Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 183 del 05/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 05/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.05/01/2017),  n. 183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26134/2015 proposto da:

D.M.W., in proprio e quale eredi di

C.M.L. elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA N. 2, presso

lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO MARIA MAZZOLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositato in data

01/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con decreto 1.4.2015 la Corte d’Appello di Lecce accolto solo in parte la domanda di equa riparazione proposta il 30.1.2012 da D.M.W. e B.D. in relazione alla durata irragionevole di un giudizio civile in materia di servitù promosso in data 12.10.1998 contro la loro dante causa C.M.L. (deceduta in corso di causa) e ancora pendente davanti al Tribunale di Bari al momento del deposito del ricorso (30.1.2012).

La Corte salentina ha ravvisato un periodo di durata irragionevole di un anno solo con riferimento al segmento compreso tra l’inizio della lite (12.10.1998) e il decesso della C. (avvenuto il (OMISSIS)) e solo con riferimento a tale periodo ha liquidato ai ricorrenti, iure hereditatis, un indennizzo di Euro 750,00; ha negato invece la liquidazione dell’indennizzo per l’intera durata del giudizio presupposto in considerazione della mancata costituzione dei ricorrenti quali eredi nel giudizio presupposto.

2 Per la cassazione di tale decreto ricorre la sola D.W. con due censure.

Il Ministero della Giustizia non svolge attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Denunziando l’omessa e insufficiente motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, par. 1, artt. 13, 14 e 41 CEDU nonchè artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello di avere ritenuto che l’erede della parte deceduta in corso di causa possa rivendicare l’indennizzo solo se si costituisce in giudizio, mentre invece tale diritto spetta anche all’erede che sia rimasto contumace, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Rileva che dopo il decesso della convenuta il giudizio venne tempestivamente riassunto nei confronti degli eredi e la scelta di costoro di rimanere contumaci non li priva del paterna per la durata del processo. La Corte leccese avrebbe dovuto riconoscere pertanto anche l’indennizzo iure proprio commisurandolo all’intera durata del giudizio dal suo avvio (12.10.1998) sino alla pubblicazione della sentenza che lo ha definito (4.6.2013) secondo il parametro fissato (Euro 750,00 per i primi tre anni e 1.000,00 per gli anni successivi) considerando anche la frazione di anno pari a otto mesi, per un totale di 11 anni e 8 mesi (detraendosi dalla durata complessiva i tre anni di durata ragionevole.

Il motivo è fondato per quanto di ragione.

Le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo nè l’esito della causa, nè le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 585 del 14/01/2014 Rv. 628869).

Nel caso che ci occupa, come si evince dal decreto impugnato, la morte della convenuta C.M.L. avvenne il (OMISSIS), nel corso del giudizio di primo grado, e l’attore provvide a riassumere il giudizio nei confronti degli eredi che però non si costituirono.

Sulla scorta del citato principio, appare palese l’errore di diritto della Corte pugliese, che evidentemente ha frainteso il senso di altra pronuncia, da essa richiamata (Sez. 2, Sentenza n. 4003 del 19/02/2014 Rv. 629631) e riguardante invece ipotesi del tutto diversa, quella cioè degli eredi della parte del giudizio presupposto per il periodo in cui sono rimasti estranei al processo perchè non chiamati in riassunzione nè costituitisi volontariamente per proseguirlo. La conclusione a cui è pervenuta in tale ipotesi questa Corte è coerente con la pronuncia delle sezioni unite perchè, come appare evidente, il soggetto chiamato a partecipare a un giudizio quale erede del litigante defunto, ma in esso non intervenuto, è formalmente coinvolto a tutti gli effetti nel giudizio, di cui subisce tutte le conseguenze anche in termini di patema per la sua durata: la sua posizione è quindi ben diversa da quella del chiamato all’eredità o erede di una parte in causa rimasto invece al di fuori del processo proprio per mancanza di un atto di riassunzione e che potrebbe quindi essere del tutto all’oscuro dell’esistenza del giudizio riguardante il proprio dante causa oppure, in ipotesi, potrebbe avere addirittura rinunziato all’eredità o trovarsi nella posizione di mero chiamato.

Il decreto va pertanto cassato con rinvio per nuovo esame sulla scorta del principio enunciato precisandosi però che – sempre per quanto sopra esposto – non potrà computarsi il periodo di tempo compreso tra la data del decesso e quello della notifica dell’atto di riassunzione nei confronti dell’erede o, in mancanza di tale atto, della sua costituzione volontaria per la prosecuzione.

Sotto tale ultimo profilo, non può condividersi la tesi della ricorrente che invece pretende una commisurazione all’intera durata del giudizio dall’avvio alla definizione.

Il giudice di rinvio – che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Lecce – considererà anche le frazioni di anno secondo il suo prudente apprezzamento (non trovando applicazione alla fattispecie la novella introdotta con la L. n. 89 del 2001, art. 2 bis) e regolerà, infine, le spese del giudizio di l egittimità.

PQM

accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2017

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