Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18314 del 19/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 19/09/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 19/09/2016), n.18314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15223/2015 proposto da:

A.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149, presso lo studio dell’avvocato CAROLA

CICCONETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE OLIVIERI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENTE AUTONOMO VOLTURNO S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso

lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNA TUSSINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3099/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/04/2015 R.G.N. 5590/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato OLIVIERI GIUSEPPE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 14/4/2015 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della pronuncia del giudice di primo grado, la quale aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza con cui era stata accolta l’impugnazione del licenziamento intimato ad A.G. dall’Ente Autonomo Volturno s.r.l., dichiarava legittimo il predetto licenziamento.

2. La Corte territoriale, premesso che il fatto contestato in sede disciplinare atteneva alla realizzazione di lavori per il collegamento di cavi ad alta tensione tra i pantografi sulle UDT ETR, oggetto dei preventivi presentati dalle società Simel ed Elca, aveva ravvisato la sussistenza di una condotta illecita dell’ A., integrante il reato di turbativa di gara in favore della Elca, risultata successivamente aggiudicataria, desumibile da circostanze emergenti da atti del procedimento penale instaurato nei confronti di quest’ultimo. Rilevava, in particolare, che, con riferimento alla gara in questione, erano intercorse numerose telefonate tra l’ A. e il referente della società Elca, contenenti suggerimenti per modifiche idonee a favorire l’offerta di detta società rispetto a quelle di altre ditte; che, inoltre, dai verbali di intercettazione telefonica era emerso che il predetto aveva realmente modificato e rettificato i contenuti della originaria proposta Inizialmente trasmessa dalla Elca, così abusando delle informazioni riservate a sua disposizione “ispirando l’affidamento finale della fornitura non a criteri obiettivi di affidabilità e convenienza economica per la società datrice – che è società pubblica ad intero capitale pubblico – ma ad una logica di favore nei confronti di soggetti privati”. Osservava che le società che parteciparono alla procedura dell’affidamento diretto furono due, ancorchè la suddetta procedura non si sottrae alla regola concorsuale, ossia alla partecipazione di una pluralità di ditte alla gara, come espressamente previsto nelle relative prescrizioni. Rilevava che oggetto di contestazione non erano solo i fatti per il quali l’ A. era stato sottoposto a procedimento penale per i reati di cui all’art. 326 c.p., comma 3 e art. 353 bis c.p., bensì il comportamento complessivo tenuto dal predetto, che riguarda innanzitutto il modus agendi nell’individuazione del contraente, contrario ai doveri di correttezza, buona fede e fedeltà ex art. 2105 c.c., in quanto diretto a favorire indebitamente l’impresa scelta. Attribuiva rilevanza disciplinare alla condotta dell’ A., il quale, indebitamente ingeritosi nella fase procedurale della formulazione dell’offerta mediante l’esternazione di suggerimenti utili alla modifica delle condizioni e di notizie riservate riguardo alla presenza di altra ditta offerente, aveva di fatto compromesso la correttezza della procedura.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’ A. sulla base di due motivi, illustrati con memoria. Resiste l’Ente con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce inammissibilità del reclamo per difetto di specificità dei motivi e perciò nullità della sentenza per violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 59 e art. 434 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4). Osserva che il reclamo contemplato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, ha natura di appello, con conseguente inoperatività dell’effetto devolutivo pieno, sicchè impone al reclamante, a pena d’inammissibilità, lo svolgimento di motivi specifici, la cui funzione è quella di individuare le questioni da riesaminare. Osserva che l’Ente aveva enunciato i motivi di gravame limitandosi a ripetere le argomentazioni già illustrate, senza spiegare gli errori addebitati alla sentenza di primo grado e riproducendo gli atti in quella sede valutati. Conseguentemente il reclamo, in mancanza di motivi specifici, nonchè della indicazione delle parti del provvedimento impugnato e delle circostanze da cui sarebbe derivata la violazione di legge, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Osserva che la sentenza si fonda sui fatti accertati in assenza di contraddittorio dalla Procura della Repubblica di Firenze, e più specificamente sulle intercettazioni telefoniche rese note nel decreto di perquisizione del (OMISSIS). Rileva che le suddette intercettazioni possono operare esclusivamente come argomenti di prova. Osserva che gli elementi posti a fondamento della decisione possono esser considerati decisivi soltanto per la loro congiunta esistenza e che rispetto ad essi la motivazione è inesistente sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza priva di coerenza sotto il profilo dell’irriducibile contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. E’ da evidenziare, infatti, che le allegazioni di parte, per la loro genericità, non sono rispettose delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sì da consentire di verificare contenuto e limiti della censura. Non risulta allegato nè riportato, infatti, l’atto di reclamo dal quale trarre l’esatta prospettazione delle censure svolte in quella sede, si da verificarne la specificità, nè di tale atto è indicata la collocazione nel fascicolo processuale, mediante puntuale richiamo della sua ubicazione, indispensabile ai fini dell’agevole rinvenimento del medesimo (sulla necessità che sia specificata la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte siano rinvenibili gli atti citati in ricorso, cfr. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22607 del 24/10/2014, Rv. 633219). Neppure supplisce alle carenze evidenziate il richiamo al contenuto dell’atto in questione contenuto alle pagine 6 e seguenti del ricorso, dal quale esula l’esatta indicazione dei motivi di gravame, in relazione ai quali si asserisce che “si limitano a ripetere le argomentazioni già illustrate, senza spiegare gli errori addebitati alla sentenza di primo grado”, indicando che gli stessi sono contenuti nelle pagine 48-59 del reclamo.

4. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Va premesso che nella formulazione vigente ratione temporis, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato ex L. n. 134 del 2012, consente esclusivamente la denuncia di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In proposito, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso. I richiamati parametri non risultano rispettati nel caso in discussione, essendo intervenuto l’esame dei fatti storici da parte della Corte territoriale e illustrate le conseguenze tratte dai medesimi, con la conseguenza che non è ravvisabile alcuna delle situazioni (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” denunciabili in cassazione sotto il profilo dell’anomalia costituzionale secondo i criteri indicati da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Le censure riguardano, piuttosto, l’omesso esame di elementi istruttori, talchè il vizio motivazionale non risulta correttamente dedotto. Quanto, poi, agli enunciati vizi derivanti dalle asserite contraddittorietà motivazionali, vale richiamare l’enunciato di Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015 (Rv. 636030) “Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c.”.

5. In base alle argomentazioni svolte il ricorso va rigettato. Le spese sono liquidate come in dispositivo secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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