Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18324 del 31/07/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18324 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 25028-2007 proposto da:
BRIZI

ADRIANA

BRZDRN27C52D024C,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo
studio dell’avvocato DI MEO STEFANO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BULLERI
CARLO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1074

contro

FALESIEDI MARIO FLSMRA68A04C773S, D’ASCENZI MARIA
SANTA DSCMSN67C41F419E, domiciliati ex lege in ROMA
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

1

Data pubblicazione: 31/07/2013

rappresentati e difesi dall’avvocato ROSSI FRANCO
giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

PANTALEI FRANCESCO;

avverso la sentenza n. 1444/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/03/2007, R.G.N.
7020/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/05/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito l’Avvocato STEFANO DI MEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

2

– intimato –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 25 luglio 1996 Adriana Brizi
convenne innanzi al Tribunale di Civitavecchia Mario Falasiedi
e Maria D’Ascenzi chiedendo che venisse accertato e dichiarato
il suo diritto di riscattare il fondo dagli stessi acquistato

in quanto proprietaria coltivatrice diretta di un terreno
confinante con quello compravenduto.
I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono le avverse
pretese. Chiesero, ed ottennero, di chiamare in causa
l’alienante Francesco Pantalei.
Con sentenza n. 427 del 2002 il giudice adito accolse la
domanda.
La decisione, impugnata dai soccombenti, è stata riformata
dalla Corte d’appello di Roma che, in data 28 marzo 2007, ha
rigettato la domanda della Brizi.
Nel motivare il suo convincimento ha osservato il decidente che
il giudice di prime cure non aveva valutato le risultanze
istruttorie in relazione al disposto dell’art. 31 della n. 606
del 1966, in base al quale, ai fini dell’esercizio della
prelazione e del riscatto, la complessiva forza lavorativa del
nucleo familiare non doveva essere inferiore ad un terzo di
quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del
fondo e per l’allevamento e il governo del bestiame.
Considerato allora che la Brizi poteva contare sul lavoro
proprio e del marito; che la stessa era già proprietaria di un

3

in spregio al diritto di prelazione a lei spettante per legge,

fondo di oltre otto ettari, mentre quello per il quale aveva
esercitato il riscatto era esteso più di sette ettari; che le
prove espletate avevano dimostrato che l’attrice e il coniuge
da almeno venti anni si avvalevano dell’ausilio di terzi nella
coltivazione, e che, in alcune occasioni avevano concesso in

la coppia di coltivatori aveva all’incirca settanta anni e che
entrambi da lunga pezza percepivano la pensione INPS di
invalidità, doveva escludersi che la famiglia coltivatrice
avesse una forza lavorativa pari ad almeno un terzo di quella
occorrente per la coltivazione di un fondo esteso oltre sedici
ettari.
Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione Adriana Brizi,
formulando tre motivi e notificando l’atto a Mario Falesiedi,
Maria Santa D’Ascenzi e Francesco Pantalei.
Resistono i primi due con controricorso, mentre nessuna
attività difensiva ha svolto l’altro intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo l’impugnante lamenta vizi motivazionali

con riferimento alla negativa valutazione della sua idoneità
allo svolgimento dell’attività agricola. Secondo l’esponente il
giudice di merito avrebbe fatto malgoverno delle prove
acquisite, univocamente dimostrative della sufficienza della
forza lavorativa di cui il nucleo familiare poteva disporre, a
far fronte alla coltivazione anche di un terreno di grosse
dimensioni.

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affitto parte del fondo; che infine, all’epoca della vendita,

1.2

Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione

dell’art. 31 della legge n. 590 del 1965, per avere il
decidente escluso la possibilità di qualificare lei e il marito
coltivatori diretti, per il solo fatto che, per la cura del
fondo, si avvalevano della collaborazione di soggetti terzi.

della legge n. 590 del 1965, per avere la Corte territoriale
ritenuto che l’età della Brizi, all’epoca dei fatti, fosse
elemento di per sé idoneo ad escludere il riconoscimento, in
capo alla stessa, della qualifica di coltivatrice diretta,
malgrado il comprovato svolgimento dell’attività agricola, in
maniera abituale.
2

Le

censure,

che

si

prestano

a

essere

esaminate

congiuntamente, per la loro evidente connessione, sono, per
certi aspetti inammissibili, per altri infondate.
Sotto il primo profilo, esse, nella parte in cui predicano la
perdurante sussistenza, in capo all’esponente e a suo marito,
dei requisiti ai quali la legge ricollega la qualifica di
coltivatore diretto, sono eccentriche rispetto alle argomentate
ragioni della decisione. La Corte territoriale non ha invero
rigettato la domanda di riscatto perché ha ritenuto la Brizi
priva di quella qualifica, quanto piuttosto perché ha escluso
che la forza lavorativa della stessa e del relativo nucleo
familiare raggiungesse la consistenza richiesta dalla legge in
relazione al fondo per il quale la retraente intendeva

5

1.3 Con il terzo motivo torna a dedurre violazione dell’art. 31

esercitare la prelazione, in aggiunta agli altri già posseduti
in proprietà.
La norma di riferimento era cioè, ad onta del richiamo al
disposto dell’art. 31 della n. 606 del 1966

(recitius,

art. 31

legge 26 maggio 1965, n. 590), il comb. disp. degli artt. 8

Convalida tale convincimento il rilievo che la congruità della
forza lavorativa della quale la Brizi poteva disporre è stata
parametrata non già alle necessità di coltivazione del fondo
nella attuale disponibilità della retraente, ma a quelle del
terreno in prospettiva alla stessa devoluta, in caso di
positivo esperimento dell’azione, in conformità alle specifiche
disposizioni in materia di prelazione e di retratto, le quali
esigono che il fondo per il quale il coltivatore intende
esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente
posseduti in proprietà od enfiteusi non superi

il triplo della

superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua
famiglia.
3 Sotto altro, concorrente profilo va poi rilevato che la Corte

territoriale ha argomentato l’esito negativo dello scrutinio in
ordine alla sussistenza dei presupposti per il vittorioso
esperimento del retratto con il richiamo ad elementi
estremamente sintomatici della capacità lavorativa della
famiglia coltivatrice, quali il sistematico ricorso all’ausilio
di terzi nella coltivazione dei fondi già posseduti, la

6

legge 26 maggio 1965, n. 590, e 7 legge 14 agosto 1971, n. 817.

concessione in affitto di parte degli stessi, il conclamato
stato di invalidità della retraente e del di lei marito.
Ne deriva che le scelta decisoria adottata è esaustivamente e
congruamente motivata.
In tale contesto le critiche formulate dalla ricorrente,

di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, tendono solo a
sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa
in sede di legittimità.
Il ricorso è respinto.
La ricorrente rifonderà ai resistenti vittoriosi le spese del
giudizio, nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi
euro 4.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e
CPA, come per legge.
Roma, 15 maggio 2013

attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di legge e

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