Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18288 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 08/07/2019), n.18288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21524-2016 proposto da:

P.G. elettivamente domiciliata in ROMA VIA BOEZIO 14,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ITRI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FABRIZIO AMELIA, LOREDANA GOMBIA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 436/2016 del TRIBUNALE di VELLETRI, depositata

il 17/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

il Tribunale di Velletri, con sentenza pubblicata in data 17/3/2016, ha rigettato il ricorso proposto, ai sensi dell’art. 445 c.p.c., comma 6, da P.G. contro le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d’ufficio in sede di accertamento tecnico preventivo, volto ad accertare la sussistenza del requisito sanitario per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento;

il Tribunale, dopo aver disposto un supplemento di perizia con lo stesso CTU e acquisito documenti ulteriori, ha ritenuto che le malattie da cui la ricorrente al fetta non siano tali da determinare l’impossibilità alla deambulazione autonoma o la necessita di un’assistenza continua per il compimento degli atti quotidiani della vita e che il ricorso in opposizione non offriva argomentazioni idonee a contestare tali valutazioni, sicchè non si ravvisava la necessità di procedere ad una nuova consulenza tecnica d’ufficio o a richiedere ulteriori chiarimenti, apparendo a tal fine sufficiente il supplemento di perizia disposto a mezzo dello stesso c.t.u.;

contro la sentenza la ricorrente propone ricorso per cassazione e formula tre motivi;

l’Inps resiste con controricorso;

la proposta del relatore sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 18 del 1980, L. 508 del 1988, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) assumendo che la corte di merito avrebbe omesso di motivare il rigetto della sua richiesta di un rinnovo della CTU e avrebbe fondato la sua decisione esclusivamente sulle conclusioni rassegnate dal CTU già nominato nel giudizio di ATP, senza neppure riportare le malattie da cui ella è affetta (cardiopatia ischemica cronica con triplo bypass coronarico e successiva angioplastica coronatici: spondiloartrosi diffusa con discopatia in soggetto obeso; diabete mellito tipo II, BPCO, apnea notturna, possibile ischemia laterale, insufficienza renale cronica di grado severo) e senza considerare che la gravità del complesso morboso limitava fortemente ogni sua attività tisica;

il secondo motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 61,191,196 c.p.c. e lamenta la mancata nomina del CTU in sede di opposizione;

il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. per non aver dichiarato l’esenzione dalla condanna alle spese nonostante la presenza dell’autodichiarazione sottoscritta dalla parte;

il primo motivo è inammissibile;

il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica, necessariamente, un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017, n. 24.155); il discrimino tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. S.L., n. 10313/2016; Cass., n. 7394/2010; Cass., n. 16698/2010; Cass., n. 8315/2013; Cass., n. 26110/2015; Cass., n. 195/2016);

ancora più in specifico, si afferma che nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione Cass. del 26/06/2013, n. 16038; Cass. 12/01/2016 n. 287);

nel caso di specie, dalla lettura del motivo di ricorso in esame non si evince quale delle affermazioni della corte territoriale sarebbe in contrasto con le norme di legge citate, nè quale sarebbe l’errore interpretativo compiuto dalla corte territoriale, sicchè il motivo deve ritenersi inammissibilmente dedotto;

al contrario, dalla lettura della sentenza, emerge che il Tribunale ha esaminato compiutamente le risultanze di causa, ossia la consulenza tecnica d’ufficio, ha a sua volta disposto un supplemento di consulenza con lo stesso CTU già nominato nella prima fase ed ha espressamente dato ano della ragioni di opposizione svolte in ricorso, precisando che il complesso quadro morboso da cui la ricorrente era affetta e le limitazioni che ne conseguivano – come constatate dal medico legale in sede di esame obiettivo e condivise pure dal consulente di parte (pag. 9 della sentenza) – non incidevano sulla autonomia della perizianda, alla quale è stata invece riconosciuta “una piena capacità… dal punto di vista psichico ed intellettivo ed una mera difficoltà nella funzione deambulatoria, tale da essere agevolmente compensata dall’uso di un bastone con il quale la perizianda appariva in grado di svolgere tutti gli atti aventi cadenza quotidiana, quale uscire di casa o effettuare spese o acquisti per i propri bisogni, non potendo ragionevolmente sopportare soltanto sforzi intensi e prolungati”;

si è in presenza di un giudizio coerente ed esaustivo a fronte del quale la ricorrente prospetta solo un mero dissenso rispetto alle valutazioni diagnostiche compiute dall’ausiliario e recepite dal giudice, inammissibile come motivo di ricorso per cassazione;

il secondo motivo è infondato, essendo principio pacifico nel nostro ordinamento che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel poterè discrezionale del giudice del merito, la cui decisione e incensurabile nel giudizio di legittimità (Cass. 23/03/2017, n. 7-1-79);

il terzo motivo è invece fondato, in presenza dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e sottoscritta dalla ricorrente, prodotta sia nella fase di a.t.p. sia nella fase di opposizione, trascritta per sintesi del ricorso per cassazione e prodotta unitamente ad esso, sì da rispettare gli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., n. 4;

la sentenza deve dunque essere cassata in palle qua e decisa senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, dichiarandosi la ricorrente esentata dal pagamento delle spese di entrambe le fasi del giudizio di accertamento tecnico preventivo, ponendosi le spese di CTU a carico dell’Inps;

quanto alle spese del presente giudizio, si ritiene che esse debbano essere compensate in ragione del solo parziale accoglimento del ricorso;

per effetto dell’accoglimento sia pur parziale del ricorso, deve darsi atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo e infondato il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la ricorrente non tenuta al pagamento delle spese del procedimento di accertamento tecnico preventivo, ponendo le spese di CTU interamente a carico dell’Inps; compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

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