Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18299 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 03/09/2020), n.18299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 2362-2018 proposto da:

A.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati LUIGI GIACOMO MESSINA, GIUSEPPE MONTALBANO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI AGRIGENTO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FAUSTO GAETANO GIULIANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 927/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/07/2020 dal Presidente Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Sciacca, su ricorso di A.L.M., ha dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato dalla ricorrente con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento (d’ora in poi solo Azienda o ASP) in data 1/1/2013, prorogato fino al 30/6/2013, e ha condannato l’Azienda a pagare alla ricorrente un’indennità a titolo di risarcimento del danno. La sentenza è stata impugnata dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento e la Corte d’appello di Palermo, nell’accogliere l’impugnazione, ha rigettato la domanda.

La Corte ha precisato che la domanda attrice era stata accolta dal Tribunale con riferimento all’ultimo dei contratti stipulati, perchè rispetto ai precedenti la lavoratrice era incorsa nella decadenza prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, come modificata dalla L. n. 92 del 2012, avendo impugnato i contratti oltre i termini ivi indicati.

Ha pertanto ritenuto che, trattandosi di un unico contratto a termine, illegittimo per la genericità delle ragioni poste a fondamento della clausola di durata, non sussistessero i presupposti per il risarcimento del danno di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 dal momento che, in proposito, la lavoratrice non aveva specificato i profili di illegittimità individuati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5 – inerenti alla proroga e ai supposti profili di abuso, necessario ai fini del riconoscimento del cosiddetto danno comunitario e che tale lacuna assertiva impediva l’accoglimento della domanda.

Contro la sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione e ha formulato un unico complesso motivo al quale ha resistito con controricorso la Azienda.

La proposta del relatore, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata è stata notificata alla controparte.

In prossimità dell’adunanza le parti hanno depositato memorie. Considerato che:

Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e alla Direttiva 1999/70 CHE, clausola n. 5.

Lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui, pur avendo richiamato i principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072/2016, nonchè i principi espressi dal diritto Eurounitario, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno senza considerare che il contratto illegittimo per genericità della causale era stato prorogato.

Ritiene il collegio che la decisione del ricorso supponga un’analisi della disciplina applicabile ratione temporis al contratto in esame di rilievo nomofilattico e che pertanto non sussistano i presupposti previsti dall’art. 380 bis c.p.c. per una definizione in questa sede.

Invero, non è contestato che il contratto della cui illegittimità si discute, quale fatto generatore del danno lamentato dalla ricorrente, è stato stipulato in data 1/1/2013 e prorogato fino al giorno 30 giugno successivo.

La Corte territoriale ha escluso la sussistenza del danno sul presupposto che la parte appellata non avesse specificato i profili di illegittimità, tra quelli individuati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5, e che a tal fine fosse insufficiente l’assunto della ricorrente circa la illegittimità derivata della prosecuzione del rapporto in conseguenza della illegittimità del termine originariamente apposto.

Quest’ultima affermazione non appare in linea con una recente ordinanza di questa Corte (Cass. 04/02/2020, n. 2534, che richiama Cass. 28/02/2017, n. 5229) secondo cui, rispetto al contratto a termine prorogato, sussistono le medesime esigenze di prevenire gli abusi che hanno ispirato il legislatore comunitario sul tema della reiterazione dei contratti a termine.

Si è pertanto statuito che: “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la mancata indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine al contratto, poi prorogato, dà luogo ad una abusiva reiterazione del contratto a tempo determinato, che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, e dà luogo al diritto al risarcimento del danno comunitario secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite della S.C. nella sentenza n. 5072 del 2016” (Cass. n. 2534/2020, cit.).

Secondo questa sentenza, infatti, la nullità del primo contratto a-causale si riverbera anche sulla proroga, con conseguente illegittimità della reiterazione.

Sennonchè, nel caso in esame il contratto è stato stipulato nel vigore della L. 28 giugno 2012, n. 92 (entrata in vigore il 18 luglio 2012), che, con l’art. 1, comma 9, ha apportato delle modifiche al D.Lgs. n. 368 del 2001 e, in particolare, ha inserito nell’art. 1, il comma 1-bis, che così dispone: b) all’art. 1, dopo il comma 1 (che prevedeva: “è consentita l’apposizione di un termine la durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, n.d.e.) è inserito il seguente comma: “1-bis. Il requisito di cui al comma 1 non è richiesto nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 20, comma 4”.

La L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 1, lett. d), ha poi modificato anche il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, inserendo il comma 2 bis, a tenore del quale “il contratto a tempo determinato di cui all’art. 1, comma 1 bis, non può essere oggetto di proroga”.

Si desume dalle dette disposizioni che, con l’entrata in vigore della legge cosiddetta Fornero (e prima del D.L. 28 giugno 2013 n. 76, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 99, che ha consentito la proroga purchè temporalmente contenuta nei dodici mesi), era consentita la stipulazione di contratti a tempo determinato a-causali per un tempo non superiore a 12 mesi, non suscettibile di proroga.

Si pone pertanto il duplice problema di verificare, da un lato, l’applicabilità di tali disposizioni al contratto in esame, in quanto stipulato da una pubblica amministrazione e soggetto alla disciplina prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dall’altro la configurabilità di un abuso risarcibile in caso di proroga (illegittima) di un contratto a-causale legittimo, in quanto stipulato nel vigore della legge Fornero (e prima del D.L. n. 76 del 2013, citato).

La decisione di rimettere la questione alla Sezione semplice ex art. 380 bis c.p.c. è inoltre suggerita da rilievo che non può dirsi formato il giudicato sulla valutazione compiuta dalla Corte circa la illegittimità del primo contratto, non potendosi ritenere che nella specie si sia formata la cosiddetta ” minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, la quale individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (Cass. 08/10/2018, n. 24783; Cass. 17/04/2019, n. 10760).

L’impugnazione incentrata sull’effetto giuridico conseguente alla presunta illegittimità del primo contratto, benchè investa solo uno degli elementi della detta sequenza, riapre la cognizione sull’intera statuizione, e quindi anche sul presupposto giuridico costituito dalla qualificazione (in termini di legittimità o illegittimità) del primo contratto.

P.Q.M.

dispone che la presente causa sia rimessa alla IV sezione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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