Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18280 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 08/07/2019), n.18280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10544-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati EMANUELE DE

ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO;

– ricorrenti –

contro

B.D., EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 79/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 31/01/2014 R.G.N. 447/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 79 del 2014, ha riformato la sentenza di primo grado e dichiarato inefficaci le cartelle esattoriali opposte notificate a B.D. e relative al pagamento della contribuzione alla gestione commercianti in relazione all’attività svolta in favore della società ITC s.r.l. di cui lo stesso era amministratore unico, con riferimento alla notifica di tali cartelle in pendenza di una opposizione a verbale di accertamento proposta dal B.;

la Corte d’appello ha ritenuto che la pendenza dell’impugnazione del verbale ispettivo avesse reso inefficace l’iscrizione a ruolo perchè non preceduta da autorizzazione del giudice (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3) ed in mancanza di opposizione nel merito della pretesa e di espressa richiesta da parte dell’Inps di accertamento del credito;

l’Inps, anche quale mandatario di S.C.C.I. ricorre per la cassazione della sentenza con due motivi;

B.D. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo ed il secondo motivo di ricorso (entrambi proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) deducono, rispettivamente, la violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, e la violazione e o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.;

il ricorrente spiega che l’accertamento impugnato, al quale ha fatto riferimento la Corte d’appello, non riguardava la pretesa contributiva oggetto del presente giudizio (quarto trimestre 2007 e primo e secondo trimestre 2008) ma quello effettuato nell’anno 2003, all’esito del quale il servizio ispettivo, avendo dichiarato l’interessato di gestire il negozio “(OMISSIS)” sin dall’anno 2000, aveva richiesto l’iscrizione d’ufficio del B., amministratore della società sin dal 1997 della società I.T.C. s.r.l., ed in relazione all’attività accertata presso il negozio medesimo; l’interessato aveva, poi, autonomamente, richiesto l’iscrizione alla gestione commercianti dall’anno 2002 ed era risultato inadempiente per i periodi dell’anno 2007 e dell’anno 2008 sopra indicati;

dunque, lamenta il ricorrente, la sentenza ha errato quando, senza considerare che l’Istituto aveva proposto domanda di condanna al pagamento dei contributi dovuti per il periodo in contestazione, sia nella costituzione in giudizio che nella memoria di secondo grado, si è limitata a pronunciare l’inefficacia delle cartelle senza pronunciare nel merito in ordine all’accertamento della pretesa contributiva;

i motivi da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili in quanto risultano basati su di una rappresentazione delle vicende processuali del tutto assente dai contenuti della sentenza impugnata, ed in più essi non riportano le specifiche indicazioni relative alle difese dell’Istituto dalle quali dovrebbe trarsi la prova dell’erronea individuazione dell’oggetto del processo posta in essere dalla corte d’appello;

la sentenza impugnata ha precisato, riportando le dichiarazioni rese dall’Inps nella memoria di costituzione nel primo grado del giudizio, che le cartelle esattoriali opposte derivavano entrambe dall’accertamento ispettivo dei funzionari dell’Inps del 28 marzo 2003 dal quale era emersa l’attività di gestione dell’esercizio commerciale (OMISSIS), appartenente alla società ITC s.r.l. di cui il B. era amministratore;

da tale premessa, dunque, la Corte d’appello, non ravvisando l’esistenza di un giudizio sul merito della pretesa contributiva necessariamente introdotto da una opposizione basata anche sul merito del diritto di credito oggetto di riscossione, ha fatto discendere la conseguenza della illegittimità dell’iscrizione a ruolo e delle cartelle esattoriali, per ciò dichiarate inefficaci, in relazione al disposto di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3 che prevede, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio venga impugnato davanti all’autorità giudiziaria, che l’iscrizione a ruolo sia eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice;

nella ricostruzione del sistema delle tutele riconosciute al soggetto passivo della riscossione dei contributi previdenziali, questa Corte di cassazione ha consolidato l’orientamento secondo il quale la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale – la quale, ai sensi del D.Lgs. n. 26 febbraio 1999, art. 24, comma 3, permane qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del giudice – non esonera il giudice dell’opposizione avverso la cartella esattoriale dall’esaminare il merito della pretesa creditoria (cfr. Cass. 6/8/2012, n. 14149;v. Cass., 15/6/2015, n. 12333), con la conseguenza che gli eventuali vizi formali della cartella esattoriale opposta comportano soltanto l’impossibilità, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito (cfr., Cass. 19/1/2015, n. 774; Cass. 26/11/2011, n. 26395);

è dunque l’opposizione alla cartella esattoriale finalizzata ad accertare che il credito non esiste in tutto o in parte che introduce un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto il rapporto previdenziale, sicchè, in tale ipotesi, anche in presenza di illegittima iscrizione a ruolo dei crediti, l’INPS, pur non potendo più avvalersi del suddetto titolo esecutivo, può chiedere la condanna al corrispondente adempimento nel medesimo giudizio, senza che ne risulti mutata la domanda (Cass. 3486 del 2016) e senza necessità di proporre quindi domanda riconvenzionale e ciò in quanto (v. Cass. n. 13982/07), la cartella esattoriale costituisce non un atto amministrativo, ma un atto della procedura di riscossione del credito (i cui motivi sono già stati indicati e la cui liquidazione è già stata effettuata nei verbali di accertamento redatti dagli ispettori e notificati alle parti) per cui se all’esito del giudizio di opposizione il credito contributivo viene accertato in misura inferiore a quella azionata dall’istituto, il giudice deve non già accogliere sic et simpliciter l’opposizione, ma condannare l’opponente a pagare la minor somma;

nel caso di specie, la Corte d’appello ha escluso che fosse stata introdotta un’opposizione nel merito della pretesa contributiva e, quindi, ha limitato l’ambito del proprio giudizio alla sola verifica della legittimità dell’azione esecutiva di riscossione;

stando così le cose la formulazione di un motivo teso a minare la decisione attraverso la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre ad essere ricondotto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e non a quello di cui al n. 3) deve superare il vaglio di ammissibilità e, quindi, deve contenere la esatta riproduzione degli atti processuali dai quali il giudice di legittimità può trarre il convincimento che l’opposizione era stata proposta anche per ragioni di merito, non essendo sufficiente la mera affermazione che l’Inps aveva “proposto domanda, reiterata finanche nella memoria di secondo grado, di condanna del B. al pagamento dei contributi dovuti per il periodo in contestazione”, nè risolve la carenza di specificità il mero riferimento a brani della sentenza di primo grado ritenuti esaustivi;

infatti, la richiesta dell’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appellatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate (Cass. n. 11738 del 2016; 19410 del 2015); il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

non si deve provvedere sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasto intimato B.D.;

sussistono, dato l’esito del ricorso, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

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