Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18287 del 25/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/07/2017, (ud. 21/03/2017, dep.25/07/2017),  n. 18287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26861-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

D.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 582/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/07/2012 R.G.N. 2493/2011.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Milano ha respinto l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca avverso la sentenza del locale Tribunale, che aveva dichiarato il diritto di D.R., assunta con contratti a tempo determinato nel comparto scuola, a vedersi riconoscere l’anzianità di servizio ai fini della quantificazione del trattamento retributivo ed aveva condannato il Ministero ad adeguare la retribuzione della ricorrente a quella corrispondente alla anzianità di servizio maturata con la reiterazione dei contratti e al risarcimento dei danni nella misura delle differenze retributive conseguenti al mancato computo dei vari periodi di servizio, oltre interessi legali;

che la Corte territoriale ha premesso che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata alla anzianità di servizio, riconosciuta al personale di ruolo ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata e non conforme al principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6; ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare il carattere incondizionato e preciso della clausola, di diretta applicazione nelle controversie nelle quali sia parte, in qualità di datore di lavoro, lo Stato; ha precisato che l’anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile;

che la Corte di appello ha ritenuto infondata anche l’eccezione di prescrizione del diritto agli incrementi retributivi, osservando che deve trovare applicazione il termine decennale e non quello quinquennale, indicato dall’Amministrazione;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sulla base di due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo di ricorso denuncia, con unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6; violazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18 come convertito dalla L. n. 106 del 2011; della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4; del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 526; della direttiva 99/70/CE”. Sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che le supplenze stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo sulla base della normativa di settore non viola la direttiva comunitaria, che ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato;

che il ricorso denuncia, con il secondo (subordinato) motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione dell’art. 2947 c.c. e dell’art. 2948 c.c., n. 4” per avere la Corte di appello ritenuto applicabile il termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale previsto per i crediti retributivi ed esteso l’efficacia sospensiva a cause diverse da quelle tassativamente previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c.;

che il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto la sentenza impugnata, nel riconoscere l’anzianità di servizio ai fini retributivi, si pone in linea con il principio di diritto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

che il ricorso del MIUR non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

che il secondo motivo, con cui si censura il capo della sentenza relativo al rigetto dell’eccezione di prescrizione, è inammissibile innanzitutto perchè l’Amministrazione ricorrente non indica in che termini la questione prospettata nel motivo potrebbe incidere nella fattispecie concreta, ossia se e in quale misura la pretesa della controricorrente potrebbe essere paralizzata dalla eccepita prescrizione quinquennale; che nel giudizio di cassazione l’interesse alla impugnazione va valutato in relazione ad ogni singolo motivo e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, bensì deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile dall’eventuale accoglimento del gravame alla parte (Cass. nn. 13373/2008 e 15353/2010), utilità che deve potere essere desunta dagli elementi che la parte è tenuta ad indicare nel ricorso; che, in conclusione, il ricorso va respinto;

che nulla deve essere disposto quanto alle spese del presente giudizio, stante l’assenza di attività difensiva di parte intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017

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