Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18323 del 07/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 07/09/2011), n.18323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.A.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato

VACIRCA SERGIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LALLI CLAUDIO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 296/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del

18/02/09, depositata il 05/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. ELISABETTA CESQUI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

Il Tribunale di Chieti accoglieva la domanda proposta da F. M.A.M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dirette alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo dal 31.

10.1998 al 31.1.1999, giustificata con il riferimento ad “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, si sperimentazione di nuovi servizi ed in attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

A seguito di appello della s.p.a. Poste italiane, la Corte d’appello de L’Aquila accoglieva l’impugnazione limitatamente alla detrazione dalle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno dell’aliunde perceptum risultante dalla documentazione in atti.

La società ha proposto ricorso con tre motivi, notificato il 6 marzo 2010 (data della consegna). L’intimata ha depositato controricorso notificato il 21.1.2011 (data della richiesta) e quindi oltre il relativo termine di decadenza, fissato a pena di inammissibilità.

Memoria delle Poste.

Il ricorso appare qualificabile come manifestamente infondato.

Il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2 e vizi di motivazione, lamenta insufficiente e ed erronea motivazione in relazione all’eccezione di risoluzione consensuale del rapporti di lavoro per mutuo consenso.

Il motivo è qualificabile come inammissibile in quanto con lo stesso viene criticata una motivazione che sul punto sarebbe contenuta nella sentenza impugnata (che sarebbe basata sulla tesi che le Poste avrebbero dovuto dedurre e chiedere di provare ulteriori elementi oltre al mero trascorrere del tempo) e che nella stessa invece non è presente. D’altra parte, il ricorso omette di precisare quali sarebbero state le specifiche deduzioni formulate dell’attuale ricorrente sul punto in primo grado e in appello e quali elementi di fatto caratterizzerebbero la fattispecie. Del resto nel conclusivo quesito di diritto è assente un riferimento, sia pure a livello di una certa astrazione, agli elementi della specie.

Il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 1363 c.c. e segg., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimamente apposto il termine ai contratti di lavoro, in particolare nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del 30.4.1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.1997, sostenendo con vari argomenti che, in sostanza, se si analizza tanto l’accordo del 25.9.1997 quanto la disciplina collettiva posteriore alla sua stipula, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., è evidente che tali accordi hanno sempre avuto mera natura ricognitiva di una situazione contingente e non fissano alcun termine temporale.

Il motivo deve essere disatteso, in base all’indirizzo in materia, ormai consolidato, recepito da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4.8.2008 n. 21063, v. anche Cass. 20.4.2006 n. 9245, Cass. 7.3.2005 n. 4862, Cass. 26.7.2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4.8.2008 n. 21062, Cass. 23.8.2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23.8.2006 n. 18383, Cass. 14.4.2005 n. 7745, Cass. 14.2.2004 n. 2866).

In particolare, quindi, nella specie, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1.10.2007 n. 20608, Cass. 27.3.2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

In base a tale orientamento e al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti l’interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29.7.2005 n. 15969 e Cass. 21.3.2007 n. 6703), deve ritenersi che giustificatamente, in relazione all’epoca di stipulazione del contratto di lavoro, la Corte di merito abbia ritenuto nella specie l’invalidità del relativo termine.

Il terzo motivo, con deduzione di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di vizi di motivazione, censura il capo relativo al risarcimento del danno, prospettando la violazione dei principi in tema di onere della prova relativamente al danno questione.

Il motivo appare qualificabile come inammissibile, in quanto trascura che, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, senza costituire oggetto di specifica censura, in appello il capo della sentenza di primo grado relativo al risarcimento del danno ha formato oggetto di doglianza per quanto riguarda la mancata deduzione dell’aliunde perceptum e la doglianza stessa è stata recepita, disponendosi la detrazione dell’aliunde perceptum risultante dagli atti e tale tenore della statuizione non è stato preso in considerazione e censurato.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Nulla per le spese stante la inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2011

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