Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18326 del 19/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 19/09/2016), n.18326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17916-2012 proposto da:

COMUNE DI CELLATICA, P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIA NUOVA 96,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROLFO, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO BEZZI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MONTE AMIATA 33, presso lo studio dell’avvocato MICHELA FUSCO,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO

VASAPOLLI, ROBERTO MANCINI, MICHELE AGOSTINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 31/05/2012 R.G.N. 673/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato FUSCO MICHELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 31 maggio 2012 la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha dichiarato illegittimi i due licenziamenti irrogati il (OMISSIS) alla dipendente B.F. dal Comune di Cellatica ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001 per assenza ingiustificata protratta per oltre tre giorni, anche non continuativi, nel (OMISSIS). La Corte, ritenuta necessaria (nonostante la specifica e tipizzata previsione normativa) la verifica della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi della giusta causa di risoluzione del contratto, ha rinvenuto, nella condotta della lavoratrice, i profili della buona fede trattandosi di madre di una bambina minore affetta da handicap che aveva chiesto, infruttuosamente – per l’arco temporale (OMISSIS) – la fruizione di un periodo di aspettativa non retribuita e considerato, inoltre, il comportamento dell’ente che aveva proceduto ad un’unica contestazione disciplinare per poi adottare plurimi provvedimenti e che non aveva avvertito la lavoratrice dell’esaurimento di tutto l’arco temporale previsto dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 47 a titolo di congedo per malattia della figlia. In assenza di connotazioni di gravità tali da giustificare la sanzione espulsiva, il giudice di merito ha disposto la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro.

Avverso la sentenza impugnata ricorre il Comune con tre motivi. Resiste la B. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. b) nonchè vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale ha erroneamente recuperato spazi discrezionali e valutativi della giusta causa di licenziamento di contro esclusi dal legislatore il quale, enucleando – con la modifica apportata con il D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69 – ipotesi tipizzate di licenziamento ha attribuito rilievo pressochè autonomo al dato oggettivo dell’assenza protratta nel triennio, cui non può conseguire, da parte datoriale pubblica, altra reazione se non quella del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro. Rileva, inoltre, parte ricorrente come nonostante le indiscutibili difficoltà derivanti alla lavoratrice dalla disabilità della figlia – la B. avesse fruito a più riprese di permessi speciali e, in genere, di assenze giustificate per ragioni familiari e/o di salute e che rientra, pertanto, nella comune e minima diligenza del dipendente tenere il computo dei giorni a propria disposizione e di quelli mancanti alla necessaria ripresa dell’attività lavorativa. Si deduce, inoltre, che la Corte territoriale ha, in particolare, confuso le problematiche della figlia disabile (che negli anni addietro hanno trovato ampia comprensione da parte del Comune, che a più riprese è venuto incontro alle particolari esigenze della lavoratrice, consentendo l’ampio utilizzo di tutti gli strumenti posti dall’ordinamento a tutela di situazioni svantaggiate) con l’osservanza dei doveri di ufficio a cui è tenuto ogni dipendente, che – nel caso di specie – doveva essere rinvenuta nella condotta tenuta dalla lavoratrice in epoca anteriore e successiva ai fatti addebitati, condotta che è, invece, stata improntata al dispregio delle più elementari regole che il pubblico dipendente è tenuto a seguire (come evidenziato nella memoria autorizzata del 19.9.2011, a cui il Comune rinvia, ove si è sottolineato che la B. l’8.7.2011 non rientrava dal congedo parentale usufruito D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 32).

2. Con il secondo motivo il Comune denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. b) nonchè vizio di motivazione, avendo, la Corte territoriale, censurato la condotta dell’ente pubblico per non aver tempestivamente preavvisato la B. dell’esaurimento dei giorni di congedo dalla stessa fruibili, non sussistendo un siffatto onere a carico del datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 25 del CCNL comparto Regioni Enti locali stipulato il 6.7.1995 nonchè vizio di motivazione ove il giudice di merito ha censurato l’adozione di una pluralità di sanzioni disciplinari in conseguenza di una condotta unitaria della dipendente, essendosi, il Comune, limitato ad ottemperare alla previsione legislativa che prevede il decorso di tre giorni di assenza ingiustificata per integrare la fattispecie normativa.

4. Preliminarmente, non può ravvisarsi – nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dal Comune – una chiara ed effettiva determinazione a rinunciare al ricorso in Cassazione. Invero, la memoria, che riporta la rubrica “Note per l’udienza del 5.7.2016. Rinuncia al ricorso”, si compendia nella comunicazione di un successivo licenziamento (intimato alla B. in data (OMISSIS)) e nella produzione della sentenza della Corte di appello di Brescia n. 274/2014 di declaratoria di legittimità di tale provvedimento espulsivo, senza manifestare, peraltro, una chiara ed incontrovertibile volontà dell’ente di abbandonare la presente controversia.

5. I motivi, strettamente connessi tra loro, sono fondati.

Il legislatore del 2009 ha integralmente sostituito il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 inserendo, fra l’altro, l’art. 55 quater nel quale, fermi gli istituti più generali del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, sono state introdotte e tipizzate alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento. Tra queste è prevista l’ipotesi dell’assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiori a tre nell’arco di un biennio.

14. L’art. 55 quater, comma 1 dispone, invero, che, “Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione del licenziamento disciplinare, nei seguenti casi: (…) b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione”.

La disposizione ha introdotto una tipizzazione di fattispecie di illeciti disciplinari per i quali è prevista l’applicazione del licenziamento. Si pone, quindi, il problema di verificare se – una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma – il licenziamento sia una conseguenza automatica e necessaria ovvero se l’amministrazione conservi il potere-dovere di valutare l’effettiva portata dell’illecito, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell’ipotesi in cui il fatto presenti caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento.

Sul piano strettamente letterale, la nuova normativa offre spunti in senso opposto: da una parte, si prevede che si applichi “comunque” il licenziamento ove ricorrano le fattispecie tipizzate ma, dall’altra parte, viene richiamato il generale principio di proporzionalità enunciato dall’art. 2106 c.c. (D.Lgs. n. 165, art. 55, comma 2, primo periodo) e viene mantenuta “ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo”, con implicito richiamo del consolidato orientamento giurisprudenziale relativo alle c.d. norme elastiche ed alla verifica di legittimità demandata al giudice. Il D.Lgs. n. 165, art. 55 septies può soccorrere per una interpretazione di valenza sistematica solamente nelle ipotesi di assenze imputabili a malattia, che non concerne il caso di specie.

Non apparendo dirimente il criterio letterale, come già sottolineato da questa Corte (cfr. Cass. n. 1351/2016), l’esame della giurisprudenza costituzionale impone di privilegiare una ermeneusi “morbida” (come definita dallo stesso ricorrente) che consenta di ritenere che, anche in presenza di uno degli illeciti elencati dalla disposizione, l’amministrazione sia tenuta a svolgere il procedimento disciplinare all’esito del quale, valutate tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, la ricorrenza di circostanze influenti sull’intensità del dolo o la gravità della colpa in senso attenuante della responsabilità del dipendente, può irrogare anche una sanzione conservativa. Deve, quindi, escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione. Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.) e quelli fondamentali di ragionevolezza (art. 3 Cost. Cfr. Corte Cost. n. 971/1988 e Corte Cost. n. 706/1996 in materia di destituzione di diritto; Corte Cost. n. 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati).

6. Deve, ritenersi, allora, che la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a “scriminante” della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa. In particolare, con riguardo all’assenza non giustificata, la tipizzazione ex ante effettuata dal legislatore onera il lavoratore di dedurre e fornire elementi che consentano (in primis all’Amministrazione e, successivamente ed eventualmente, al giudice) di valutare la ricorrenza di circostanze tali da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa, in tal senso comprendendo sia l’adempimento della prestazione principale sia tutto il corredo degli obblighi strumentali di correttezza e diligenza, e tali, quindi, da giustificare la condotta tenuta dal lavoratore seppur coincidente con la tipizzazione (oggettiva) effettuata dal legislatore.

7. Ebbene, nel caso di specie, non sussistono dubbi sul fatto che, dal punto di vista oggettivo, il comportamento contestato alla lavoratrice integrava la fattispecie tipizzata al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. b ricorrendo tre giorni di assenza non giustificati nell’arco di un mese ((OMISSIS)).

La Corte territoriale non ha, peraltro, adeguatamente valutato la gravità dell’inadempimento con riguardo agli elementi soggettivi e, in particolare non ha considerato se l’adempimento, da parte della B., dei doveri d’ufficio (con riferimento alla comunicazione delle ragioni di assenza e, soprattutto, all’utilizzo di tutti gli istituti a disposizione del dipendente che si trovi in una situazione di svantaggio, quali ferie e permessi, per giustificare le assenze) doveva ritenersi, e per quale ragione, comportamento non esigibile, dovendosi ritenere – viceversa – rientrare nella normale diligenza del lavoratore il rispetto dell’orario di lavoro e delle condizioni di fruizione (previa richiesta) di pause, ferie e in generale di cause di sospensione del rapporto di lavoro previste dalla legge o dal contratto collettivo.

8. Deve, in conclusione affermarsi il principio di diritto secondo cui ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, lett. b) l’assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio consente l’intimazione della sanzione disciplinare del licenziamento purchè non ricorrano elementi che assurgono a “scriminante” della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa.

9. Per le ragioni esposte il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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