Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18297 del 25/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/07/2017, (ud. 11/04/2017, dep.25/07/2017),  n. 18297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17287-2015 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., P.I. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio

dell’avvocato SAVERIO CASULLI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GUGLIELMO BURRAGATO, PIETRO ICHINO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ANTONIO CANTORE 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MARIA GAZZONI, rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLO MOLINARA,

MAURIZIO MARANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 845/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 14/07/2014 R.G.N. 242/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SAVERIO CASULLI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A., già dipendente della Banca Antonveneta s.p.a. e quindi della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., incorporante la prima, adiva il Tribunale di Nocera Inferiore deducendo di essere stato licenziato dalla Banca M.P.S. con atto comunicato con lettera A/R datata 26.9.06, pervenuta in data 7.10.2006; che, al momento del licenziamento, svolgeva mansioni di cassiere; che in data 28.6.2006 veniva temporaneamente allontanato dal servizio; che con atto datato 10.7.2006, recapitato in data 25.7.2006, la detta società gli notificava delle contestazioni di addebito relative a fatti verificatisi in data 14 e 15.6.2006 (aver imputato, in concomitanza con una verifica interna, con la causale “52” il conto corrente intestato alla Sig.ra V. per un importo di Euro 5.150,00 con uscita di n. 103 banconote da 50 Euro, in assenza di alcuna documentazione giustificava ed identificando altresì, ai fini dell’antiriciclaggio, C.A., Sua figlia, non autorizzata ad operare sul predetto rapporto ed inoltre non presente in Filiale al momento dell’operazione; alle ore 10,51 del giorno successivo, Lei ha poi provveduto allo storno dell’operazione mediante l’introito della medesima pezzatura e con la descrizione addebito erroneamente digitato); che esso ricorrente faceva pervenire le sue controdeduzioni chiedendo anche l’audizione personale; audizione svoltasi in data 30.8.2006; che con atto del 26.9.06, pervenuto il 7.10.06, gli veniva irrogato un licenziamento disciplinare; che tale licenziamento era affetto da nullità “ed illegittimità per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, essendo stato in ogni caso “intimato in assenza delle condizioni di legge, nonchè in assenza del requisito della proporzionalità”; chiedeva pertanto la declaratoria di nullità ed illegittimità del licenziamento, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Instauratosi il contraddittorio, la Banca M.P.S. instava per il rigetto delle avverse domande sostenendo che i comportamenti inadempienti risultavano provati, anche mediante una ispezione del servizio controlli della Banca Antonveneta, e tali da integrare gli estremi della giusta causa, evidenziando la congruità del provvedimento anche sotto il profilo della tempestività. Svolta attività istruttoria il Tribunale, con sentenza n. 389/11, rigettava la domanda compensando integralmente le spese di lite.

Sull’eccezione di tardività della contestazione osservava che i fatti posti a base di essa, avvenuti in data 14.6.2006, erano stati contestati tempestivamente in quanto la contestazione venne inoltrata in data 10.7.2006. Il Giudice sottolineava anche che la resistente, dotata di una complessa struttura organizzativa, aveva impiegato il tempo trascorso per effettuare accertamenti indispensabili ed a tal fine aveva anche provveduto all’allontanamento temporaneo dal servizio del ricorrente mediante sospensione cautelare; che il lavoratore aveva avuto modo di difendersi compiutamente dalle accuse.

In ordine alla lamentata sproporzione tra la sanzione ed il comportamento ipotizzato, il Tribunale ritenne che il ricorrente avesse ammesso i fatti contestati per aver svolto deduzioni incompatibili con il loro disconoscimento. Ha quindi ritenuto gravi i fatti in questione, tali da concretare la giusta causa di recesso.

Avverso detta sentenza proponeva appello il C.; resisteva la Banca.

Con sentenza depositata il 14.7.2014, la Corte d’appello di Salerno accoglieva il gravame, condannando la Banca alla reintegra del C. nel suo posto di lavoro, ed al pagamento di una indennità pari a due anni dell’ultima retribuzione globale di fatto, ritenendo insussistente una giusta causa di licenziamento.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Banca M.P.S., affidato a dieci motivi.

Resiste il C. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa il fatto posto a base del licenziamento, decisivo per il giudizio.

Il fatto che ad avviso della ricorrente sarebbe stato travisato dalla sentenza impugnata è che al C. venne contestato di avere volontariamente alterato la contabilità della sua cassa, proprio in concomitanza di una verifica sulla giacenza di essa.

Lamenta che un simile comportamento, da parte di un cassiere di Banca, non può che comportare l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario con conseguente giusta causa di licenziamento.

1.1-Deve in via generale premettersi, con riferimento al motivo in esame e molti dei successivi proposti, che denunciare, nel regime di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, una insufficiente motivazione (poichè in ciò si risolve la censura in esame) circa un fatto esaminato è un ossimoro, poichè la norma citata consente di censurare solo l’omesso esame di un fatto decisivo e non un vizio di motivazione del fatto esaminato.

Il motivo è dunque inammissibile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 chiedendo in sostanza a questa Corte un non consentito riesame del fatto esaminato dalla sentenza impugnata e dell’interpretazione (anch’essa giudizio di fatto) della contestazione disciplinare, fatto anch’esso ampiamente esaminato dalla sentenza impugnata. La norma processuale indicata, peraltro, rende inammissibile in questa sede anche il denunciato travisamento del fatto (cfr. da ultimo Cass. sez. un. n. 22398/16), peraltro ampiamente e correttamente esaminato dalla sentenza impugnata che ha motivatamente ritenuto avere il C. solo prelevato, su richiesta della cliente che intendeva riscuoterla, la somma di denaro in questione, riponendola dentro uno scaffale vicino alla cassa e lì dimenticandola a fine giornata per non essere più la cliente passata a ritirare l’importo.

2.- Con il secondo motivo la Banca denuncia l’omessa motivazione circa il fatto oggetto di contestazione disciplinare, decisivo per il giudizio. Lamenta che la sentenza impugnata non considerò adeguatamente che il fatto contestato sarebbe stato posto in essere in concomitanza con una verifica di cassa, sicchè il comportamento del C. assumeva tutt’altro e più grave significato.

Anche tale motivo è inammissibile, per le ragioni sopra dette, essendo diretto ad una diversa ricostruzione dei fatti di causa.

3.- Con il terzo motivo la Banca denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7. Lamenta che la dedotta imminenza di una verifica di cassa non mutava la contestazione disciplinare, come sembra aver ritenuto la sentenza impugnata, consentendo al C. di difendersi adeguatamente.

Il motivo è per un verso inammissibile, attenendo ad accertamenti di fatto compiuti dalla sentenza impugnata, d’altro canto è inconferente avendo la sentenza impugnata, come detto, adeguatamente accertato che il C. pose in essere il fatto contestato non per celare l’irregolarità della cassa nell’imminenza di una verifica, ma a causa di una richiesta di prelievo di contante di una cliente che poi non si recò più a riscuotere la somma.

4.- Con quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2119 c.c. Lamenta che la corte salernitana escluse la giusta causa di recesso anche in base alla considerazione che il comportamento contestato non aveva arrecato alcun pregiudizio alla Banca, circostanza questa pacificamente ritenuta non decisiva dalla giurisprudenza di legittimità.

Il motivo è infondato in quanto, pur essendo vero che l’assenza di pregiudizio economico per il datore di lavoro (o anche la sua tenuità) non elimina di per sè la gravità del comportamento contestato (Cass. n. 16260/04, Cass. n. 19684/14), nella specie, come detto, la sentenza impugnata ha accertato esservi stata solo una dimenticanza della somma, riposta in apposito scaffale, richiesta da una cliente non più presentatasi nella giornata per ritirarla, e dunque un comportamento privo (di dolo e) di effettive ripercussioni negative sul vincolo fiduciario, tale da porre in dubbio la futura correttezza degli adempimenti.

5.- Con il quinto motivo la Banca denuncia l’omessa motivazione circa la violazione dell’elemento fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, fatto decisivo per il giudizio.

Lamenta ancora una volta che la sentenza impugnata non considerò adeguatamente che il C. al fine di evitare le conseguenze della verifica di cassa in corso, occultò un preesistente ammanco attraverso un fittizio prelevamento ed un successivo storno di denaro.

Il motivo, in effetti ripetitivo dei precedenti, non può che subire analoga sorte.

6.- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. Lamenta che la ricostruzione fattuale compiuta dalla sentenza impugnata, secondo cui il C. prelevò la somma in attesa che la cliente, che aveva chiesto di riscuoterla, ricevesse l’autorizzazione da parte del direttore della Filiale, anticipando l’operazione e dimenticando poi la somma in uno scaffale contiguo alla cassa, per poi stornarla il giorno dopo non essendo la cliente tornata con l’autorizzazione, non era sostenuta da alcuna prova.

Il motivo è infondato, gravando sul datore di lavoro provare l’esistenza della giusta causa di licenziamento, sicchè la ricostruzione giudiziale dei fatti contestati, non direttamente censurabile in questa sede in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non viola in alcun modo la citata norma codicistica.

7.- Con il settimo motivo la Banca denuncia l’omesso esame di fatti dimostrativi dell’intenzionalità del comportamento inadempiente del C., decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

A tal fine riporta brani di alcune deposizioni testimoniali e sottopone alla Corte circostanze di fatto che smentirebbero gli assunti difensivi del C..

Anche tale motivo è inammissibile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 chiedendo in sostanza a questa Corte un non consentito riesame del fatto contestato.

8.- Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 346 c.p.c.

Lamenta che si sarebbe formato un giudicato interno sull’affermazione del primo giudice secondo cui la giusta causa sussiste anche in caso di sola colpa.

Il motivo è infondato, non trattandosi di una statuizione suscettibile di passare in giudicato, ma solo di una considerazione in tesi svolta dal Tribunale, e cioè di un passaggio logico della motivazione di tale sentenza che non risulta, nè la ricorrente chiarisce, aver svolto un autonomo e decisivo ruolo nella decisione finale.

9.- Con il nono motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7. Lamenta la mancata valutazione, da parte della sentenza impugnata, di un precedente disciplinare (in tesi specifico) del C..

Il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente chiarito il tenore di tale precedente disciplinare, nè prodotto il relativo documento (in contrasto con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4).

10.- con il decimo motivo la Banca denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. Lamenta che la sentenza impugnata omise di pronunciarsi sulla eccezione subordinata di conversione del licenziamento in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Anche tale motivo è inammissibile, non avendo la Banca chiarito e documentato, in quale sede, in che termini e quando tale eccezione sarebbe stata ritualmente sottoposta al giudice del gravame.

In ogni caso il motivo risulterebbe infondato, avendo la corte di merito accertato essersi verificata una mera irregolarità o dimenticanza del C., certamente non integrante un motivo di licenziamento.

11.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017

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