Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18322 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. III, 09/07/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 09/07/2019), n.18322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22596-2017 proposto da:

V.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SALVATORE CHIARAMONTE giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO SIRAGUSA giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.M.T. ha convenuto in giudizio V.G. per ottenere da quest’ultimo il risarcimento dei danni subiti dalla sua vettura, guidata dal figlio, in occasione di un incidente stradale provocato da acqua fuoriuscita dal terreno di proprietà del V., che, inondando il tratto stradale antistante, ha comportato lo slittamento del veicolo, che, conseguentemente, ha finito la sua corsa contro un muro.

Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda.

Su appello del danneggiato, quello di secondo grado ha invece ritenuto responsabile il V. traendo convincimento sia dalla relazione di servizio dei carabinieri, che dalla deposizione di uno di essi, da cui sarebbe in particolare emerso che l’acqua che rendeva pericolosa la strada proveniva proprio dal villino del V., escludendo che potesse invece farsi ricadere la responsabilità sulla Provincia, proprietaria della strada, sia perchè l’acqua proveniva dal fondo privato, sia perchè non v’era prova che la pozza fosse risalente al punto da consentire un intervento in tempo utile ad evitare l’incidente.

Il V. censura questa decisione con cinque motivi di ricorso, avverso i quali v’è controricorso della danneggiata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato, nei termini che seguono.

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2699 e 2700 c.c.. Ritiene infatti che la decisione impugnata ha attribuito valore di fede privilegiata alle dichiarazioni contenute nella relazione di servizio dei carabinieri, cui ha riconosciuto la natura di atto pubblico.

In particolare, la sentenza della corte avrebbe assunto a fonte privilegiata di prova sia la constatazione da parte dei carabinieri della esistenza della pozza, che la dichiarazione loro rivolta dal V. di non avere allaccio fognario.

Il ricorrente censura questa ratio osservando come la relazione di servizio dei carabinieri non abbia in realtà natura di atto pubblico, e dunque non può costituire fonte di prova privilegiata, ossia vincibile con ogni mezzo.

Il motivo è inammissibile.

Esso non coglie la ratio della decisione impugnata, che non attribuisce natura di atto pubblico al verbale dei carabinieri intervenuti sul posto, quanto piuttosto ne afferma la rilevanza probatoria sulla dinamica dell’incidente.

E’ infatti da ribadire che “il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria” (Cass. 20025/2016, est. Armano).

2.- Il secondo motivo denuncia una erronea interpretazione dell’art. 2051 c.c., secondo il ricorrente, frainteso dalla corte di merito relativamente alla eventuale responsabilità della Provincia.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha escluso la responsabilità dell’ente pubblico sia in quanto l’acqua proveniva dal privato sia per difetto di prova della formazione risalente della pozza.

In realtà, sotto l’apparente vizio di violazione di legge, il ricorrente si duole di una non condivisibile valutazione delle prove, ed in particolare di quanto emerso circa l’inesistenza di opere di contenimento a bordo strada.

Secondo il ricorrente, quelle prove, se adeguatamente valutate, avrebbero indotto la corte a considerare che le fuoriuscite di acqua erano continue e dunque risalenti nel tempo, tanto a sufficienza da dare modo alla Provincia di eliminarle. Ma si tratta di elemento di fatto di cui si chiede una diversa valorizzazione rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, con conseguente inammissibilità del motivo, che non censura invero una erronea interpretazione della norma, bensì una supposta erronea valutazione delle prove, valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, ed incensurabile in Cassazione se non sotto il profilo dell’errore percettivo, qui però non fatto valere.

Va da sè peraltro che la corte di appello ha escluso la responsabilità della Provincia anche perchè le fuoriuscite provenivano dal privato, non già come conseguenza di una erronea interpretazione della norma, bensì, dunque, come esito dell’apprezzamento dei fatti e delle prove emerse in giudizio.

3- Il terzo motivo assume una falsa applicazione dell’art. 2043 c.c..

In realtà, la corte di appello, dopo aver ritenuto una responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.), ha tuttavia ipotizzato che si possa anche configurare una responsabilità ex art. 2043 c.c., attesa la consapevolezza della fuoriuscita dell’acqua.

Due rilievi sono mossi a questa ipotesi, che tutto sommato appare, nella economia della sentenza, come mero obiter.

Il primo è che non sarebbe ammissibile una responsabilità cumulativa per entrambi i titoli (artt. 2051 e 2043 c.c.), il che è vero, ma non è nella ratio della sentenza, che si limita ad ipotizzare alternativamente una responsabilità ex art. 2043 c.c.dopo aver preferito l’altra.

La seconda è che la corte imputa al ricorrente un fatto illecito ex art. 2043 c.c. ritenendo la colpa, ma senza prova alcuna dell’elemento soggettivo, ed anche qui occorre ribadire che si tratta di una ipotesi che non costituisce la ratio della decisione, fondata invece sul criterio di imputazione da omessa custodia.

4.- Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ma in realtà mira ad una rivalutazione degli elementi di fatto.

Va ricordato che in materia di ricorso per cassazione, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 27033/2018; Cass. 9356/2017).

Il ricorrente, invece, denuncia proprio l’errore di valutazione in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel valutare i fatti e le prove, e come tale è inammissibile.

In particolare si duole della erronea valutazione circa l’attendibilità del teste D..

Il ricorrente assume come errore percettivo quello che, tutto sommato, egli stesso ritiene invece un errore di valutazione (“La corte, intanto, sembra incappare, in un evidente equivoco interpretativo nel descrivere… le caratteristiche dei sistemi di acque reflue utilizzabili ed in particolare della c.d. fossa IMHOF”). Che il motivo miri ad una diversa, e qui inammissibile, valutazione delle prove, risulta chiaramente dal tenore stesso delle censure mosse alla sentenza, nella parte in cui si legge che: ” la valutazione del materiale probatorio acquisito, operata dal Giudice di secondo grado, inoltre, non si è rivelata ispirata dalla dovuta prudenza”. Il che equivale a dolersi, per l’appunto, non di un errore di percezione, ma di valutazione delle prove.

5.- Il quinto motivo è del tutto inammissibile. Secondo il ricorrente la corte di appello avrebbe commesso violazione dell’art. 91 c.p.c., in quanto avrebbe dovuto condannare l’appellante alle spese di giudizio. Ma l’appellante ha vinto l’appello ed è in ragione di tale esito che non è stata condannata alle spese.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 2400,00 Euro, oltre 200,00 si spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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