Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18290 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 08/07/2019), n.18290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29036 21116 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– ricorrente –

contro

., S.G., S.P., S.R., nella

qualità di eredi di S.N..

e

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2821/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 18/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bari, ha riconosciuto il diritto di D.M.T., S.G., S.P., S.R., duali eredi di S.N., all’assegno mensile di assistenza per il periodo dal 1/5/20106 al 25/2/2008;

a fondamento della decisione ha ritenuto che, insieme al requisito sanitario accertato dal primo giudice nella misura del 75% o al momento dell’accertamento peritale (maggio 2006) e su cui si era formato il giudicato, sussisteva il requisito socioeconomico, dal momento che non vi era possibilità per l’assistibile di chiedere l’iscrizione negli elenchi previsti dalla L. n. 482 del 1968, per il superamento del 55 anno di età; vi erano peraltro elementi che davano contezza dello stato di disoccupazione del defunto;

contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione, articolato su tre motivi;

gli intimati non svolgono attività difensiva;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto (.1i fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERANDO

che:

in via preliminare deve darsi atto che la sentenza non risulta notificata all’Inps, in persona dell’avvocato che lo ha rappresentato nel giudizio di appello (avvocato De Leonardis), sicchè la notificazione non è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione; il termine è quello annuale ex art. 327 c.p.c. trattandosi di giudizio introdotto prima della riforma della suddetta norma ad opera della L. n. 69 del 2009;

1.- con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 482 del 1968, art. 1, comma 2, in relazione alla L. n. 68 del 1999, art. 22, e L. n. 118 del 1971, art. 13, e si assume che in forza di tale disposizione per gli anni 2006-2008 esisteva la possibilità per il ricorrente di iscriversi nelle liste di collocamento, essendo a quella data ancora in età lavorativa (65 anni);

2.- con il secondo motivo si denuncia la violazione del citato art. 13, anche nel testo sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 94, dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., e si assume che la prova dell’incollocamento e, per il periodo successivo al 31/12/2007 (gennaio-febbraio 2008), del mancato svolgimento di attività lavorativa, deve essere fornita dall’interessato, rispettivamente, attraverso la domanda di iscrizione nelle liste di collocamento e attraverso elementi di prova, anche presuntivi nella specie non forniti: le deduzioni degli appellanti (assenza di attività lavorativa come da libretto di lavoro e mancata percezione di reddito negli anni dal 1999 2008) non potevano ritenersi a tal fine prove idonee;

3.- il terzo motivo è proposto per violazione e errata applicazione della citata L., art. 13, dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 116,414,421 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e si ribadisce che gli appellanti non avevano prodotto alcuna documentazione comprovante il requisito dell’incollocamento e il mancato svolgimento dell’attività lavorativa, ma solo una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, non essendo peraltro ammissibile il deposito dei documenti nuovi nel corso del giudizio;

4.- il primo e il secondo motivo, quest’ultimo nella parte in cui ripropone la medesima questione della prova dell’incollocazione al lavoro per il periodo che precede l’entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, sono manifestamente fondati, alla luce dei principi affermati da Cass. 9/5/2016, n. 9292, che rinvia a Cass. 28/8/2013, n. 19833 (v. pure Cass. 4/6/2015, n. 11582; Cass. 06/10/2015, n. 19910), secondo cui “Il requisito della incollocazione al lavoro, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l’entrata in vigore della L. n. 68 del 1999 e l’entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, può dirsi sussistente qualora l’interessato, che ne ha l’onere, provi: I) di non aver svolto attività lavorativa e 2) di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi della L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 8, da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. Nel caso in cui tale accertamento sia precedente rispetto alla data di decorrenza del requisito sanitario per l’invalidità (riduzione della capacita lavorativa del 74% o superiore), sarà necessaria la prova di aver ottenuto o quanto meno richiesto l’iscrizione negli elenchi di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 8;

l’accoglimento del primo motivo e, in parte, del secondo motivo comporta la cassazione della sentenza il rinvio ad altro giudice d’appello perchè riesamini la controversia alla luce del principio di diritto su affermato;

il secondo motivo, nella parte in cui si censura la sentenza per aver ritenuto comprovato il mancato svolgimento dell’attività lavorativa per il periodo successivo al 2007, e il terzo che, in sostanza, ripropone la medesima questione, sempre per il medesimo periodo, sotto infondati; si deve ricordare che con le modifiche apportate alla L. n. 118 del 1971, art. 13, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, il requisito economico sociale si è modificato, nel senso che non si richiede più la ‘incollocazione al lavorò, ma semplicemente lo ‘stato di inoccupazionè, la cui dimostrazione può essere data con ogni mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni, con l’unico limite che non può essere provato attraverso autocertificazione (in tal senso, Cass. 5/4/2017, n. 8856; v. Cass. 27380 del 2014; Cass. 20/12/2016, n. 26397; Cass. 20/9/2016, n. 18406);

nella specie, la corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi, ritenendo che l’esame del libretto di lavoro del de cuius, da cui risultava l’assenza di attività lavorativa, e la certificazione dell’agenzia delle entrate costituissero prova sufficiente del requisito socio economico, ossia del mancato svolgimento dell’attività lavorativa e della mancata produzione di reddito per gli anni dal 1999-2008 e tale accertamento non è stato validamente impugnato dall’INPS; l’asserzione secondo cui nel ricorso introduttivo del giudizio, solo parzialmente trascritto, il de cuius non avrebbe allegato alcunchè di specifico circa il requisito socioeconomico ne prodotto documenti, ad eccezione di un auto certificazione, è inidonea allo scopo dal momento che la parte non specifica come e quando i documenti citati in sentenza sarebbero stati sottoposti alla cognizione del giudice, le sue contestazioni circa la tardività della produzione documentale, gli eventuali provvedimenti adottati dal giudice, dovendosi in assenza di tali deduzioni ritenere che, nell’acquisizione di tali documenti, il giudice abbia compiuto una valutazione di una loro indispensabilità ai fini della decisione e li abbia pertanto acquisiti al giudizio nell’esercizio dei suoi poteri istruttori;

deve invero aggiungersi che, nelle controversie assistenziali, la produzione in primo grado della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà riferita al cd. requisito reddituale, pur non avendo valore probatorio, può costituire, nella valutazione del giudice di merito, insindacabile ove congruamente motivata, un principio di prova idoneo a giustificare l’attivazione dei poteri ufficiosi ex art. 437 c.p.c., comma 2 (Cass. 04/11/2016, n. 22484; Cass. 09/03/2018, n. 5708; sul principio di autosufficienza della deduzione, Cass. 13/07/2017, n. 17399; Cass. Sez. Un. 4/5/2017, n. 10790); alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso dell’INPS deve essere accolto nei limiti di cui motivazione; ne consegue la cassazione della sentenza ed il suo rinvio ad altro giudice d’appello che riesaminerà la controversia in forza del principio di diritto su specificato e provvederà a regolare le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, nei limiti di cui in motivazione e rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, affinchè provveda anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il nella adunanza camerale, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

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