Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18306 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 03/09/2020), n.18306

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31957-2018 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANITA PETRONE;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, PATRIZIA CIACCI, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 6968/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

MARCHESE GABRIELLA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha rigettato la domanda di accertamento del diritto di S.S. all’assegno di invalidità civile, della L. n. 118 del 1971, ex art. 13, e di condanna dell’INPS al pagamento della relativa prestazione;

la Corte territoriale ha, in primo luogo, giudicato ammissibile l’atto di appello dell’INPS, osservando come lo stesso contenesse specifiche e pertinenti censure alla decisione di primo grado ed alla perizia medico legale posta a base della stessa; ha, successivamente, osservato come il consulente nominato nel grado di appello avesse accertato una serie di patologie che, nel loro complesso, non riducevano la capacità lavorativa generica nella misura di legge come, peraltro, già ritenuto da uno dei due consulenti nominati in primo grado;

per la cassazione della pronuncia, ha proposto ricorso in cassazione S.S., articolato in due motivi;

ha resistito l’INPS con controricorso;

è rimasto intimato il Ministero delle Economie e delle Finanze;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’udienza- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

sia la parte ricorrente che quella controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4- è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’INPS, nonostante il difetto di specificità dei motivi;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 è dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito effettuato un riesame esorbitando dai motivi di gravame, con violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;

i due motivi da esaminarsi congiuntamente, per la loro stretta connessione, sono infondati;

le Sezioni Unite di questa Corte, con l’arresto n. 27199 del 2017 hanno chiarito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata;

la Corte (Cass. n. 7675 del 2019) ha, poi, ulteriormente specificato il principio enunciato dalle Sezioni Unite nel senso che “non può considerarsi aspecifico il motivo d’appello il quale esponga il punto sottoposto al riesame d’appello, in fatto e in diritto, in maniera tale che il giudice d’appello sia posto in condizione (…) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno riporti, analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l’impugnazione a critica vincolata”;

alla stregua dei riportati principi, l’INPS ha validamente introdotto l’atto di appello, deducendo come il giudizio di invalidità espresso nella pronuncia di primo grado poggiasse su una diagnosi di “depressione maggiore”, documentata da un unico certificato, cui aveva fatto seguito, a pochi giorni, una diversa diagnosi, molto più lieve, di “disturbo distimico di natura reattiva”;

in tali passaggi, emerge chiara la natura, la portata ed il senso della critica: l’inesattezza del quadro invalidante individuato dal Tribunale -e posto a base della decisione – per la documentata sussistenza di una condizione (diversa) inidonea a sostenere il diritto alla prestazione assistenziale evocata;

coerentemente deriva l’infondatezza dei rilievi oggetto del secondo motivo; devoluta, per quanto innanzi, alla Corte distrettuale la questione della sussistenza o meno del requisito sanitario, la nomina di un nuovo CTU rientrava nel potere discrezionale dei giudici di merito, esercitabile anche in assenza di richiesta delle parti (ex plurimis, Cass. n. 9461 del 2010);

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame di un fatto storico decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, per non aver esaminato la Corte del merito i motivi di contestazione alla CTU come sollevati all’udienza di discussione del 20.10.2017 e “riportato per sintesi nella sentenza di appello”;

il motivo è inammissibile per porsi del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5; parte ricorrente piuttosto che allegare specificamente il “fatto” dotato di valenza decisiva, risultante dagli atti e non esaminato dalla sentenza impugnata, contesta le risultanze della CTU poste a base della decisione, così finendo per contrapporre un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, corrispondente alle proprie aspettative, e introducendo, nella presente sede di legittimità, una non consentita richiesta di riesame del merito;

in definitiva, sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato;

non si deve provvedere sulle spese avendo la ricorrente reso la dichiarazione di esonero prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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