Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18289 del 25/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/07/2017, (ud. 28/03/2017, dep.25/07/2017),  n. 18289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16201-2015 proposto da:

D.R.N., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MARZIALE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

TANGENZIALE DI NAPOLI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato NUNZIO RIZZO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7789/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/12/2014 R.G.N. 4112/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/03/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato GIANLUCA SABATINI per delega verbale Avvocato NUNZIO

RIZZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Napoli del 2.9.2010 NICOLA DELLA RAGIONE, dipendente della società TANGENZIALE DI NAPOLI spa con mansioni di esattore, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli con lettera del 26 maggio 2010 per l’uso anomalo, nel periodo tra il gennaio e l’aprile 2010, di tessere a scalare in suo possesso all’atto del passaggio al casello degli utenti, con manomissione del sistema di esazione ed appropriazione degli importi incassati in contanti.

Il giudice del lavoro respingeva la domanda (sentenza del 21.5.2013 nr. 11768).

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 4.11-1.12.2014 (nr 7789/2014) rigettava l’appello del lavoratore.

La Corte territoriale, per quanto rileva in causa, osservava sul dedotto vizio di mancata comunicazione dei motivi del licenziamento che nel licenziamento disciplinare non era richiesta la riproduzione all’atto della intimazione del recesso delle ragioni già contenute nella lettera di contestazione dell’addebito.

L’obbligo di comunicazione dei motivi sussisteva solo a seguito di una espressa richiesta del lavoratore o di una specifica previsione contrattuale ed – anche in tali ipotesi – poteva era assolto con il richiamo alle iniziali contestazioni, senza che il datore di lavoro fosse tenuto a confutare le giustificazioni addotte dal lavoratore.

Nella fattispecie di causa la società, pur senza esserne obbligata, aveva indicato nell’atto di recesso le ragioni del licenziamento.

Nel merito l’addebito, relativo alla appropriazione di pedaggi per Euro 1.310,95, risultava dai tabulati della pista del casello cui l’appellante era addetto, essendo registrato un numero anomalo di passaggi della tessera in suo possesso in un breve arco di tempo senza che l’importo del pedaggio venisse scalato dalla tessera e senza che emergesse alcun difetto di funzionamento del sistema dall’esame delle altre tessere in possesso degli automobilisti.

L’addebito era confermato dalle deposizioni dei testi (signori D.V., dirigente della società AUTOSTRADE D’ITALIA spa, responsabile della unità esazione di tutte le società del gruppo, C.V., coordinatore dell’ufficio Impianti, F., G.).

Sussisteva un grave inadempimento idoneo a legittimare il licenziamento, in ragione del genere di attività svolta dalla società appellata, delle conseguenti esigenze organizzative e, soprattutto, della qualità ed intensità del vincolo fiduciario.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza D.R.N., articolando quattro motivi (rubricati dal numero 2 al numero 5).

Ha resistito con controricorso la società TANGENZIALE DI NAPOLI spa, illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (rubricato sub numero 2) il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 416 c.p.c. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente ha premesso di avere evidenziato nei due gradi di merito la impossibilità materiale del fatto che le tessere per il pagamento del pedaggio in suo possesso venissero utilizzate in occasione del transito dei veicoli degli utenti senza alcun addebito, così come contestatogli. Ha denunziato, sotto il profilo del vizio di motivazione, il mancato esame in sentenza di tale dedotta impossibilità materiale, circostanza decisiva ai fini della valutazione del buon fondamento della contestazione.

Ha esposto che la società resistente non aveva illustrato nè nella memoria difensiva del primo grado nè in grado di appello nè nel corso del giudizio in qual modo sarebbe stato possibile utilizzare più volte in sequenza le tessere prepagate mantenendo inalterato il credito ivi caricato, posto che l’operatore non aveva possibilità di intervenire sul sistema automatico.

La prova testimoniale non aveva superato tale obiezione e, comunque, non avrebbe potuto essere assunta ai sensi dell’art. 416 c.p.c., vertendo su fatti non allegati dalla società resistente.

Il teste D’. aveva riferito delle simulazioni effettuate dalla società in laboratorio ed affermato che la operazione poteva essere compiuta manomettendo la testina magnetica collocata all’interno del banco esattore; il teste aveva però precisato che la testina faceva parte dell’apparato di rilevazione posto in ogni pista, chiuso a chiave e che le chiavi non erano in possesso degli esattori ma soltanto del personale di manutenzione.

La Corte di merito aveva ignorato tale precisazione, incorrendo nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

L’abusivo possesso delle chiavi non gli era mai stato contestato in sede disciplinare nè era stato allegato dalla società nella memoria di costituzione nè comunque era provato in causa.

Il teste aveva altresì riferito che dopo tre passaggi consecutivi senza addebito sulla carta la pista andava automaticamente in allarme e restava bloccata, con necessità far intervenire per il ripristino il personale di manutenzione; tale circostanza era stata confermata anche dal teste C., il quale aveva aggiunto che la anomalia veniva segnalata automaticamente al sistema di monitoraggio aziendale e che nel periodo di causa non era pervenuta alcuna segnalazione.

Dai tabulati aziendali prodotti a sostegno della contestazione risultava che quasi tutti i passaggi ritenuti anomali erano consecutivi ed in numero ben superiore a tre.

Il teste non aveva riferito della eventuale effettuazione di verifiche circa il corretto funzionamento delle testine dei banchi di esazione nelle stazioni di cui alla contestazione disciplinare.

2. Con il secondo motivo (rubricato sub nr. 3) il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2702,2709,2712,2727,2728 e 2729 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5 nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente ha esposto di avere dedotto sia nell’atto introduttivo del giudizio che in sede di appello il malfunzionamento del sistema di rilevazione automatica dei passaggi e la non attendibilità dei documenti provenienti dalla stessa parte interessata.

Ha lamentato la utilizzazione da parte del giudice del merito come elemento di prova dell’addebito dei tabulati aziendali, in assenza di riscontro circa la loro esattezza ed, anzi, in presenza della prova testimoniale (testi F. e D.) circa il malfunzionamento del sistema di rilevazione dei passaggi.

La omessa considerazione di tali circostanze determinava un vizio della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Ha invocato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale i dati forniti dai sistemi di rilevazione computerizzati del datore di lavoro necessitano di una conferma esterna per la formazione della prova laddove nella fattispecie di causa nessun elemento era stato acquisito – e neppure allegato – dalla società TANGENZIALE DI NAPOLI a conferma dei tabulati aziendali.

I due motivi, che possono essere congiuntamente trattati, si prestano ad analogo rilievo di inammissibilità.

Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis (il ricorso d’appello è stato depositato il 2.7.2013) l’art. 348 ter c.p.c., commo 4 e 5, a tenore del quale il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4 con esclusione, cioè, della deducibilità in sede di legittimità del vizio di motivazione.

Tanto il Tribunale che la Corte di Appello hanno accertato il fatto storico nei termini in cui esso veniva contestato al ricorrente sicchè detto accertamento resta incensurabile in sede di legitttimità.

Ne discende la inammissibilità delle censure nella parte in cui si fondano sull’omesso esame di circostanze di fatto – quali il mancato possesso delle chiavi per accedere al sistema di rilevazione della pista, la impossibilità materiale di manometterlo, la mancata attivazione del blocco automatico del passaggio, il malfunzionamento del sistema – o contestano la valutazione degli elementi di prova effettuata dal giudice del merito (inattendibilità dei tabulati aziendali dai quali risultavano i passaggi).

Trattasi, infatti, di rilievi attinenti all’accertamento dei fatti storici e, pertanto, deducibili in questa sede di legittimità esclusivamente nei limiti del vizio della motivazione, il cui rilievo resta tuttavia precluso dalle disposizioni richiamate.

La allegazione del vizio di violazione di legge, tanto nel primo che nel secondo motivo non appare conferente ai contenuti della denunzia, che si risolvono nella contestazione delle valutazione degli elementi di prova da parte del giudice del merito piuttosto che della deduzione di una non corretta interpretazione o applicazione delle norme di diritto.

3. Con il terzo motivo (rubricato sub numero 4) il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2.

La censura afferisce alla statuizione resa dalla Corte di merito sul dedotto vizio di motivazione del licenziamento.

Il ricorrente ha esposto di avere fornito in sede disciplinare precise giustificazioni rispetto alla contestazione degli addebiti, concernenti sia il malfunzionameto del sistema di rilevazione dei passaggi sia la impossibilità di compierne alterazioni o manomissioni.

Ha assunto che la società avrebbe dovuto esporre, all’esito della richiesta di comunicazione dei motivi del licenziamento, le ragioni del mancato accoglimento delle giustificazioni presentate, che erano state genericamente disattese nella lettera di licenziamento come “infondate e pretestuose”.

Il motivo è infondato.

Correttamente la Corte di merito ha osservato che il datore di lavoro aveva adottato un atto di licenziamento motivato giacchè nel licenziamento disciplinare l’obbligo di motivazione è assolto con la indicazione dei contenuti della contestazione disciplinare.

La motivazione del licenziamento consiste nella esposizione delle ragioni datoriali poste a base del recesso; in relazione al licenziamento disciplinare, dunque, il datore di lavoro non è tenuto ad una motivazione che dia conto delle ragioni per cui egli ritenga di disattendere le giustificazioni del dipendente (cfr. Cassazione civile sez. lav. 21 gennaio 2015 n. 1026; 09 febbraio 2006 n. 2851), fermo restando il successivo controllo giurisdizionale.

4. Con il quarto motivo (rubricato sub nr. V) il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c..

Con il motivo il ricorrente ha contestato la statuizione di proporzionalità del licenziamento rispetto ai fatti addebitati, deducendo, sotto il profilo della oggettiva gravità, la esiguità della somma sottratta e del danno arrecato e, sotto il profilo soggettivo, la assenza di precedenti disciplinari.

Il motivo è infondato.

Correttamente la sentenza ha ritenuto integrata nella fattispecie di causa la giusta causa del licenziamento, in ragione della particolarità del settore di attività del datore di lavoro e della intensità del vincolo fiduciario sotteso ad una mansione qualificata dal maneggio di denaro. La condotta contestata, di ripetuta appropriazione con mezzi fraudolenti di somme incassate nell’esercizio delle mansioni, costituisce grave violazione delle obbligazioni fondamentali del rapporto di lavoro. Tale gravità non è elisa nè attenuata da una asserita tenuità del danno, dovendo piuttosto aversi riguardo ai fini della integrazione della giusta causa di licenziamento, come ripetutamente affermato da questa Corte, all’incidenza dell’inadempimento sulla prognosi di correttezza circa il futuro adempimento dell’obbligazione lavorativa.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017

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