Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18301 del 19/09/2016

Cassazione civile sez. I, 19/09/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 19/09/2016), n.18301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5808/2015 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MELLINI 24, presso l’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ADALBERTO BUONOMO, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.R., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

SALERNO;

– intimati –

Nonchè da:

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 269, presso l’avvocato ROMANO VACCARELLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO TOSCANO,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI SALERNO,

F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 13/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato G. GIACOBBE che ha chiesto

l’accoglimento del proprio ricorso;

uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

R. VACCARELLA e V. TOSCANO che hanno chiesto l’accoglimento del

proprio ricorso, inammissibilità o rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale,

accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEI, PROCESSO

Con la sentenza n. 1571 del 22.06.2007 il Tribunale di Salerno pronunciava la separazione personale dei coniugi F.A. (ricorrente nel 2001/2002) e T.R., alla quale affidava il figlio ancora minorenne della coppia ed assegnava la casa coniugale; imponeva inoltre al F. di corrispondere alla moglie due assegni mensili d’importo complessivo pari ad Euro 5.000,00, dei quali l’uno di Euro 1.500.00 per il mantenimento di lei e l’altro di Euro 3.500,00 destinato al mantenimento dei due figli delle parti.

Con la sentenza n. 145 del 27 aprile 2010, in accoglimento per quanto di ragione del gravame principale della T. e di quello incidentale del F., la Corte di appello di Salerno affidava il figlio minore ad entrambi i genitori con collocazione presso il padre ed elevava ad Euro 5.000,00 mensili l’assegno dovuto dal F. per il mantenimento della moglie. A quest’ultimo proposito osservava che “le circostanze acquisite depongono per una sensibile disparità di reddito tra le parti, per un tenore di vita agiato in costanza di matrimonio, per una insufficienza di reddito proprio dell’appellante. Posto che non è in discussione il diritto dell’appellante all’assegno di mantenimento. sicuramente la misura va congruamente incrementata rispetto alla somma di Euro 1.500.00 fissata dal tribunale, obiettivamente inidonea a consentire il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto nel corso della pur travagliata convivenza coniugale. Appare congruo, pertanto, fissare la misura del mantenimento mensile a carico dell’appellato ed in favore dell’appellante in Euro 5.000,00 mensili, in considerazione della durata ultraventennale del matrimonio, dell’elevato tenore di vita goduto nel corso della vita matrimoniale e della evidente disparità reddituale dei coniugi”.

Con la sentenza n. 14610 del 23.08.2012 questa Corte di legittimità, cassava con rinvio la sentenza della Corte di Salerno, reputando, tra l’altro e per quanto ancora rileva, meritevole di accoglimento il primo motivo del ricorso principale del F. ed assorbiti il secondo motivo sia del medesimo ricorso principale che del ricorso incidentale della T., con i quali i coniugi avevano criticato – ovviamente da opposti punti di vista la statuizione della sentenza impugnata relativa all’assegno di mantenimento in favore della moglie, in effetti fondata su motivazione meramente assertiva e del tutto insufficiente. Si sottolineava in particolare che nella specie, in sostanziale violazione di consolidati principi, la Corte di Salerno aveva omesso di motivare e – ove ritualmente richiesta, come del resto avevano dedotto ambedue le parti – di accertare: la reale situazione economico-patrimoniale di ciascuno dei coniugi e quale fosse il reale tenore di vita tenuto durante l’ultraventennale durata del matrimonio, che mancavano, perciò, del tutto, nella motivazione della sentenza impugnata, i necessari elementi di riferimento ai quali ancorare la spettanza e l’entità dell’assegno di mantenimento richiesto dalla T..

Con sentenza del 18.12.2014-13.01.2015 la Corte di appello di Salerno, decidendo in sede di rinvio. accoglieva l’appello principale dalla T. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 1571 del 2007, e per l’effetto poneva a carico del F. l’assegno di mantenimento in favore della moglie di 7.000,00 mensili, con decorrenza dalla domanda riconvenzionale da lei spiegata in primo grado (luglio 2002) e con adeguamento automatico annuale in base agli indici Istat.

La Corte territoriale osservava e riteneva anche che:

col ricorso in riassunzione il F. aveva insistito sul rilievo che il tenore di vita della coppia era stato contenuto e modesto e che sin dal primo grado di giudizio egli aveva contestato il diritto della T. ad ottenere un assegno per il suo mantenimento, rassegnando le seguenti conclusioni: Voglia l’adita Corte 1) in linea principale, stabilire l’autosufficienza economica della signora T., cui non deve essere riconosciuto il diritto di mantenimento tenuto conto del patrimonio della stessa; 2) in linea subordinata, nella malaugurata ipotesi che ritenesse dovuto il diritto della resistente, stabilire in Euro 1.500,00 mensili l’importo dell’assegno di concorso nel mantenimento della sig.ra T. in conformità a quanto sancito dalla sentenza n. 1571/07 della 1^ sezione civile del Tribunale di Salerno, assunta sulle sperequazioni reddituali delle parti in base alle indagini espletate dalla Polizia Tributaria ed acquisite agli atti processuali; 3) stabilire l’adeguamento annuale dell’importo dell’assegno secondo gli indici Istat per le famiglie di operai ed impiegati…;

instaurato il contraddittorio, si era costituita la T., la quale aveva fatto rilevare (infondatezza dell’avversa prospettazione alla luce dell’enorme sperequazione economica tra la sua condizione di persona impossidente e senza lavoro, e quella del marito, facoltoso industriale con un consistente patrimonio immobiliare; aveva eccepito che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio era stato alto ed agiato; aveva ricordato i ruoli svolti dal F. in numerose società, evidenziato il notevole miglioramento delle sue condizioni economiche ed aveva così concluso: accertare la situazione patrimoniale e reddituale del sig. F. sia attuale che riferita al periodo della convivenza matrimoniale; accertare e dichiarare la sperequazione economica tra i coniugi; dare atto ed affermare il diritto della sig.ra T. all’assegno di mantenimento a decorrere dalla domanda introduttiva del giudizio di separazione ovvero dal momento che la Corte vorrà indicare; rideterminare l’assegno di mantenimento in favore della sig.ra T. nella misura di Euro 10.329,19 ovvero in qualsiasi altra somma maggiore o minore ritenuta congrua…. In via istruttoria, stante (indicazione offerta dalla Suprema Corte, aveva chiesto ammettersi CTU contabile e nuove indagini a mezzo della Guardia di Finanza per accertare il reddito attuale e quello relativo al periodo di convivenza matrimoniale, le capacità economiche, il patrimonio del F. ed il suo tenore di vita attuale e passato, e di fare ordine a quest’ultimo di esibire tutte le dichiarazioni dei redditi dalla separazione all’attualità, tutti i conti correnti a lui intestati o cointestati o sui quali aveva il potere di operare nonchè gli estratti delle sue carte di credito. Con separato ricorso la T.R. aveva a sua volta riassunto la causa rassegnando le medesime conclusioni sopra riportate. Instaurato il contraddittorio, si era costituito il F., che si era riportato alle conclusioni di cui al ricorso in riassunzione proposto su sua iniziativa. I due procedimenti venivano riuniti;

quanto al merito andava subito rilevato che la causa ormai verteva esclusivamente sulla quantificazione dell’assegno spettante alla T. e non anche sull’an debeatur. Ed invero, nel giudizio di appello dinanzi al Collegio che aveva emanato la sentenza poi parzialmente annullata dalla Suprema Corte, nella comparsa di costituzione del 10/04/08 la difesa del F. aveva così concluso: 1) Rigettare l’appello proposto dalla T. avverso la sentenza n. 1574/07 del Tribunale di Salerno; 2) dichiarare ammissibile e consequenzialmente accogliere l’appello incidentale del sig. F. e per l’effetto; a) ammettere la prova articolata dall’appellato con l’atto 08/07/05 e rimettere la causa sul ruolo per l’espletamento del mezzo istruttorio; b) pronunziare la separazione dei coniugi F.- T. dichiarando che la stessa è addebitabile esclusivamente all’appellante; c) stabilire l’affido condiviso del minore G., prendendo atto che lo stesso da circa quattro anni vive stabilmente con il padre, presso il quale permarrà anche nel futuro, e revocare, quindi, l’assegno di Euro 1.667,00 che l’appellato deve versare all’appellante per il minore; d) stabilire che il sig. F. ex art. 155 quinquies c.c. deve versare direttamente alla figlia maggiorenne An. – non ancora autosufficiente economicamente – (assegno di mantenimento di Euro 1.667,00; e) condannare l’appellante al pagamento delle spese, diritti ed onorari del gravame. Appariva quindi chiaro che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del F., il capo della sentenza del Tribunale che riconosceva il diritto della T. all’assegno di mantenimento, che veniva poi liquidato nella misura di Euro 1.500,00 contestata dalla predetta, non era stato oggetto di impugnazione incidentale da parte del F. e pertanto era ormai passato in giudicato. A tal proposito non era infatti superfluo ricordare che nel giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento della sentenza di appello da parte della Suprema Corte, le parti conservavano la stessa posizione processuale che avevano nel giudizio a qua, di cui quello di rinvio costituiva la rinnovazione e pertanto non potevano proporre nuove domande od eccezioni, salvo che nelle ipotesi in cui erano eccezionalmente consentite nuove conclusioni, ossia quando ne fosse insorta la necessità dalla sentenza della Cassazione ovvero quando esse fossero inquadrabili nell’ambito dei profili di cui la Corte avesse rimesso la valutazione al giudice del rinvio. Ancora in via preliminare andava rilevato che la sig.ra T. aveva chiesto per sè un assegno mensile di Euro 10.329,14 ovvero della diversa misura ritenuta di giustizia, e non già un assegno del minore importo di Euro 3.443,00, come invece sostenuto dal F.. Nell’atto di appello del 12.10.2007, infatti, la T., sul presupposto che il patrimonio ed il tenore di vita del F. fossero tali da imporre un assegno di mantenimento in suo favore dell’ammontare non inferiore ad almeno il doppio di quanto stabilito nel 2002 – ovvero con i provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c., in cui era stato liquidato alla T. un assegno di Euro 5.000.00, aveva così concluso: a) pronunzi (la Corte di Appello) la separazione giudiziale dei coniugi dichiarando che essa è addebitabile esclusivamente al sig. F.A. in considerazione del comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio; b) affidi il figlio minore G. alla madre e stabilisca le modalità con cui il padre potrà visitarlo e tenerlo con sè, confermando quanto già disposto dal Presidente del Tribunale con l’ordinanza del 17/07/02; e) attribuisca alla resistente ed ai figli il diritto di abitazione della casa di (OMISSIS) di proprietà del ricorrente; d) ponga a carico del F. l’obbligo del pagamento dell’assegno mensile non inferiore ad E. 10.329,14; e) condanni infine il ricorrente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Le ragioni addotte nella parte motiva e l’aver poi tenuto separata, nelle conclusioni, la posizione del figlio — relativamente al quale, alla lett. c), si chiedeva la conferma integrale del provvedimento presidenziale, e quindi anche nella parte in cui in esso veniva determinato l’assegno – da quello della moglie, di cui alla lett. d), convinceva che la richiesta avanzata dalla T. non fosse contenuta nella limitata misura di Euro 3.444.00 (così come, del resto, era stato ritenuto anche dalla Corte di Appello nella sentenza cassata, che infatti, con un provvedimento che per queste ragioni non poteva ritenersi esorbitante dai limiti della domanda, aveva liquidato alla signora un assegno di Euro 5.000,00). La determinazione dell’importo dell’assegno era vincolata ai principi di diritto enunciati dalla sentenza n. 14610/12, i quali imponevano la preliminare valutazione in concreto del tenore di vita della famiglia; la successiva verifica circa la possibilità del coniuge richiedente l’assegno di mantenere detto tenore di vita e, laddove non ne fosse stata offerta la prova specifica, di ricavare presuntivamente il tenore di vita dal reddito e dal patrimonio del coniuge più abbiente. L’annullamento in pane qua della sentenza per vizio di motivazione consentiva poi di riesaminare liberamente tutte le risultanze processuali ed, eventualmente, di indagare su altri fatti ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, così come effettivamente era stato fatto disponendo nuove indagini patrimoniali sui redditi e sui patrimoni di entrambi i coniugi. Ed infatti, al fine di pervenire alla giusta determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento in favore della signoria T., pur condividendo il principio affermato in sede di legittimità, per cui l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria non poteva essere attivato a fini meramente esplorativi giacchè costituiva una deroga alle regole generali sull’onere della e non poteva sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma valeva ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova, la Suprema Corte, nell’annullare la sentenza della Corte d’ Appello, aveva ritenuto che fosse stato omesso di accertare la reale situazione economico-patrimoniale di ciascuno dei coniugi (…) e quindi di verificare il reale tenore di vita della famiglia (…) mancando perciò, del tutto, nella motivazione della sentenza impugnata, i necessari elementi di riferimento ai quali ancorare la spettanza (…) e l’entità dell’assegno, sicchè era stata accolta l’istanza di nuove indagini sui redditi e sui patrimoni delle parti avanzata dalla difesa della appellata considerando altresì l’incompletezza dell’accertamento fatto dalla GdF nel (OMISSIS). in cui non si faceva alcun riferimento alle partecipazioni azionarie del F., richiamate invece dalla T.. Acquisiti i nuovi accertamenti, i medesimi apparivano sufficienti giacchè al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiedeva la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente una attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Per le medesime ragioni non appariva neppure necessario disporre la CTU contabile sulla quale insisteva la difesa della signora T. (richiesta che, peraltro, per come articolata, non si sottraeva ad un dubbio di inammissibilità in considerazione della sua finalità in parte “esplorativa”). Occorreva quindi avere riguardo al tenore di vita dei coniugi durante la convivenza, quale situazioni condizionante la qualità e quantità delle esigenze del coniuge richiedente, accertando altresì, le disponibilità patrimoniali dell’onerato, ricavabile non soltanto dal reddito dell’obbligato ma anche da tutti gli altri elementi di ordine economico o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti. Inoltre, nella determinazione dell’assegno di mantenimento, occorreva tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chiedeva l’assegno, qualora costituissero sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio. Il tenore di vita al quale andava rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente era quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio. quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente, sicchè, ai fini dell’imposizione e della determinazione dell’assegno, occorreva tenere conto dell’incremento dei redditi di uno di essi anche se verificatosi nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione personale non veniva meno la solidarietà economica che legava i coniugi durante il matrimonio e che comportava la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza. Alla luce di siffatti principi, del tutto irrilevante sarebbe stata, quindi, la dimostrazione che il concreto stile di vita della famiglia fosse stato modesto, come eccepiva la difesa del F.: ed infatti ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento del coniuge separato, il tenore di vita che quest’ultimo aveva diritto di mantenere non era quello di fatto consentitogli dall’altro coniuge prima della separazione, ma quello che l’altro coniuge avrebbe dovuto consentirgli in base alle sue sostanze. Ne conseguiva che irrilevante sarebbe stato il più modesto tenore di vita tollerato rispetto a quello che le potenzialità economiche dei coniugi avrebbero consentito loro, giacchè condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non fosse addebitabile la separazione erano la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettessero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione della adeguatezza dei redditi del coniuge che chiedeva l’assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del medesimo richiedente, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato. Peraltro, benchè la separazione determinasse normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita ed anche il diretto godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza della convivenza andava identificato avendo riguardo allo “standard” di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa. di garanzie di elevato benessere, oltre che di fondate aspettative per il futuro e considerando anche l’incremento dei redditi di un coniuge e il decremento di quelli dell’altro, anche se verificatisi nelle more del giudizio di separazione, in quanto durante la separazione personale non veniva meno la solidarietà economica che legava i coniugi durante il matrimonio e che comportava la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza. Sgombrato, quindi, il campo da ogni questione relativa al concreto stile di vita della famiglia, il tenore di vita poteva ricavarsi presuntivamente dal la condizione patrimoniale del F.. il quale sin dall’epoca della separazione godeva di un reddito imponibile ben superiore ad Euro 200.000,00 annui e che nel (OMISSIS) aveva dichiarato un reddito comprensivo dei crediti di imposta sui dividendi pari ad Euro 425.755,00; era proprietario o comproprietario di decine di immobili (41 unità immobiliari tra appartamenti, alcuni di particolare pregio, e terreni); era direttore generale e titolare del 10,54% delle azioni della La Doria spa, società quotata in borsa e leader nella produzione di derivati del pomodoro, succhi e bevande di frutta e di legumi conservati; era amministratore delegato della Eugea Mediterranea spa, controllata dalla Doria spa al 98,34%; era consigliere di altre società collegate o facenti parte del gruppo La Doria; possedeva auto e natanti. Dal canto suo, la signora T., che non percepiva alcun reddito. era proprietaria di una vecchia auto e di un appartamento acquistato dopo la separazione dal marito contraendo un mutuo per l’intero prezzo con garanzia ipotecaria su altro piccolo immobile di sua proprietà, attualmente entrambi oggetto di pignoramento da parte dell’istituto mutuante;

alla luce delle emergenze processuali, ivi compresa la documentazione integrativa allegata nel corso del presente giudizio dalla difesa della signora T. e non oggetto di specifica contestazione di controparte, restava confermato ed ulteriormente evidenziato l’enorme squilibrio tra i redditi delle parti già rilevato nella sentenza cassata, e siffatta condizione consentiva di liquidare definitivamente in favore della richiedente un assegno di mantenimento di Euro 7.000,00 mensili, con decorrenza dalla domanda riconvenzionale proposta nel giudizio di separazione ((OMISSIS)) e con adeguamento annuale automatico secondo gli indici Istat.

Avverso questa sentenza notificata il 16.02.2015 il F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrato da memoria e notificato il 9.03.2015 al PG % la Corte di appello di Salerno ed alla T. che il 20.04.2015 ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso principale il F. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 384 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

Assume che nel ritenere intervenuto il giudicato interno sull’an dell’assegno separatizio in favore della T., la Corte del rinvio non si è uniformata al decisum vincolante espresso nella sentenza rescindente di legittimità, che le imponeva invece di accertare anche la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione del beneficio in questione.

Il motivo non merita favorevole sorte.

Come ineccepibilmente inteso dalla Corte salernitana, in relazione all’impugnata e cassata pregressa statuizione d’appello con cui alla T. era stato attribuito l’assegno per il suo mantenimento in misura elevata ad Euro 5.000,00 mensili, questa Corte, con la precedente sentenza n. 14610 del 2010, ha rilevato e sanzionato l’assenza di motivazione sia sull’attuata e censurata quantificazione dell’apporto e sia sul diritto della T. al beneficio. imponendo per tale secondo profilo la verifica della ricorrenza dei presupposti per la relativa attribuzione, esclusivamente se l’acquiescenza sul punto da parte del F., data per scontata dalla Corte di merito nella sentenza parzialmente annullata ma da lui negata nel ricorso, non avesse trovato argomentato riscontro oggettivo. Dunque, non era preclusa la ravvisabilità del giudicato interno sulla debenza dell’apporto, ostativo al riesame della questione, legittimamente poi ravvisato dalla Corte del rinvio, in ragione del contenuto dell’appello incidentale proposto nel 2008 dal F..

2. “Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 392 e 394 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Sul presupposto dell’insussistenza del giudicato interno sulla debenza dell’assegno separatizio, il ricorrente assume l’irrilevanza e comunque l’ammissibilità ai sensi dell’art. 394 c.p..c, comma 3 dell’eventuale ampliamento apportato alle precedenti conclusioni d’appello, di quelle da lui di nuovo rassegnate nel giudizio di rinvio.

Il motivo è assorbito in ragione del rigetto del precedente, che ha eliso il presupposto della chiesta delibazione.

3. “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4″.

Si contesta che i rilievi critici generici e generalizzati contenuti nell’originario appello incidentale avverso la sentenza n. 1571 del 2007 pronunciata dal Tribunale di Salerno, consentissero di evincere la ricorrenza del giudicato interno sull’un dell’assegno separatizio in favore della T..

Il motivo è inammissibile, giacchè il passo dell’atto d’appello incidentale richiamato a fondamento delle doglianze, nel rinviare alla non trascritta analitica illustrazione dei motivi d’impugnazione, priva la doglianza di autosufficiente supporto e decisività, a fronte pure della puntuale esegesi del contenuto dell’atto compiuta dai giudici del rinvio e della logicità e plausibilità dell’avversata conclusione.

4. Violazione e falsa applicazione di legge per omessa e/o insufficiente motivazione: art. 111 Cost., artt. 132 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa motivazione su punto controverso: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il F. censura di nuovo l’esistenza del giudicato interno sull’an della somministrazione impostagli in favore della moglie, assumendo in sintesi che è mancata la compiuta analisi del suo appello incidentale, che sono state trascurate le indicazioni contenute nella sentenza rescindente la quale avrebbe escluso l’esistenza di quel giudicato, e che è stato omesso l’esame degli atti processuali in relazione ai quali si sarebbe dovuto accertare se il capo di decisione de qua fosse stato o meno impugnato.

Il motivo non ha pregio risolvendosi in generiche e non decisive critiche, non solo esorbitanti dai noti nuovi limiti di deducibilità dei vizi argomentativi previsti dall’innovato art. 360 c.p.c., n. 5, ma anche in gran parte già dedotte nei disattesi precedenti motivi e comunque smentite dal contenuto dell’impugnata sentenza.

5. “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 156 c.c. con riferimento all’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

6. “Violazione e Falsa applicazione di legge: art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4 omessa e/o insufficiente motivazione su un punto controverso: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, rispetto alla sostenuta iniziale limitazione dell’entità dell’assegno separatizio all’importo di Euro 3433,00, corrispondente ad 1/3 del preteso totale di Euro 10.329,14.

7. “Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto controverso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis alla controversia oggetto di esame, nel suo complesso considerato”.

Con il quinto, il sesto e la prima parte del settimo motivo del ricorso principale, suscettibili di esame unitario. il F. infondatamente censura per più profili, estesi anche all’iter argomentativo, la quantificazione dell’assegno da lui dovuto per il mantenimento della moglie; nella parte finale del settimo motivo invece le sue censure nuovamente involgono l’an dell’apporto e replicano rilievi critici già in precedenza esaminati e disattesi sicchè vanno reputate assorbite.

Per la parte concernente il quantum della statuita contribuzione le dedotte doglianze in parte inammissibilmente involgono, in base a generiche ed assiomatiche premesse fattuali, accertamenti e valutazioni di merito che esorbitano dall’ambito del giudizio di legittimità, in parte si sostanziano in analisi ed ampi richiami di principi normativi e giurisprudenziali sul tema dell’assegno separatizio, sui quali anche la Corte del rinvio si è sapientemente e pertinentemente diffusa per poi conclusivamente ed irreprensibilmente applicarli, nel contempo del pari ineccepibilmente attenendosi alle vincolanti indicazioni della sentenza rescindente di legittimità. Inoltre, i giudici del rinvio appaiono avere sia legittimamente compiuto, in via presuntiva ed in base gli emersi dati fattuali, l’accertamento sul tenore non certo modesto della vita di cui la famiglia avrebbe potuto oggettivamente fruire, correttamente pure desunto dal riscontrato positivo incremento che nel tempo avevano avuto le sostanze economiche del F. e dall’esito delle reiterate indagini officiose demandate alla GdF, e sia non trascurato di verificare e comparare la diversa consistenza delle condizioni patrimoniali di pertinenza di ciascun coniuge e la notevole entità del divario. D’altra parte irreprensibile appare anche la compiuta (in entrambe le sentenze d’appello) e motivata esegesi delle conclusioni rassegnate dalla T. nel suo appello principale, che in effetti ben potevano essere anche intese come non volte a riferire il posto limite di Euro 10.329,14 all’importo complessivo del mantenimento dalla stessa preteso per sè e per la prole, ma solo a quello per sè, separando le due posizioni.

Col ricorso incidentale la T. deduce “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 384 e conseguente omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) “, assumendo l’insufficiente quantificazione dell’assegno in rapporto alla sua svantaggiata situazione patrimoniale, alla notevole entità del divario esistente tra le sue condizioni economiche e quelle del coniuge. negli anni incrementatosi. nonchè alle sue fondate aspettative per il futuro. Il motivo è inammissibile, sostanziandosi in generiche critiche prive, prima che di conclusioni coerenti anche col limite di valore indicativamente apposto alla domanda, di adeguati riscontri oggettivi e perciò non decisive.

Conclusivamente si devono respingere sia il ricorso principale che quello incidentale. L’esito del giudizio di legittimità giustifica, in ragione della prevalente soccombenza del F., la compensazione per la metà delle relative spese e la condanna del medesimo F. al pagamento in favore della T. della restante metà, liquidata come in dispositivo. Non ricorrono i presupposti per la chiesta condanna del F. ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Compensa per la metà le spese del giudizio di cassazione. spese che liquida per l’intero in Euro 9.000.00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge, e che pone per la residua metà a carico del F. condannandolo al relativo pagamento in favore della T..

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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