Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18307 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 03/09/2020), n.18307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 197-2019 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIBIA 58,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO FERRI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA

CIACCI, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8073/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

MARCHESE GABRIELLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, a seguito di nuova CTU, ha accertato il requisito sanitario per l’indennità di accompagnamento con le relative statuizioni di condanna; ha condannato l’Inps al pagamento delle spese processuali liquidate in ” Euro 1.600,00″ oltre IVA, CPA e spese generali;

per la cassazione della decisione, nella parte relativa alla statuizione sulle spese, I.G. ha proposto ricorso, affidato a due motivi;

l’INPS ha resistito con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo è denunciata -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- violazione e falsa applicazione dell’art. 13 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014 per violazione dei minimi tariffari;

con il secondo motivo è denunciata -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione e falsa applicazione dell’art. 11 Cost. in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e all’art. 118 disp.att. c.p.c., per omessa motivazione della statuizione concernente le spese;

i due motivi vanno congiuntamente esaminati e sono fondati nei termini che seguono;

occorre premettere che il giudice nel liquidare le spese processuali relative ad un’attività difensiva ormai esaurita deve applicare la normativa vigente al tempo in cui l’attività stessa è stata compiuta (Cass. n. 6457 del 2017; Cass. n. 17405 del 2012) sicchè alla presente fattispecie va applicato il D.M. n. 55 del 2014, in vigore dal 3 aprile 2014, in quanto il ricorso per ATP risulta introdotto a seguito di rigetto della domanda amministrativa del 21.3.2017 e dunque in epoca ampiamente successiva all’aprile 2014;

quanto alla determinazione degli scaglioni applicabili, occorre invece tener conto della pronuncia delle Sez. Unite (sentenza n. 10455 del 2015) che – risolvendo il contrasto determinatosi in relazione al criterio per determinare il valore della causa ai sensi dell’art. 13 c.p.c., commi 1 e 2, – ha affermato il seguente principio di diritto: “ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall’art. 13 c.p.c., comma 1, per cui, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni”;

ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 e 4, poi, il giudice è tenuto a liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, non essendo, invece, vincolato alla determinazione, in misura media, del compenso professionale (v. ex plurimis, Cass. n. 2304 del 2019, p. 7, dove è anche chiarito, sia pure con riferimento al D.M. n. 140 del 2012, come il giudice sia tenuto ad indicare le ragioni che giustificano la concreta determinazione del compenso solo in caso di deroga ai minimi e massimi stabiliti dal D.M.: cfr. Cass. n. 18167 del 2015; Cass. n. 253 del 2016; Cass. n. 16225 del 2016);

applicando tali principi al caso in esame, come già chiarito in plurimi arresti resi in casi analoghi (ex multis v. Cass. n. 28977 del 2018), il valore della causa va individuato tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, ed i parametri minimi stabiliti per tale scaglione, computando tre fasi per il procedimento di istruzione preventiva e quattro per la causa di merito, vanno individuati in 911,00 per la fase di istruzione preventiva (risultanti dalla somma di Euro 270,00 per studio della controversia, Euro 337,50 per la fase introduttiva del giudizio ed Euro 303,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, dovendosi ridurre le prime due del 50% e la terza del 70%, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4), e, trattandosi di causa inquadrabile nella tab. 4 (cause di previdenza), in Euro 2.251,00 per il giudizio di merito (risultanti dalla somma di Euro 442,50 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, Euro 475,50 per la fase istruttoria e/o di trattazione ed Euro 962,00 per la fase decisionale, dovendosi ridurre le prime due e la fase decisionale del 50% e la fase istruttoria del 70%, ancora ai sensi del cit. D.M. n. 55 del 2014, art. 4);

di conseguenza, la liquidazione delle spese contenuta nell’impugnata sentenza ed espressa in Euro 1.600,00 (riferita indistintamente alla liquidazione delle spese per il giudizio di APT e per quello successivo ex art. 445 bis c.p.c., comma 6), non è dunque adeguata alla normativa di riferimento per essere inferiore ai minimi di cui si è detto, senza che risulti indicata alcuna motivazione in ordine alla non riconoscibilità, nel caso concreto, di alcuni compensi stabiliti dal citato D.M. n. 55 del 2014, in relazione alle singole fasi processuali;

il ricorso va dunque accolto; l’impugnata sentenza va cassata nella parte relativa alla statuizione sulle spese con decisione nel merito – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – riliquidando le spese della fase di ATP in Euro 911,00 e quelle del giudizio di opposizione ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, in complessivi Euro 2.251,00, così determinandosi l’importo complessivo di Euro 3.162,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% ed accessori di legge;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore dell’avv.to Pietro Ferri, anticipatario.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio dinanzi al Tribunale in Euro 3.162,00, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, con distrazione al procuratore antistatario.

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge, con attribuzione all’avv.to Pietro Ferri.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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