Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18283 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 08/07/2019), n.18283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9583-2018 proposto da:

S.G.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SERGIO PALMAS;

– ricorrente principale –

contro

TERNA RETE ITALIA S.P.A., (Società soggetta alla direzione e

coordinamento del socio unico Terna S.p.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MARCHE 1/3, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO MORESCO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 11/2018 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEI.

DIST. DI SASSARI, depositata il 11/01/2018 R.G.N. 268/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato SERGIO PALMAS;

udito l’Avvocato VITTORIO MORESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 11 depositata l’11.1.2018 la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in riforma della pronuncia del Tribunale di Sassari e in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal datore di lavoro, ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare intimato a S.G.E. da Terna Rete Italia s.p.a. in data 9.7.2015.

2. La Corte territoriale ha rilevato che gli elementi istruttori raccolti, di fonte documentale, avevano confermato integralmente i fatti oggetto della contestazione nonchè gli episodi precedenti, contestati a titolo di recidiva e già sanzionati con provvedimenti di carattere conservativo (rimprovero scritto del 16.7.2014, multa di 4 ore del 7.8.2014, sospensione dal servizio del 13.11.2014, sospensione dal servizio del 17.11.2014, tutti provvedimenti non impugnati), concernenti tutti il mancato rispetto delle formalità previste dal contratto collettivo applicato in azienda (settore elettrico) per la giustificazione delle assenze, ed ha ritenuto detto reiterato ed intenzionale comportamento, valutato complessivamente, di notevole gravità e tale da arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, posta nella condizione di non poter mai attivare il controllo ispettivo previsto in caso di malattia del dipendente. La Corte ha, infine, condannato il lavoratore appellante alla rifusione delle spese di lite dei due gradi di giudizio, pari a “Euro 1.00,00 per la fase di studio, Euro 700,00 per la fase introduttiva, oltre spese generali e quanto altro dovuto; quanto al primo grado, in complessivi Euro 5.500,00 per compensi per le quattro fasi del giudizio, oltre spese generali e quanto altro dovuto per legge”.

3. Lo S. ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La società resiste con controricorso e propone altresì ricorso incidentale affidato ad un motivo, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 2697 c.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte distrettuale, trascurato la contestazione svolta nel ricorso introduttivo del giudizio (ricorso in opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51) e nell’atto di reclamo circa la legittimità di due sanzioni conservative (13.11 e 17.11.2014, sospensione dal lavoro), richiamate, quale recidiva, dalla lettera di contestazione del 14.5.2015. La valutazione della legittimità dei provvedimenti adottati nel novembre 2014 si imponeva alla luce del tenore del CCNL di settore, che prevede la possibilità di adottare la sanzione del licenziamento esclusivamente in caso di reiterato comportamento preceduto da due provvedimenti di sospensione dal lavoro.

2. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 25 del CCNL applicato (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, trascurato l’impugnazione delle due sanzioni conservative del novembre 2014 in considerazione della “parziale sovrapponibilità dei fatti oggetto di contestazione”.

3. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7,artt. 2106 e 2119 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, omesso di rispondere alla censura di sproporzionalità della sanzione espulsiva, trascurando la concreta portata dei fatti da ultimo contestati e consistenti nel ritardo di 13 minuti nella comunicazione dell’assenza di malattia e nella trasmissione con un giorno di ritardo, in due occasioni, di un numero di protocollo di certificato medico.

4. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte territoriale, accolto il reclamo incidentale della società (e dichiarato legittimo il licenziamento) ed omesso di valutare le doglianze avanzate in sede di reclamo principale dallo S. relative alla effettiva sussistenza dei fatti contestati e della loro rilevanza disciplinare.

5. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, trascurato di considerare che la società, nonostante richiesta espressa del lavoratore, non ha mai proceduto all’audizione personale dello S..

6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.(ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, liquidato in maniera del tutto arbitraria e completamente svincolata dai parametri dettati dal D.M. n. 55 del 2014 le spese di lite per entrambi i gradi del giudizio. Tenuto conto che la domanda principale dello S. aveva valore indeterminato (richiedendo, lo stesso, la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre indennità risarcitoria e retribuzioni sino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro), la Corte avrebbe dovuto quantomeno applicare i valori medi delle tabelle (allegate) del D.M. n. 55 del 2014.

7. Va premesso che il lavoratore pur essendo stato erroneamente indicato, nell’intestazione della sentenza impugnata, come S.G.M., nella motivazione della sentenza (nonchè nel ricorso e nel controricorso) è stato più volte correttamente indicato come S.G.E..

8. I primi due motivi del ricorso principale sono infondati.

Tralasciando profili di inammissibilità collegati alla genericità del contenuto degli stralci del ricorso in opposizione e del reclamo riportati dallo S. (ove non emerge chiaramente la dedotta impugnazione delle due sanzioni conservative indicate dal lavoratore nè, in particolare, la riproposizione in sede di reclamo con conseguente, decadenza ex art. 346 c.p.c.), va rilevato che le censure avanzate dal lavoratore in sede di reclamo sono state esaminate dalla Corte territoriale nel rispetto del principio dell’onere della prova circa la sussistenza del giustificato motivo soggettivo dettato dalla L. n. 604 del 1966, art. 5.

Va osservato che la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11 settembre 2012) ricade, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la decisione può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. L’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, dovendosi interpretare, la norma, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ebbene, la sentenza impugnata ha affrontato, con argomenti logici e coerenti, tutti i profili oggetto delle censure avanzate dal ricorrente: dopo aver fatto una analitica ricognizione di tutti i singoli comportamenti negligenti addebitati allo S., delle lettere di contestazione disciplinare e delle sanzioni conservative adottate (rimprovero scritto, multa pari a 4 ore di retribuzione, due sospensioni dal lavoro e dallo stipendio, sanzioni che la Corte ribadisce più volte “non impugnate”), sulla scorta della documentazione prodotta dalla società, ha rilevato che “L’esame degli inadempimenti contestati allo S. evidenzia una precisa metodica: la comunicazione effettuata entro le prime due ore dell’orario base (come richiesto dall’art. 28 del CCNL applicato) è sempre prossima alla scadenza di queste, nonostante l’appellante ( S.) sia pienamente a conoscenza della propria malattia e, dunque, della circostanza che non si sarebbe recato al lavoro, essendo comunque già in ritardo rispetto all’orario di ingresso. Per altri giorni invece la comunicazione è effettuata oltre l’orario consentito. Inoltre, la malattia risulta manifestarsi il giovedì e durare anche per il venerdì, salvo riprendere il lunedì e durare uno o due giorni ancora. Ed ancora il certificato medico se comunicato – viene comunicato sempre in ritardo e senza neppure coprire tutti i giorni fruiti. E’ accaduto – come sopra riportato – anche che giorni di assenza non sono stati affatto giustificati.

9. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile in considerazione dell’assoluta genericità della parte di testo riportata in corsivo (di cui si ignora l’appartenenza o meno ad un atto giudiziario, mancando ogni indicazione) nonchè della novità della questione.

Della questione non vi è traccia nella sentenza impugnata, nè il ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che termini la questione stessa sia stata eventualmente riproposta in sede di reclamo.

Invero, per superare la presunzione di rinuncia e, quindi, la decadenza ex art. 346 c.p.c., è necessario che “la parte vittoriosa in primo grado, che abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi” manifesti “in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda o le eccezioni respinte” (v. fra le altre Cass. 17-12-1999 n. 14267, Cass. sez. 1 20-7-2004 n. 13401).

10. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibilmente formulato per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Nè può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010).

Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente ricostruzione della fattispecie concreta e dunque un vizio motivo da valutare alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censura che – come detto – è circoscritta all’omesso esame di un fatto storico decisivo, con riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione (cfr. Cass. S. U. n. 8053 del 2014).

La sentenza impugnata ha – come innanzi evidenziato – ampiamente esaminato i fatti controversi. La censura mira a contestare la valutazione della prova e non l’applicazione dei parametri normativi della proporzionalità della sanzione all’infrazione commessa e si risolve nel muovere all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili oltre che infondate.

11. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile non essendo ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

12. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile. Della questione non vi è traccia nella sentenza impugnata, nè il ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che termini la questione stessa sia stata eventualmente riproposta in sede di reclamo.

13. Il ricorso incidentale è fondato.

In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi, fermo restando che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell’art. 2233 c.c., comma 2, il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione. (Cass. n. 30286 del 2017).

Invero, deve riconoscersi al giudice il potere di scendere anche al di sotto, o di salire anche al di sopra, dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento – come fatto palese dall’inciso “di regola” che si legge, ripetutamente, nel suddetto comma 1 – ma, proprio per il tenore letterale di detto inciso, tale possibilità può essere esercitata solo sulla scorta di apposita e specifica motivazione (Cass. 3590 del 2018; Cass. n. 11601 del 2018).

Nel caso di specie, la liquidazione delle spese di lite relative al grado del reclamo (“Euro 1.00,00 per la fase di studio, Euro 700,00 per la fase introduttiva”) risulta immotivatamente assai discostata dal parametro medio del valore professionale della prestazione, considerato che il valore minimo previsto dalle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 per le cause di lavoro, di valore indeterminabile, senza istruttoria è pari a Euro 3.513,00 (oltre a Euro 527,00 per spese) e quello medio è pari a Euro 7.025,00 (oltre a Euro 1.054,00 per spese).

14. In conclusione, il ricorso principale va rigettato ed il ricorso incidentale va accolto; la sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso ed al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Sassari in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

15. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

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