Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18308 del 19/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 19/09/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 19/09/2016), n.18308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17832-2012 proposto da:

B.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PINEROLO, 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FERRIERO,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA ABELE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), già Ferrovie dello

Stato, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MONTEVERDI 16, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 644/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/07/2011 R.G.N. 2009/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato CALIGIURI MAURIZIO per delega Avvocato ABELE NICOLA;

udito l’Avvocato RUGGIERI GIANFRANCO per delega orale Avvocato

CONSOLO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 5.7.2011 la Corte d’appello di Catanzaro, confermando la pronuncia del Tribunale di Cosenza, rigettava il gravame di B.R., dipendente della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., che aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto ad essere inquadrato nell’area quadri, 8^ livello CCNL attività ferroviarie in virtù delle mansioni di fatto da lui espletate sin dal (OMISSIS) quale segretario tecnico superiore di prima classe con compiti di raccordo fra la struttura dirigenziale e il restante personale.

Per la cassazione della sentenza ricorre il B. affidandosi a tre motivi. La società resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il lavoratore deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia avendo, la Corte territoriale, trascurato il dato letterale della declaratoria contrattuale del livello preteso (8^ categoria) ove è richiesta, solo come eventualità (“anche”), la preposizione ad impianti od unità organizzative.

2. Con il secondo motivo di ricorso il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione di norme (non indicate) per non avere l’impugnata sentenza considerato – come emergeva dalle deposizioni testimoniali (di cui si riporta stralcio) e dalla copiosa documentazione (a cui rinvia) – che il B. era l’interfaccia della società con le ditte esecutrici dei lavori affidati in appalto, provvedendo ad effettuare sopralluoghi, verifiche, redigendo la documentazione relativa agli stadi di avanzamento dei lavori ed alla contabilità con la sola presenza sovraordinata dell’ingegnere dirigente.

3. Con il terzo motivo di ricorso il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione di norme (non indicate) rilevando che il precedente giurisprudenziale citato e riportato, nella massima, dalla Corte territoriale non rappresenta una comparazione adeguata rispetto alla fattispecie de qua, trattandosi, in quel caso, di capostazione e, nel presente caso, di mansioni tecniche.

4. Il ricorso è ai limiti della inammissibilità e, comunque, è infondato perchè, anche a voler supplire alla carenza dell’indicazione delle norme che si reputano violate (e, presupponendo, che si tratti dell’art. 2103 c.c.), suggerisce esclusivamente una rivisitazione del materiale istruttorio (documentale e testimoniale) affinchè se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.

In altre parole, il ricorso si dilunga nell’opporre al motivato apprezzamento della Corte territoriale proprie difformi valutazioni delle prove, ma tale modus operandi non è idoneo a segnalare un vizio di motivazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis, previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 4 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134). Infatti, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi del previgente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5 non possono consistere in apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, perchè a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti, con l’unico limite di supportare con congrua e logica motivazione l’accertamento eseguito (v., ex aliis, Cass. n. 2090/04; Cass. S.U. n. 5802/98).

Le differenti letture ipotizzate in ricorso scivolano sul piano dell’apprezzamento di merito, che presupporrebbe un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in punto di fatto, incompatibili con il giudizio innanzi a questa Corte Suprema, cui spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie, nonchè la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti.

A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa Suprema Corte a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture. Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come criteri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari.

Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità.

Ciò detto, si noti che nel caso di specie il ricorso non evidenzia l’uso di inesistenti massime di esperienza nè violazioni di regole inferenziali, ma si limita a segnalare soltanto possibili difformi valutazioni degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità, che non può prendere in considerazione quale ipotetica illogicità argomentativa la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella ritenuta in sentenza.

Nè il ricorso isola (come invece avrebbe dovuto) singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l’illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste (vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa), ma ritiene di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione non consentiti innanzi a questa Corte Suprema.

In particolare, non risponde al vero che la gravata pronuncia non abbia seguito il procedimento logico prescritto in tema di verifica dell’inquadramento contrattuale spettante al lavoratore. Inoltre, la Corte territoriale ha accertato – con motivazione immune da vizi logici o giuridici e, quindi, incensurabile nella presente sede – “lo svolgimento di funzioni tecniche richiedenti particolare contenuto specialistico” tipiche del livello attribuito al B. (7^ livello) mentre ha ritenuto che la comparazione tra le mansioni effettivamente disimpegnate (come risultanti dalle deposizioni testimoniali e dalla documentazione acquisita) e la declaratoria, sia legale (L. 13 maggio 1985, n. 190, art. 1) che contrattuale (art. 101 CCNL di settore), della categoria dei quadri (a cui appartiene il livello superiore preteso) non consenta di riconoscere la sussistenza degli elementi tipici caratterizzanti il livello superiore preteso.

Sempre con corretta motivazione la sentenza impugnata ha rilevato che i compiti svolti dal B. (“la verifica dei lavori effettuati dalle imprese appaltatrici, la stesura dei relativi S.A.L., la procedure di collaudo di fornitura di materiali all’impresa, le sottoscrizioni di atti per conto della direzione lavori e non in proprio, la verifica delle idoneità delle linee di contatto, la partecipazione a gruppi di lavoro, la verifica della corrispondenza delle armature in ferro per cemento armato, la predisposizione per l’attuazione di collaudi quale rappresentante della direzione dei lavori”) non implicano poteri di coordinamento e di gestione delle risorse propri dell’area quadri conformemente alla descrizione fattane dalla legge e dalla contrattazione collettiva, sia nella declaratoria dell’area dei quadri sia in quella della categoria 8^. Ha aggiunto, la sentenza, che il B. non risulta aver coordinato, diretto e controllato grossi impianti, ed era sottoposto alle direttive del direttore dei lavori, con il quale collaborava. I compiti svolti non hanno comportato – secondo quel che emerge dalla lettura della gravata pronuncia – un’assunzione di responsabilità diretta nè l’esercizio dell’autonomia e dell’iniziativa proprie della qualifica rivendicata.

5 – In conclusione il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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