Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18318 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. II, 03/09/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 03/09/2020), n.18318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19478-2019 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in Ancona, Corso Mazzini n.

100, rappresentato e difeso dall’avv.to MARCO GIORGETTI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 12/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 12 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da M.P., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili. Egli non era stato in grado di circostanziare la vicenda su fatti essenziali determinanti l’espatrio. Aveva riferito in modo lacunoso e privo di dettagli il proprio vissuto e le dichiarazioni risultavano incoerenti internamente ed emergevano contraddizioni su punti principali della storia personale. Peraltro, le dichiarazioni, anche laddove credibili, restavano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata, di giustizia comune, atteso che gli aspetti evidenziati nel ricorso integravano solo personali timori, privi di elementi concreti di riscontro. Sicchè non sussisteva una condizione oggettiva di pericolo direttamente riferibile al ricorrente in relazione situazione generale della zona geografica di provenienza.

Sulla base delle fonti internazionali, infatti, il (OMISSIS) risultava essere una democrazia multipartitica e seppure la cultura politica era caratterizzata da violenza e da scontri, le notizie di repressione di azioni violente riguardavano solo il partito islamista, e iniziative esplicite verso il dissenso riguardavano solo i vertici del (OMISSIS), senza che vi fosse una forma di persecuzione generalizzata, sia da parte dello Stato sia da parte di soggetti non statali.

In merito alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato difettavano i presupposti stabiliti dalla convenzione di Ginevra e dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8. Il ricorrente, infatti, non aveva allegato di essere affiliato politicamente e di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica o religiosa o di altro tipo, soggetta a persecuzione. In ogni caso il timore di persecuzione rappresentato non assumeva i quattro connotati richiesti (soggettivo, causale, ambientale, di personalizzazione del rischio) e, dunque, i fatti riferiti non erano riconducibili alle previsioni di cui alla convenzione di Ginevra.

In ordine alla richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria non veniva in rilievo nessuno dei profili di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non emergendo circostanze tali da ritenere che il ricorrente potesse essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine, nè che le temute ripercussioni, in caso di rientro, integrassero i presupposti del cosiddetto danno grave in relazione al Paese di provenienza che era in grado comunque di offrire protezione. Peraltro, con riferimento allo Stato del (OMISSIS) la presenza di civili nell’area in questione non costituiva un pericolo per la vita o l’incolumità e non emergevano elementi da cui desumere la sussistenza di una grave minaccia nei confronti del richiedente che riferiva solo eventi o episodi privi di credibilità e ininfluenti.

Il Tribunale prendeva in esame anche i rapporti tra la politica e la magistratura e la problematica dell’usura al fine di escludere ogni rischio per il richiedente che, peraltro, non aveva menzionato episodi di gravità tale da assumere come seriamente pregiudicata la vita o l’incolumità personale.

Quanto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi gravi di carattere umanitario, il Tribunale ribadiva che il paese di provenienza del richiedente offriva adeguata protezione e, dunque, non vi era una condizione generale di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, tenuto anche conto dell’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle tipizzate dall’art. 19, comma 2 decreto citato.

Peraltro, non si ravvisavano condizioni individuali di elevata vulnerabilità poichè la mera condizione di emarginazione e povertà non era sufficiente per assumere come sussistente la particolare vulnerabilità soggettiva quale presupposto della protezione umanitaria. Inoltre, non era sufficiente lo svolgimento di attività lavorativa e lo sradicamento dal contesto socioeconomico nazionale condizione da ritenersi corrispondente a quella dello straniero che aspiri ad entrare permanere regolarmente nel territorio dello Stato. Il ricorrente aveva fornito prova del rapporto di lavoro ma tale condizione non era sufficiente per assumere come seriamente violati i diritti fondamentali che giustificherebbero la protezione umanitaria. Non vi era un’incolmabile sproporzione del contesto di vita vissuta e quello nel quale egli si sarebbe trovato a vivere in caso di rimpatrio nel paese di origine.

3. M.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il ministero dell’interno si è costituito senza svolgere attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dell’art. 8 della direttiva qualifiche 2011/95UE e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il ricorrente lamenta lacune motivazionali del provvedimento impugnato circa la mancanza di credibilità delle dichiarazioni effettuate con riferimento a temi quali la politicizzazione della magistratura, e l’usura oggettivamente inconferenti rispetto alla vicenda narrata.

1.1 Il primo motivo è inammissibile.

La censura è del tutto generica ed è priva di sufficienti specificazioni delle ragioni dell’asserita violazione delle norme indicate.

Il ricorrente richiama genericamente tutte le ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. ma in concreto non chiarisce quale tipo di censura propone con il motivo in esame.

In ogni caso, la motivazione del Tribunale sulla non credibilità delle dichiarazioni del richiedente è ampiamente e non è sindacabile in questa sede.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, all’art. 8, paragrafo 2, della direttiva qualifiche 2011/95 UE e al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Il ricorrente censura la motivazione del decreto e il fatto che il Tribunale di Ancona non abbia effettuato approfondimenti circa l’effettività della tutela prestata ai cittadini in (OMISSIS) laddove siano fatti oggetto di intimidazione da parte di agenti statuali come nel caso di specie. Il giudice del merito non avrebbe esaminato la natura delle condotte perpetrate nei confronti del richiedente, trascurando l’analisi dei presupposti circa il grave danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile.

Anche in questo caso la censura è del tutto generica e manca dei requisiti minimi per poter essere esaminata nel merito.

In ogni caso deve ribadirsi, anche con riferimento al suddetto motivo, che il provvedimento del Tribunale è sufficientemente motivato oltre che sulla non credibilità delle dichiarazioni del richiedente anche in ordine alla situazione generale del (OMISSIS) in relazione all’insussistenza di un rischio grave D.Lgs. n. 151 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter.

La censura attiene alla valutazione prognostica negativa circa la vulnerabilità in caso di rimpatrio che non terrebbe conto della situazione dei diritti in (OMISSIS) con particolare riferimento ai diritti fondamentali. Peraltro, non erano state tenute in debito conto le significative allegazioni del richiedente che aveva versato in atti documentazione comprovante il suo discreto effettivo percorso di inclusione sociale e lavorativo. Non sarebbe stata correttamente effettuata la comparazione tra le condizioni attuali e quelle in caso di rimpatrio e non sarebbe stato considerato che i presupposti per la concessione della protezione umanitaria possono fondarsi anche su condizioni temporali limitate nonchè riferibili alla speranza di un miglioramento della posizione personale del richiedente.

3.1 Il terzo motivo è infondato.

La pronuncia impugnata risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che, quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

4. Il ricorso è rigettato.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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