Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18326 del 07/09/2011
Cassazione civile sez. lav., 07/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 07/09/2011), n.18326
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 8871/2010 proposto da:
C.M.A. (OMISSIS) titolare della
omonima individuale in proprio nonchè L.F. e
L.I. nella qualità di eredi di L.T.,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PELLEGRINO MATTEUCCI 41,
presso lo studio dell’avvocato PITITTO ANTONIO, rappresentati e
difesi dall’avvocato PERRINO Michele, giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrenti –
contro
V.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEL BANCO DI S. SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato
AUGUSTO D’OTTAVI, rappresentato e difeso dall’avvocato SPERATI
Isidoro, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2811/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
4.4.08, depositata il 07/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
25/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ELISABETTA
CESQUI.
Fatto
MOTIVI
La Corte pronuncia in Camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380-bis.
La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza con cui il Tribunale della stessa sede aveva condannato L.T. e C.M.A., in solido tra loro, a pagare ad V.E. la somma complessiva di Euro 22.693,52, oltre accessori, a titolo di differenze retributive, indennità per ferie non godute e t.f.r. in relazione al rapporto di lavoro intrattenuto dal medesimo, in qualità di fornaio, dal settembre 1999 al 17.6.2000, presso il panificio gestito dai convenuti.
Preliminarmente la Corte di merito disattendeva l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado per la parte svoltasi successivamente all’ordinanza di estinzione del processo e alla revoca della medesima da parte dallo stesso giudice di primo grado.
Al riguardo la Corte, rievocate le circostanze che avevano condotto il giudice a dichiarare l’estinzione del giudizio, e ritenuto che effettivamente il provvedimento era stato emanato ingiustificatamente (in conseguenza della mancata comparizione delle parti correlata alla erronea trascrizione sul ruolo dell’udienza di rinvio), osservava che, nonostante l’orientamento giurisprudenziale sulla appellabilità dei provvedimenti del giudice monocratico dichiarativi dell’estinzione del processo, non doveva escludersi l’applicabilità anche del principio, di cui all’art. 177 c.p.c., relativo alla modificabilità e revocabilità delle ordinanze, non ricorrendo nella specie alcuna delle eccezioni elencate dall’art. 177, comma 3 (ordinanze pronunciate su accordo delle parti e ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge).
C.M.A. e, nella qualità di eredi di L.T., F. e L.I., ricorrono per cassazione con tre motivi. L’intimato resiste con controricorso.
I primi due motivi, che sono esaminati congiuntamente per la loro connessione, censurano la sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo di appello relativo alla nullità del giudizio di primo grado e della relativa sentenza causata dalla irrituale revoca del provvedimento dichiarativo della estinzione del giudizio, il quale, invece, stante la sua natura decisoria, avrebbe potuto essere contestato solo mediante atto di appello.
Le censure in esame sono qualificabili come manifestamente fondate.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente rilevato che il provvedimento dichiarativo della estinzione del giudizio adottato dal giudice monocratico ha natura sostanziale di sentenza, anche se pronunciato in forma di decreto o di ordinanza e quindi, se pronunciato in primo grado, è suscettibile di appello, analogamente ad ogni altro provvedimento avente analoga portata decisoria, si risolva esso in una sentenza definitiva o anche non definitiva (cfr. Cass. n. 17780/2003, 2237/2005, 8041/2006, 6023/2007, 14592/2007).
La decisorietà del provvedimento e la sua qualificabilità come sentenza rendono evidentemente inapplicabile la regola sulla revocabilità delle ordinanze. Risulta quindi indubbiamente irrituale la revoca dell’ordinanza e la ripresa della trattazione del giudizio.
Rimane assorbito il terzo motivo, relativo alla contestata legittimazione passiva e responsabilità solidale del L..
Il ricorso deve quindi essere accolto in accoglimento dei primi due motivi, con cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, dato che il giudizio non avrebbe potuto proseguire successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di estinzione del processo.
Le anomalie che hanno caratterizzato l’iter processuale consigliano la compensazione per giusti motivi dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2011