Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18291 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. II, 05/08/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 05/08/2010), n.18291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D.G., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avvocato Pagano Salvatore, domiciliato in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema

di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI – ISPETTORATO CENTRALE

REPRESSIONE FRODI, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

e sul ricorso n. 6607/2007, proposto da:

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI – ISPETTORATO CENTRALE

REPRESSIONE FRODI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato

e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui

uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.D.G.;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Messina, sezione distaccata di

Taormina, n. 274/05, depositata in data 2 dicembre 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Destro Carlo, il quale ha chiesto che il rigetto del

ricorso, per manifesta infondatezza dei motivi, con assorbimento del

ricorso incidentale;

sentito, per il ricorrente principale, l’Avvocato Pagano Salvatore,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Ciccolo Pasquale Paolo Maria, che ha confermato le conclusioni

scritte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata in data 2 dicembre 2005, il Tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina, rigettava l’opposizione proposta da D.D.G. avverso l’ordinanza ingiunzione emessa nei suoi confronti dal Ministero delle Politiche Agricole – Ispettorato Centrale Repressione Frodi, Ufficio di Palermo, per il pagamento della somma di Euro 2.220,59, a titolo di sanzione amministrativa per l’indebito percepimento degli aiuti comunitari nel settore zootecnico (ovini e caprini) per gli anni 1997, 1998, 1999 e 2000.

Il Tribunale rilevava che vi era in atti prova dell’avvenuto accertamento rilevante ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 13, giacchè nel processo verbale di contestazione per violazione della L. 23 dicembre 1986, n. 898, gli agenti accertatori avevano dato atto dell’epilogo dell’attività di accertamento avente ad oggetto la liceità del percepimento di finanziamenti dal FEOGA da parte dell’opponente, il quale del resto era stato presente al momento della formazione del verbale; in sostanza, nell’unico verbale del 15 marzo 2001 dovevano ritenersi inclusi sia l’accertamento della violazione che la contestazione della stessa. Nè era di ostacolo alla configurazione di detto verbale come atto di accertamento il fatto che gli agenti accertatori avessero proceduto con metodo induttivo anzichè deduttivo, in considerazione dei limiti alla efficacia probatoria privilegiata di detto verbale.

Ciò premesso, il Tribunale riteneva infondato l’assunto difensivo dell’opponente, il quale aveva sostenuto, sia pure implicitamente, la sussistenza in capo a sè, per le annate 1997, 1998 e 1999, dello status di allevatore, la regolare tenuta del registro aziendale funzionale all’erogazione del premio per l’anno 1997 e la fedele dichiarazione di avvenuto rispetto della normativa sulla eradicazione delle malattie infettive in seno alle domande di accesso al premio per gli anni 1997, 1998 e 1999. Al contrario, osservava il Tribunale, alla luce delle risultanze degli accertamenti della Guardia di Finanza doveva concludersi per l’insussistenza, in capo al ricorrente, all’epoca della formulazione delle richieste di premio, della qualifica soggettiva di produttore di carni ovine e/o caprine.

Tale qualifica, e la correlata necessaria assunzione a titolo permanente dei rischi e soprattutto dell’organizzazione dell’allevamento, non parevano infatti in alcun modo conciliabili con la qualifica, allo stesso D.D. riconosciuta dall’INPS, di bracciante agricolo (occupato per 101 giorni del 1997, per 51 giorni nel 1998 e nel 1999, come bracciante agricolo all’interno dell’azienda agricola di tale D.D.G. e disoccupato per gran parte dell’anno solare). Già tale rilievo giustificava, ad avviso del Tribunale, l’ordinanza emessa nei confronti dell’opponente, per l’illegittima esposizione nelle domande di premio di zootecnia di un dato – quello afferente alla qualità di produttore – in realtà non esistente. Invero, la pur non decisiva circostanza dell’avvenuto svolgimento di attività dipendente da parte dell’opponente, assumeva un significato rilevante ai fini della infondatezza dell’opposizione ove correlata alla circostanza della iscrizione del medesimo opponente alla liste di collocamento della Sezione di collocamento di Francavilla Sicilia; all’omessa richiesta di attribuzione di marchi identificativi degli animali; alla falsa attestazione di avvenuta sottoposizione dell’allevamento al piano per la eradicazione delle malattie infettive, trattandosi nel loro insieme di circostanze idonee a dimostrare l’insussistenza, in capo all’opponente, della necessaria qualità di produttore.

A fronte di tali rilievi, la mera titolarità del gregge in capo all’opponente, non corredata da una serie di altre indicazioni circa le persone delle quali egli si sarebbe avvalso nei giorni in cui era occupato nello svolgimento dell’attività di bracciante agricolo, non valeva a mutare il quadro probatorio. La documentazione in atti, inoltre, era idonea a ritenere immune dalle censure proposte l’ordinanza opposta nella parte in cui per gli anni 1997-1999 ha contestato la legittima esposizione nelle domande di premio di un dato, quello afferente alla qualità di produttore, non corrispondente alla realtà. Con la precisazione che l’opponente aveva acquisito la disponibilità del registro aziendale solo dopo (10 luglio 1997) la domanda di accesso al premio nella quale si deduceva la regolare tenuta di esso, costituendo ciò riprova dell’avvenuta esposizione di un dato falso. Così come falsa doveva ritenersi l’affermazione, contenuta nelle domande 1997-1999, dell’avvenuta sottoposizione degli animali al piano di eradicazione, non essendo detto piano mai stato attuato dagli organi competenti.

Analoghe considerazioni il Tribunale riteneva infine che dovessero valere per la domanda relativa all’anno 2000, stante il permanere della qualità di bracciante agricolo riconosciuta all’opponente dall’INPS e non specificamente contestata dal medesimo opponente. In ogni caso, la domanda per l’anno 2000 conteneva l’esposizione del dato falso relativo all’avvenuta sottoposizione degli animali ad un piano di eradicazione delle malattie infettive in realtà mai attuato.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre D.D.G. sulla base di quattro motivi; resiste l’intimata amministrazione, la quale propone altresì ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente essere disposta la riunione dei due ricorsi, in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Deve altresì rilevarsi che oggetto di impugnazione è una sentenza depositata il 2 dicembre 2005, rispetto alla quale dunque non opera la disposizione di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ai ricorsi relativi a sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006 e sino al 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che quella disposizione ha abrogato).

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente principale deduce violazione della L. n. 689 del 1981, art. 13, artt. 2699, 2700 e 2697 cod. civ., nonchè vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

Il Tribunale, sostiene il ricorrente, avrebbe attribuito efficacia probatoria privilegiata al verbale della Guardia di Finanza senza avere effettuato i riscontri immediati e diretti circa la veridicità di quanto asserito da esso ricorrente nelle varie richieste di contributi formulate negli anni considerati; in tal caso, infatti, il verbale poteva al più costituire un mero indizio, consistendo gli accertamenti in valutazioni espresse dagli accertatori sulla base dei documenti forniti dal destinatario dell’accertamento, in quanto tali prive della efficacia di cui all’art. 2700 cod. civ..

Il motivo è inammissibile per genericità.

Il ricorrente, invero, si duole del fatto che il Tribunale abbia escluso la denunciata violazione – che in sede di opposizione era stata dedotta sul rilievo che la Guardia di Finanza avrebbe redatto l’atto non sulla base di autonomi accertamenti, ma unicamente tenendo conto dei documenti da esso ricorrente esibiti -, ritenendo che gli agenti accertatori potessero agire con metodo induttivo anzichè deduttivo. In realtà, nel mentre il giudice del merito ha esattamente rilevato che l’atto di accertamento ha necessariamente un contenuto di acquisizione di dati e di valutazione degli stessi e nel mentre nulla vieta che i dati esaminati dagli accertatori possano essere anche costituiti dai documenti forniti dall’interessato, tanto più in un caso in cui la contestazione aveva ad oggetto la indebita percezione di un aiuto comunitario derivante dalla esibizione proprio di quella documentazione, le censure del ricorrente non appaiono idonee ad evidenziare il denunciato vizio della sentenza impugnata, giacchè il ricorrente nulla ha dedotto su quali fossero le contestate presunzioni degli agenti accertatori, su quali fossero gli atti dai quali quelle indicazioni erano state desunte e comunque sul perchè le affermazioni della Guardia di Finanza fossero per ciò solo inattendibili. Il ricorrente, del resto, neanche deduce l’esistenza di elementi che non sarebbero stati percepiti direttamente dai verbalizzanti, sia pure sulla base della documentazione ad essi esibita, che il Tribunale ha posto a fondamento della propria decisione.

Il mancato accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta l’assorbimento dell’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale l’amministrazione si duole del mancato accoglimento, da parte del Tribunale, della eccezione di inammissibilità, per genericità, del motivo di opposizione concernente la mancanza di accertamento della contestata violazione.

Con il secondo motivo, il ricorrente principale deduce violazione dell’art. 1 del regolamento CEE n. 3493/1990, nonchè vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

Premesso che la citata disposizione comunitaria prevede, per l’accesso ai premi, la qualità di imprenditore agricolo, proprietario di un gregge di almeno dieci ovini o caprini e l’assunzione a titolo permanente dei rischi e dell’organizzazione dell’allevamento, il ricorrente rileva che le circostanze indicate in sentenza non sono affatto idonee ad escludere in capo a sè la qualità di produttore. Egli, invero, negli anni 1997-2000 era proprietario di un gregge di ovini di numero superiore a dieci unità, e di ciò esisteva prova in atti non considerata dal Tribunale. Inoltre, la nozione di imprenditore agricolo avrebbe dovuto essere desunta dall’art. 2135 cod. civ., a norma del quale è imprenditore agricolo chi compie le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, sicchè riveste tale status colui che gestisce un’azienda agricola all’interno della quale si riscontra il coordinamento di fattori produttivi idoneo a favorire lo sviluppo di animali o piante per l’intero ciclo o per una fase di esso. Nessuna disposizione, osserva il ricorrente, prescrive che detta attività sia esclusiva e che sia vietato lo svolgimento di altre attività lavorative autonome o presso terzi, mentre devono ritenersi estranee alla qualifica di produttore la tenuta del registro aziendale, l’iscrizione nelle liste di collocamento, la richiesta di marchi identificativi degli animali, in quanto del tutto ininfluenti sul concetto di organizzazione dell’allevamento. L’unica cosa rilevante era costituita dal fatto che egli, negli anni considerati, era proprietario di un gregge di più di dieci animali, regolarmente iscritto presso la AUSL n. (OMISSIS), Servizio veterinario di Taormina.

Anche il secondo motivo è inammissibile, giacchè con tale mezzo il ricorrente, pur deducendo violazione di legge, in realtà censura l’accertamento di fatto in base al quale il giudice di merito ha escluso la ricorrenza, in capo al ricorrente, della qualità di produttore di ovini ai fini dell’applicazione dei benefici previsti dalla normativa comunitaria. Il Tribunale ha infatti osservato che difettava, nella specie, sulla base di elementi di fatto che non sono contestati dal ricorrente nella loro oggettività – nè potrebbero esserlo, atteso che gli stessi risultano dalla documentazione esibita dal medesimo ricorrente agli accertatori -, il requisito della assunzione “a titolo permanente” dei rischi e soprattutto dell’organizzazione dell’allevamento; valutazione, questa, scaturita dalla constatazione che il medesimo ricorrente, nel periodo rilevante ai fini della richiesta di aiuto comunitario, ha svolto l’attività, riconosciuta dall’INPS anche ai fini della corresponsione della indennità di disoccupazione, di bracciante agricolo per gran parte dell’anno e per le giornate specificamente quantificate per ciascun anno.

Il Tribunale, peraltro, ha ritenuto tale condizione non conciliabile con il requisito della permanenza dell’attività di produttore, rilevante ai fini comunitari, non solo per lo svolgimento di attività di lavoro dipendente da parte del ricorrente, ma anche e soprattutto tenendo conto di altre circostanze di fatto, impeditive della possibilità di qualificare l’opponente come produttore agricolo, e segnatamente in considerazione della omessa richiesta di attribuzione dei marchi identificativi degli animali e della falsa attestazione dell’avvenuta sottoposizione dell’allevamento al paino di risanamento funzionale all’applicazione della normativa per la eradicazione delle malattie infettive. Ulteriormente, il Tribunale ha valorizzato il fatto che il ricorrente, nel qualificarsi come produttore agricolo in quanto titolare di un gregge, e pur consapevole del fatto che risultava lo svolgimento da parte sua di attività di bracciante agricolo, non ha fornito alcuna indicazione nè sulle persone che lo hanno coadiuvato nella conduzione del gregge nei periodi nei quali egli era occupato come lavoratore dipendente, nè sulle direttive impartite ai fini della gestione dell’azienda.

In tale contesto argomentativo, dunque, appare chiaro come l’invocazione del ricorrente della normativa interna e della definizione di imprenditore agricolo dettata dal codice civile si risolva in un diverso apprezzamento di una serie di circostanze di fatto sulle quali il giudice del merito ha adeguatamente motivato il proprio convincimento; del resto, la percezione dell’aiuto comunitario in tanto si giustifica in quanto il soggetto che ne invoca la concessione svolga l’attività di allevatore con le caratteristiche prescritte dalla normativa che detti aiuti considera e seguendo tutte le prescrizioni che sono dettate al fine di erogare i premi ai soggetti la cui attività corrisponde pienamente a quella per la quale sono previsti aiuti.

Con il terzo motivo, il ricorrente principale denuncia violazione, per falsa applicazione, della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3, nonchè vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

La censura si riferisce all’affermazione secondo cui nella domanda di premio sarebbe stata data falsa notizia relativamente all’aggiornamento del registro aziendale, e si sostanzia nella osservazione secondo cui la mancata comunicazione della riduzione del numero di animali all’AIMA o all’organo di controllo per forza maggiore o evento naturale e la mancata annotazione nel registro aziendale costituisce semplice inadempimento dell’impegno assunto nella domanda e non irregolare tenuta del registro aziendale.

Il motivo è manifestamente infondato, atteso che nella sentenza impugnata si da atto che il ricorrente ha ottenuto la disponibilità del registro aziendale solo dopo la formulata esposizione nella domanda di accesso al premio del dato della regolare tenuta di esso, e si sottolinea come il fatto stesso di avere dichiarato nella domanda di premio di aver provveduto a tenere aggiornato un registro aziendale, del quale non aveva ancora la disponibilità, costituiva di per sè indice dell’avvenuta esposizione nella domanda di un dato falso, rilevante ai sensi della L. n. 898 del 1986, art. 2.

Risulta dunque evidente come il ricorrente, nel sostenere di non aver dichiarato alcun dato falso, mostra di non avere rettamente inteso la ratio decidendi della sentenza impugnata, atteso che nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente abbia falsamente dichiarato di avere regolarmente tenuto il registro aziendale, in un momento in cui il registro non era nella sua disponibilità, e non anche che il medesimo ricorrente non abbia adempiuto ad un impegno assunto in sede di presentazione della domanda di aiuto.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, sotto altro profilo, violazione, per falsa applicazione, della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3, nonchè vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria.

La censura si riferisce all’affermazione del giudice di merito secondo cui egli avrebbe falsamente attestato nella domanda l’avvenuta sottoposizione del gregge al piano di eradicazione delle malattie infettive, invero mai effettuato dal personale competente.

Il ricorrente sostiene che, a seguito del D.P.R. n. 317 del 1996, che ha istituito l’anagrafe animale, nessun onere è posto ora carico del produttore ai fini della sottoposizione dei propri animali ai piani di eradicazione della brucellosi, sicchè la mancata richiesta si configurerebbe in termini di giuridica irrilevanza e di inidoneità ad integrare l’illecito amministrativo contestato.

Anche tale motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale si è dato carico di valutare l’affermazione del ricorrente, secondo cui l’addebito contestatogli non poteva essersi nella realtà verificato, atteso che dalla entrata in vigore del D.P.R. n. 317 del 1996 non sussiste più un obbligo per il produttore di chiedere annualmente la sottoposizione del proprio gregge al piano di eradicazione delle malattie infettive.

In proposito, il Tribunale ha osservato che altro è il venir meno dell’obbligo suddetto, altro è dichiarare positivamente che il gregge è stato sottoposto dalla competente ASL al piano di eradicazione, pur essendo consapevole che detto piano non ha avuto attuazione.

Tale essendo la ratio decidendi della decisione impugnata, si deve solo rilevare che ove il ricorrente avesse inteso censurare detta sentenza per il fatto che la contestazione era quella della omessa richiesta di sottoposizione al piano, laddove il Tribunale ha ritenuto invece integrata l’ipotesi della falsa dichiarazione dell’avvenuta sottoposizione del gregge al piano di eradicazione, la censura avrebbe dovuto essere proposta con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.; il che non è avvenuto nella specie.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale.

In applicazione del criterio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

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