Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18319 del 19/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 19/09/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 19/09/2016), n.18319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16642/2015 proposto da:

F.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CHISIMAIO 29, presso lo studio dell’avvocato OLIVIA POLIMANTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO POMPILIO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO

CASULLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PIETRO ICHINO, GUGLIELMO BURRAGATO e GAETANO CHIAVETTA, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 429/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 25/05/2015, R.G. N. 1630/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato SAVERIO CASULLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25 maggio 2015, la Corte d’Appello di Catanzaro, pronunziando in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, confermava la decisione del Tribunale di Cosenza e rigettava la domanda proposta da F.P. nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., alle cui dipendenze il primo operava con mansioni di gestore di affari presso la Filiale di (OMISSIS), avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in relazione ad indebite operazioni di ricarica su carte prepagate intestate alla moglie e a sè stesso implicanti la distrazione di somme a carico di rapporti bancari facenti capo a clienti nonchè l’accertamento del comportamento mobizzante patito ad opera della Banca con riconoscimento dei conseguenti danni non patrimoniali.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto l’infondatezza dell’eccepita tardività della contestazione degli addebiti, mai negati nella loro materialità e l’inammissibilità della domanda di accertamento del mobbing a motivo dell’esclusione del dichiarato nesso con la mancanza disciplinare posta a base del licenziamento.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il F., affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la Banca, che ha poi presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè dell’art. 2119 c.c., in una con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio fatto oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità della statuizione in ordine alla tempestività della elevata contestazione disciplinare, non avendo la Corte stessa tenuto in adeguata considerazione la circostanza, determinante ai predetti fini, per la quale la Banca già dal 26 aprile 2011 avrebbe avuto piena contezza delle condotte ritenute disciplinarmente rilevanti, verificatesi tra il 20 e d il 22 aprile, in relazione alle quali solo il 24 giugno successivo avrebbe disposto nei confronti del ricorrente la sospensione cautelare dal servizio, cui avrebbe fatto seguito il 7 settembre l’invio della contestazione ed il 2 dicembre l’intimazione del licenziamento disciplinare.

Il motivo deve ritenersi infondato non ravvisandosi la pur denunciata violazione di legge, attinente al mancato rispetto del principio di tempestività della contestazione e del licenziamento disciplinare irrogato, che troverebbe fondamento laddove le censure mosse valessero ad evidenziare una lesione del diritto di difesa del ricorrente, la quale, viceversa, risulta soltanto enunciata, laddove si consideri che il preteso ritardo nello sviluppo del procedimento disciplinare, giustificato dalla Corte territoriale con motivazione non fatta oggetto di specifica critica, limitandosi al riguardo il ricorrente a far rilevare il dato per cui della condotta ascritta la Banca era a conoscenza già a pochi giorni dall’accaduto, è ancora ed incongruamente ricondotto dal ricorrente ad un presunto intento della Banca di “coprire” quelle operazioni “disinvolte” cui, nel ricorso introduttivo, lo stesso asseriva di essere stato costretto e che indicava a motivo del comportamento mobizzante della Banca originariamente denunciato, visto che di quella allegazione e della statuizione che nei due successivi gradi di merito ne ha ritenuto l’inconsistenza il ricorrente in questa sede non fa più questione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.800,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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