Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18313 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. II, 03/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 03/09/2020), n.18313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20255-2019 proposto da:

K.M.M., elettivamente domiciliato in Forlì, viale G.

Matteotti n. 115, presso lo studio dell’avv.to ROSARIA TASSINARI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Bologna, con decreto pubblicato il 17 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da K.M.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale premesso di dover valutare i fatti e le circostanze allegati e non suffragati da prova anche sulla base di una valutazione fondata sulle condizioni aggiornate del paese d’origine del richiedente asilo, nonchè sulla sua buona fede soggettiva desumibile dalla tempestività della domanda, dalla completezza dell’informazione, dall’assenza di strumentalità e dalla tendenziale plausibilità logica delle dichiarazioni, riteneva la dichiarazione del richiedente inidonea a superare il vaglio di credibilità. In particolare, con riferimento al presunto prestito contratto dal richiedente e non collocato esattamente nel tempo, senza indicazione degli autori del prestito, della modalità con cui si erano realizzati gli accordi e anche in relazione al debito contratto per intraprendere il viaggio. Peraltro, il fatto che i creditori si recassero continuamente dalla madre e dalla sorella per chiedere la restituzione del prestito non era una circostanza idonea ad integrare un fattore di persecuzione riconducibile alle ipotesi tassativamente elencate al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8. Dunque, non potevano ritenersi sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Neanche la minaccia di denunciare la situazione debitoria alla polizia poteva assumere rilevanza vista la tutela assicurata anche in (OMISSIS) alle pattuizioni di interessi usurari. Il pericolo proveniente da un agente persecutore privato, inoltre, non era idoneo ad ottenere la protezione, essendo necessario che le autorità dello Stato non fossero o non volessero tutelare il ricorrente che ne avesse fatto richiesta, circostanze che nel caso di specie non emergevano.

Per quanto riguardava la situazione di violenza generalizzata ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base delle fonti più recenti ed accreditate, doveva ritenersi insussistente in (OMISSIS), non essendovi alcun tipo di conflitto armato in corso tale da poter porre in serio pericolo l’incolumità della popolazione civile.

Con riferimento, infine, alla domanda volta ad ottenere la protezione umanitaria non vi erano i presupposti per ravvisare una condizione seria e grave di vulnerabilità anche sulla base dei profili di inattendibilità del racconto, di genericità della situazione, e della situazione personale e familiare descritta dal richiedente.

Lo svolgimento di attività lavorativa e lo studio della lingua italiana non erano circostanze tali da configurare un grado di integrazione rilevante sotto il profilo del riconoscimento della forma di protezione residuale in oggetto e non costituivano un ostacolo al rientro in patria del ricorrente. Nella vicenda personale del richiedente non erano emerse situazioni peculiari di vulnerabilità e neanche il periodo trascorso in Libia assumeva rilievo sotto tale profilo.

3. K.M.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il tribunale di Bologna applicato nella specie il principio dell’onere della prova attenuato di cui alla sentenza delle sezioni unite n. 27331 zero del 2008 e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dalle norme indicate, nonchè per difetto di motivazione travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi.

Il Tribunale di Bologna non avrebbe valutato correttamente la prova offerta, in quanto il racconto del ricorrente era lineare privo di contraddizioni e con un’adeguata produzione documentale a supporto.

Il rischio di subire un danno grave come definito dalla legge può derivare anche da soggetti privati nel caso di assenza dello Stato che impedisca tali comportamenti. Il racconto dunque era veritiero e il ricorrente aveva fatto ogni ragionevole sforzo per documentare e chiarire la propria posizione.

1.1 Il primo motivo di ricorso è in parte infondato in parte inammissibile.

Il Tribunale di Bologna ha affermato che al di là della mancanza di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, in ogni caso la vicenda narrata non rientrava nel perimetro normativo della protezione invocata, trattandosi di una vicenda relativa ad un prestito che poteva trovare adeguata tutela nel (OMISSIS), paese di origine del richiedente.

Pertanto nessuna violazione “dell’onere della prova attenuato” si è determinata, e la relativa censura è infondata avendo il giudicante consultato le più recenti ed accreditate fonti internazionali.

Il profilo sulla ritenuta parziale non credibilità del ricorrente, invece, è inammissibile non costituendo l’unica ratio decidendi del provvedimento impugnato e trattandosi di censure di merito su un accertamento di fatto.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata come descritta e definita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il Tribunale non si sarebbe attenuto a tali principi, in base ai quali l’esistenza della minaccia grave individuale può essere considerata provata quando il grado di violenza indiscriminata nel paese di provenienza è di carattere tale che lo straniero sarebbe esposto al rischio effettivo in caso di rientro. Dunque, l’organo giudicante, ai fini della valutazione della concessione della protezione sussidiaria, ha l’obbligo di verificare la situazione attuale del paese di provenienza senza che rilevi il fatto che il pericolo provenga da un agente privato, qualora le autorità del paese di provenienza non siano in grado di fornire protezione.

Il (OMISSIS) è in una situazione molto critica con forte limitazioni delle libertà fondamentali e violenze perpetrate nei confronti delle persone più deboli ed indifese e con la presenza di terroristi.

La tortura e i maltrattamenti di persone in custodia di polizia sono molto diffusi e vi sono sparizioni forzate dei sostenitori dei partiti di opposizione e persecuzione delle minoranze religiose.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile, poichè diretto al riesame dei fatti relativi alla protezione sussidiaria, avendo il Tribunale escluso, attraverso l’esame delle varie citate aggiornate fonti internazionali, un’attuale situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale di Bologna esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, omettendo di verificare la sussistenza dell’obbligo costituzionale ed internazionale di fornire protezione in capo alle persone che fuggono da paesi in cui vi siano sconvolgimenti tali da impedire una vita senza pericoli per la propria incolumità.

Oltre alle esposte condizioni generali del (OMISSIS) nella specie vi sarebbe anche una particolare vulnerabilità del ricorrente il quale attraverso il lavoro e l’impegno allo studio della lingua italiana e sulla base dei criteri elaborati alla giurisprudenza di legittimità nel caso di rimpatrio si ritroverebbe in una situazione di fortissima limitazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta nel suo paese di accoglienza. Il decreto avrebbe del tutto omesso l’applicazione di tale principio in applicazione alla normativa precedente.

3.1 Il terzo motivo è inammissibile.

Deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (così, Cass., ord., 22 febbraio 2019, n. 5358). La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (cfr. Cass. 15 maggio 2019, n. 13079; Cass., ord., 3 aprile 2019, n. 9304); – con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455). Infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. Tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (così, Cass., ord., 28 giugno 2018, n. 17072).

Il Tribunale ha escluso la sussistenza di siffatta condizione di vulnerabilità all’esito di una valutazione comparativa, ponendo in rilievo sia l’assenza di un rischio di esposizione del richiedente a violazioni di diritti umani in caso di rimpatrio, sia l’assenza di condizioni soggettive ostative al rimpatrio, anche in considerazione delle sue buone condizioni di salute oltre che per la mancanza di specifici indicatori di necessità di protezione. Peraltro il periodo trascorso in Libia non poteva assumere rilievo sotto tale profilo dovendosi valutare la sussistenza dei presupposti della protezione internazionale con riguardo alla situazione del paese di provenienza del ricorrente e non avendo questi addotto situazioni peculiari derivanti da tale permanenza in Libia tale da assumere rilievo per la valutazione di profili di vulnerabilità. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, pertanto, il Tribunale ha operato la doverosa effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, pervenendo ad una conclusione negativa;

4. Il ricorso è rigettato.

5. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2020

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