Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18295 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. II, 05/08/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 05/08/2010), n.18295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 22145-2008 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA

DUSE 35, presso lo studio dell’avvocato MANGANI RICCARDO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIELLA GOLDIN, giusta

procura alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.C., M.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DANTE 12, presso lo studio dell’avvocato AVELLANO SILVIO, che

li rappresenta e difende, giusta mandato speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1926/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

28.11.07, depositata il 27/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per i controricorrenti l’Avvocato Silvio Avellano che si

riporta agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. PASQUALE PAOLO MARIA CICCOLO

che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Alle parti è stata comunicata relazione, di cui si riproduce la prima parte, redatta dal consigliere relatore ex art. 380 bis c.p.c.:

con ricorso notificato il 19 settembre 2008, la G. impugna la sentenza resa il 27 dicembre 2007 dalla Corte d’appello di Torino, con la quale è stato respinto il gravame proposto per impugnare la sentenza del tribunale di Biella del 13 ottobre 2004. Il tribunale aveva respinto le domande proposte dall’attrice avverso B. C. e M.M., relative alla rimozione di un muretto e pilastri elevati sopra il muro comune tra le proprietà immobiliari delle parti, site in (OMISSIS) e la demolizione di altri manufatti, eretti in violazione delle distanze legali e comunque della proprietà attorea. B. e M. hanno resistito con controricorso. Il primo motivo in epigrafe denuncia genericamente una violazione della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Si discute di indebita interpretazione della domanda come azione di regolamento di confini e di mancata ammissione di prove testimoniali. Il motivo non si conclude con rituale quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c.; in un punto conclusivo dello svolgimento si dice che la ricorrente “deduce l’error in procedendo consistente nel difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato per il travisamento da parte del giudice di merito della causa petendi dedotta”. Si aggiunge che era stato chiesto l’abbattimento dell’opera eretta dai convenuti, in quanto costruita sulla sommità di un muro comune e non già in quanto costruita sul proprio fondo sulla base di una dedotta azione di regolamento dei confini.

Questa formulazione, ad avviso del Collegio non può integrare gli estremi del quesito di diritto, cioè di una sintesi logico-giuridica della questione, tale da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Su 26020/08), ditalchè il motivo risulta inammissibile anche nei limiti sopraindicati. Peraltro l’inammissibilità scaturisce anche dalla non rispondenza delle deduzioni soprariportate alla ratto della decisione. La lettura della sentenza esclude infatti che la Corte d’appello sia incorsa in equivoco e abbia quindi omesso di pronunciarsi sul punto controverso.

La sentenza impugnata ha escluso il presupposto della domanda (costruzione abusiva su un muro comune, eseguita indebitamente da parte di uno dei vicini), affermando che il manufatto insiste interamente su proprietà dei convenuti e che il “manufatto interrato” cui si riferisce l’attore è privo di “rilevanza” e dunque non ha quella consistenza di muro comune indebitamente utilizzato sul quale fa perno il motivo di ricorso. Ciò significa inequivocabilmente che non vi è stata la violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., ma che la domanda è stata esaminata anche sotto il profilo esposto e respinta perchè prevalenti argomenti di segno contrario hanno escluso il suo presupposto e hanno sorretto la tesi, con esso incompatibile, che le opere denunciate insistano su area dei convenuti. Contro questa ricostruzione dei fatti e contro la mancata ammissione di prove testimoniali, parte ricorrente doveva insorgere eventualmente con motivo esposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, restando perciò del tutto inammissibile la censura prospettata.

Il secondo motivo, che denuncia violazione di norme di diritto in tema di regolamento dei confini, omette del tutto la formulazione del quesito di diritto, a conferma del fatto che le prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c. non sono state rispettate da parte ricorrente nel predisporre il ricorso.

Parte ricorrente non ha depositato memoria, dimessa in atti dai controricorrenti, che hanno insistito per il rigetto del ricorso. Il Collegio reputa prevalenti i profili di inammissibilità del ricorso prima evidenziati, dai quali discende anche la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.500 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

 

 

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