Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18284 del 25/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/07/2017, (ud. 02/03/2017, dep.25/07/2017),  n. 18284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22926-2015 proposto da:

L.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 154, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO SPARANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIO SAVELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO

CASULLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GUGLIELMO BURRAGATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 20/03/2015 R.G.N. 427/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO SPARANO;

udito l’Avvocato SAVERIO CASULLI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Ancona ha accolto l’appello del Monte Paschi di Siena avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato a L.M., funzionario di una filiale della banca a seguito di una contestazione concernente tre addebiti: a) l’aver fatto figurare la consegna e la restituzione di titoli bancari esteri ad un soggetto, tale P., gravato da protesti, titoli poi risultati falsi nel corso di un’indagine penale, omettendo di effettuare la contabilizzazione e di accertare l’autenticità di detti titoli e rilasciando al P. documentazione attestante la consegna o il ritiro degli stessi allo sportello; b) l’aver conservato personalmente i titoli senza consegnarli al responsabile dei valori della Filiale; c) l’aver rivestito cariche in società terze presso la Repubblica di San Marino, senza segnalare la circostanza agli organi preposti della banca, in violazione dell’art. 32 del CCNL del settore, operando dei trasferimenti di fondi da conti correnti di alcune di tali società ed il proprio conto.

La Corte ha ritenuto che fosse provata la giusta causa di licenziamento in particolare rilevando: che il L. aveva nel giro di meno di un’ora formato e sottoscritto due ricevute per il ritiro e la riconsegna dei titoli presentati dal P. che, rinvenuti in un fascicolo della banca, erano poi risultati falsi; che erano incontestati i rapporti frequenti tra il L. ed il P. per movimenti finanziari collegati alle società nella cui gestione era coinvolto il dipendente, essendo incontestata l’assunzione di incarichi negli organi di amministrazione di dette società nelle quali era coinvolto anche il P. ed atri soggetti collegati; che il L. aveva autorizzato un pagamento di Euro 3000,00 ad una società, la Planet casa srl, in sofferenza per posizione passiva di 372.000,00 Euro presso la filiale.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il L., affidato ad un unico motivo. Ha resistito La banca con controricorso. Sono state presentente memorie ex art. 378 c.p.c. da entrambe le parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il L. ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, nonchè omessa, insufficiente e/o carente motivazione in ordine alla sussistenza della giusta causa, con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo il ricorrente mentre il giudice di primo grado aveva analizzato ogni singolo addebito contestato dalla Banca e quindi accertato in base all’esame della documentazione allegata e delle testimonianze raccolte, come tali addebiti fossero privi di fondamento, la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso un’analisi precisa e puntuale delle contestazioni, omettendo addirittura di indicare le date in cui le condotte del L. sarebbero state commesse, creando così una sovrapposizione di elementi che inficerebbe alla base la sentenza medesima. Secondo il ricorrente la Corte avrebbe addirittura illogicamente sostenuto che già solo i ” non chiari” rapporti del L. con persone di dubbia affidabilità e correttezza ” fossero di per sè idonei per ritenere la legittimità del licenziamento.

Ha altresì lamentato il ricorrente che gli unici episodi realmente stigmatizzati nella lettera di contestazione erano stati proprio quelli dei giorni 3.5.2006, 28.6.2006 e 7.9.2006, ma che sarebbe emerso con sufficiente chiarezza che nessuna negoziazione effettiva dei titoli, poi risultati falsi, era stata di fatto operata dalla Banca per suo tramite in tali giorni; che infatti la Corte non avrebbe fatto alcun cenno alle ulteriori due contestazioni per i fatti posti in essere nei giorni successivi a quelli del 3 maggio 2006, del tutto insussistenti. Ha lamentato ancora il ricorrente, quanto agli altri addebiti, che la Banca sarebbe stata già a conoscenza che egli era il legale rappresentante della Società Multimedia Rent srl, facente capo al P., e che non era stata effettuata alcuna operazione bancaria dalla società I.F.M., di cui egli era amministratore, essendo altresì irrilevante che di tale società fosse socia anche G.G. a favore della cui figlia il L. aveva emesso un assegno di Euro 7500,00 per coprirne uno emesso da costei senza fondi. Secondo il ricorrente anche l’emissione dell’assegno di 3000,00 Euro in favore della società Planet casa srl, presa in considerazione dalla corte di merito quale elemento comprovante la gravissima condotta del dipendente, sarebbe stato un addebito inconsistente avendo egli provato di aver pagato con un assegno tratto dal proprio conto corrente. Per il ricorrente quindi la Corte avrebbe violato l’art.2119 c.c., non essendo emersi elementi tali da determinare la lesione del vincolo fiduciario, atteso che era stata fornita la prova dell’insussistenza degli addebiti contestati, con evidente violazione da parte della Corte territoriale anche dell’art. 116 c.p.c. in materia di valutazione delle prove.

Il motivo è inammissibile. Va in primo luogo rilevato che la parte ricorrente non ha trascritto in ricorso la lettera di contestazione della Banca, così che è mancato un esame diretto degli specifici addebiti su cui la datrice di lavoro ha fondato il licenziamento, documento che avrebbe consentito una completa conoscenza delle condotte oggetto di contestazione, anche per valutare le argomentazioni di diritto ed i parametri normativi utilizzati dalla Corte per richiamarsi alla fattispecie della giusta causa, nozione che la legge configura con una disposizione che è ascrivibile alla tipologia delle cd clausole generali, che questa Corte ha definito “un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama(cfr fra le tante Cass. n.25144/2010, Cass. n. 6498/2012, Cass. n. 18247/2009).

Può dirsi pertanto che sia mancata in sostanza una corretta e completa, sia pure sommaria, esposizione dei fatti di causa, il cui oggetto è costituito appunto dal licenziamento intimato al L. per giusta causa, sulla base dei fatti al medesimo contestato. Ed invero il ricorrente ha di fatto demandato I’ individuazione del fatti contestati alla sentenza di primo grado, trascritta per completo, contrapponendola a quella di appello, che ha giudicato incompleta per non aver indicato esattamente tutti gli addebiti contestati e per non aver considerato correttamente l’insussistenza degli stessi, come invece effettuato dal Tribunale.

Ora, ai fini della sussistenza del requisito della “esposizione sommaria dei fatti di causa”, prescritto, a pena di inammissibilità, per il ricorso per Cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (Così Cass. n.15808/2008, Cass. N. 4311/2016).

Va, peraltro, rilevato che le censure appaiono inammissibili anche con riguardo alla modalità con cui sono stati enucleati i vizi lamentati, in maniera indistinta con riferimento tanto alla violazione di legge con riferimento all’art. 2019 c.c. e all’art. 116 c.p.c., quanto all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” in ordine alla sussistenza della giusta causa, vizio motivazionale quest’ultimo oramai non più denunciabile con tale formula, stante l’applicazione al presente giudizio della nuova disposizione entrata in vigore con il D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012.

La nuova previsione legittima soltanto la censura relativa all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, così che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante ed attiene all’esistenza della motivazione in sè” (Così Cass. SSUU n. 8052/2014).

Ma anche la censura di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 2119 c.c. e art. 116 c.p.c. ha finito per riguardare in particolare un’ errata valutazione delle prove, anche documentali, che sarebbe stata effettuata, secondo il ricorrente, da parte della Corte territoriale, a fronte della diversa valutazione fatta dal giudice di prime cure. Operazione inammissibile perchè ricadente su questioni di fatto, precluse in questa sede.

Deve pertanto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del grado, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente soccombente.

PQM

 

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017

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