario del suolo, dall’espansione del suo diritto sulle opere di cui non abbia chiesto la rimozione; l’acquisto, a titolo originario, si verifica ipso jure, ipsoque facto, essendo la manifestazione di volontà necessaria solo per evitare l’acquisto (nel caso in cui, invece, sia pretesa la loro rimozione); donde l’obbligazione al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera ovvero dell’incremento di valore, che ha natura di indennizzo;

c) Cesj S.r.l., in quanto occupante senza titolo dell’immobile di proprietà dei F., era terza rispetto ad essi, nemmeno essendo sussistente tra dette parti alcun rapporto contrattuale di comodato (che, se fosse stato provato, sarebbe stato comunque nullo ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, in assenza di registrazione).

In definitiva, secondo la Corte, i F. sono tenuti a corrispondere ex art. 936 c.c. alla società Cesj s.r.l. l’aumento di valore recato al fondo, nella misura indicata dal consulente tecnico con valutazione condivisibile e congruamente motivata, confermandosi, sul punto, la statuizione del primo giudice, sia pur con differente motivazione.

Anche in relazione a detta statuizione i ricorrenti chiedono nella sostanza a questa Corte una nuova e diversa valutazione di dati processuali, dimenticando che detta nuova valutazione non è ammissibile in sede di legittimità ogniqualvolta, come per l’appunto nel caso di specie, la valutazione e l’accertamento effettuati dalla Corte territoriale non presentino vizi logici e giuridici.

2.3. Occorre aggiungere che i motivi proposti sono stati formalmente rubricati in relazione a vizi normativamente previsti come deducibili nel giudizio di legittimità.

Senonchè, quanto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la denuncia di violazione di legge, correttamente rubricata, pone sempre un problema interpretativo, in quanto consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta, prevista da una norma di legge.

Quanto infine al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, non incorre nel vizio di omesso esame circa un fatto decisivo e controverso il giudice di merito che, nel pronunciare la sentenza impugnata, abbia fatto debitamente uso dei propri poteri di selezione delle fonti di prova e di formazione del proprio libero convincimento. Anche il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile in sede di legittimità, non essendo inquadrabile nel paradigma del vizio motivazionale. Pertanto, questa Corte, sempre che non ricorra il vizio dell’omesso esame, non può esercitare poteri di controllo sulla motivazione della sentenza.

Orbene, i motivi in esame sono inammissibili in quanto: da un lato, non pongono alcun problema interpretativo inerente l’applicazione delle norme (che, in tesi difensiva, sarebbero state violate dal giudice di appello, nel riformare la sentenza di primo grado); e, dall’altro, non denunciano l’omesso esame di alcun fatto (inteso nella sua accezione storico fenomenica, come insegnato dalle Sezioni Unite con sentenza 8054/2014).

In definitiva, tutti i motivi non denunciano un vizio di legittimità, ma sono nella sostanza diretti ad ottenere un nuovo esame del merito della vicenda, nuovo esame che, come è noto, è precluso a questa Corte.

3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla V., nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo. Nulla è dovuto alla società Cesj, in difetto di attività difensiva.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, sostenute dalla controricorrente V., spese che liquida in Euro 7.200, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge;

– nulla sulle spese in relazione all’altra parte intimata, in difetto di attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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