Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18279 del 25/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 25/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.25/07/2017),  n. 18279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12772-2013 proposto da:

B.A.F., (OMISSIS), B.F.G.

(OMISSIS), E.B.M. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO NERI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCESCO DEPRETIS giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.C.P., R.C.C.,

U.M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, V. QUATTRO

VENTI 57, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE CADILHAC,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO ILLUMINATI giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.F.C., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 482/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 28/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

R.C.L., R.C.P., R.C.M.L. e R.C.C. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia E.B.L., E.B.M. e F.C.R. chiedendo accertarsi la nullità del testamento redatto da C.M.A. in data 11/8/1992 nonchè la nullità assoluta del vitalizio stipulato dalla medesima de cuius con le convenute in data 8/7/1992.

Chiedevano altresì annullarsi il predetto testamento per dolo posto in esser sempre dalle convenute, che avevano approfittato delle precarie condizioni di salute fisica e psichica della testatrice, di talchè il testamento era altresì annullabile ex art. 591 c.c., con la conseguente pronuncia di indegnità delle E.B..

Deducevano che erano altresì nulli ovvero annullabili gli atti con i quali la C.M. aveva alienato ad E.B.M. ed a F.C.R. delle quote sociali in quanto trattavasi di atti dissimulanti una donazione, priva dei requisiti di forma prescritti dalla legge.

Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale con sentenza del 4 maggio 2002 rigettava integralmente le domande.

All’esito del giudizio di appello promosso da R.C.L., P. e C. e nella resistenza di E.B.M. e degli eredi di E.B.L., la Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 21 febbraio 2008 dichiarava la nullità della sentenza di primo grado per il difetto di integrità del contraddittorio, relativamente ai giudizio di impugnazione del testamento pubblico e del vitalizio, attesa la mancata partecipazione al giudizio di primo grado di M.F.G., Ma.Fi.Gi. e U.M.A..

Riassunto il giudizio da parte degli appellanti dinanzi al Tribunale di Perugia, si costituivano E.B.M. e B.F.G. che in via assolutamente preliminare eccepivano l’estinzione del giudizio ex art. 307 c.p.c. in quanto la riassunzione non era avvenuta nei confronti dell’altra originaria parte attrice R.L.M..

Il Presidente della Sezione Stralcio del Tribunale adito con ordinanza del 10/3/2009 dichiarava l’estinzione del giudizio.

Avverso tale provvedimento gli attori proponevano sia reclamo al Collegio ex artt. 307 e 308 c.p.c., reclamo dichiarato inammissibile, sia appello dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia, la quale con sentenza n. 482/2012 del 27 settembre 2012 ha accolto il gravame rimettendo le parti dinanzi al giudice di primo grado assegnando per la riassunzione il termine di tre mesi dalla notificazione della sentenza.

In primo luogo rilevava che l’eccezione di estinzione del giudizio poteva esser fatta valere unicamente dalla parte interessata e cioè, nel caso in esame, dal soggetto cui doveva essere notificato l’atto di riassunzione, aderendo in tal modo all’orientamento di legittimità richiamato dagli appellanti, con la conseguenza che il Tribunale non avrebbe potuto dichiarare l’estinzione a fronte della relativa eccezione sollevata da parte dei soggetti cui invece la riassunzione era stata notificata.

In tal senso osservava altresì che sebbene R.M.L., alla quale l’atto de quo non era stato notificato, fosse rimasta contumace nel precedente giudizio di appello, poichè era intervenuto un mutamento processuale che imponeva la notifica della riassunzione, l’atto andava notificato a tutti i suoi eredi e tra questi anche a M.F.C., mancando la prova che la stessa avesse effettivamente non accettato l’eredità nel termine di legge.

Inoltre doveva ritenersi fondata anche la deduzione secondo cui l’estinzione era stata pronunciata allorquando non era ancora decorso il termine per la riassunzione del giudizio.

Invero, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., il termine di sei mesi per la riassunzione decorre solo dalla notificazione della sentenza di appello, con la conseguenza che laddove tale notifica sia mancata, opera il termine lungo annuale di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla pubblicazione della stessa sentenza.

Nel caso di specie la pronuncia che aveva rimesso la causa al Tribunale era stata pubblicata il 21 febbraio 2008 sicchè, tenuto conto anche del periodo di sospensione feriale dei termine, alla data della pronuncia dell’ordinanza di estinzione (10 marzo 2009), era ancora in corso il termine per la notifica dell’atto di riassunzione alle altre parti non ancora evocate in giudizio.

Per l’effetto, ricorrendo un’altra causa di rimessione della causa al giudice di primo grado, all’annullamento del provvedimento impugnato, conseguiva la rimessione della causa al Tribunale di Perugia, dovendo altresì farsi luogo alla condanna di coloro che avevano eccepito l’estinzione, al rimborso delle spese dei gradi di giudizio per i quali non era intervenuta statuizione sulle spese.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso E.B.M., B.F.G. e B.A.F. P.S. sulla base di due motivi.

R.C.P., R.C.C. e U.M.A. hanno resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4 e dell’art. 100 c.p.c., nella parte in cui la decisione gravata ha ritenuto che l’eccezione di estinzione potesse essere sollevata solo dalla parte interessata, intendendosi con tale espressione la litisconsorte non evocata in giudizio in sede di riassunzione. Ad avviso dei ricorrenti trattasi di affermazione erronea in quanto non tiene conto che la corretta interpretazione delle norme è nel senso che soggetto interessato ad eccepire l’estinzione è chiunque tragga vantaggio dalla dichiarazione di estinzione del processo, e quindi nel caso in esame anche i ricorrenti.

Il secondo motivo di ricorso denunzia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione dell’art. 354 c.p.c., comma 3, art. 353 c.p.c., comma 2, art. 125 disp. att. c.p.c. e art. 307 c.p.c., comma 3 nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che l’estinzione era stata pronunciata illegittimamente prima che fosse scaduto il termine previsto per la riassunzione del giudizio, occorrendo tenere conto che la sentenza che aveva disposto la rimessione della causa al Tribunale non era stata notificata.

Si sostiene che la riassunzione comunque non era avvenuta nei confronti dell’altra attrice, R.M.L., sicchè in presenza di una riassunzione parziale non poteva reputarsi correttamente instaurato il rapporto processuale, essendosi quindi determinata l’estinzione del giudizio.

Rileva il Collegio che la decisione gravata, nel riformare la statuizione del Tribunale che aveva dichiarato l’estinzione del processo per la mancata riassunzione dello stesso nei confronti di tutti i litisconsorti, ha individuato a fondamento della propria scelta un duplice ordine di ragioni, ognuno dei quali autonomamente idoneo a sorreggere di per sè solo la riforma dell’ordinanza – sentenza del giudice di prime cure.

Ed, infatti, sia l’affermazione circa la carenza di legittimazione in capo agli odierni ricorrenti ad eccepire l’estinzione del giudizio, sia quella secondo cui alla data della pronuncia dell’ordinanza non era ancora maturato il termine di legge per la riassunzione, sorreggono in maniera autonoma la sentenza gravata, di talchè ove anche venisse meno una delle due rationes, non per questo la sentenza anderebbe cassata, in mancanza di riscontro dell’erroneità anche dell’altra ratio.

Di tale evidenza è peraltro consapevole la stessa difesa dei ricorrenti che ha con i due motivi inteso attaccare entrambe le rationes del giudice di appello, sul chiaro presupposto che solo l’individuazione di ragioni idonee a confutarle entrambe potrebbe portare alla cassazione della sentenza impugnata.

Ritiene il Collegio che, alla luce di tale considerazione, possa prioritariamente esaminarsi il secondo motivo di ricorso, in applicazione del principio della ragione più liquida, ormai affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte, e tale da consentire ad esempio, al giudice di merito di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (cfr. Cass. S.U. n. 9936/2014) ovvero, al giudice di legittimità, di affrontare prioritariamente il ricorso incidentale condizionato, proposto dalla parte interamente vittoriosa su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole nella precedente fase di merito, senza tenere conto della sua subordinazione all’accoglimento del ricorso principale, quando proprio in applicazione del principio in questione, sia consentito di modificare l’ordine delle questioni da trattare, in adesione alle esigenze di celerità del giudizio e di economia processuale di cui agli artt. 24 e 111 Cost. (cfr. Cass. n. 23531/2016).

Nel caso in esame, si profila come connotato da maggiore liquidità proprio la disamina dl secondo motivo di ricorso, in quanto, a differenza del primo motivo che potrebbe in potenza sollecitare la risoluzione di un contrasto tra precedenti orientamenti di questa Corte, risulta palesemente volto a contraddire un consolidato orientamento in punto di tempestività della riassunzione nei caso di rimessione della causa al giudice di primo grado.

Ed, infatti, questa Corte, come ricordato nel precedente citato anche dal giudice di appello (Cass. n. 12298/2011) ha costantemente affermato che nel caso di rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado per l’integrazione del contraddittorio, il termine di sei mesi per la riassunzione del processo decorre, ancorchè sia stato diversamente disposto dal giudice, dalla notificazione della sentenza, come disposto dall’art. 353 c.p.c., richiamato dal successivo art. 354, poichè la notificazione è un atto formale che non ammette equipollenti, quali la comunicazione della sentenza stessa, nè il giudice può abbreviare i termini perentori fissati dalla legge, in violazione dell’art 153 c.p.c..

In ogni caso la parte onerata della riassunzione deve provvedervi comunque entro il termine generale di un anno (applicabile “ratione temporis”) dalla pubblicazione della sentenza, a pena di estinzione del processo, in applicazione dell’art. 327 c.p.c., non essendo ipotizzabile che la riassunzione possa avvenire senza prefissati limiti temporali e dovendo coordinarsi l’onere di riassunzione in modo che il termine per provvedervi non scada prima del termine per il ricorso per cassazione, il quale ha un effetto interruttivo sul predetto onere.

Trattasi di orientamento che risulta essere stato seguito anche dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6622/2016) e che si pone in continuità con quella più risalente (Cass. n. 13160/2007; Cass. n. 8437/1997).

Ne discende, in disparte il rilievo secondo cui ai fini della tempestività della riassunzione è sufficiente notificare il relativo atto ad uno solo dei litisconsorti (cfr. sul punto ex multis Cass. n. 2397/1974, a mente della quale, ove la Corte di appello, abbia rimesso le parti al primo giudice a seguito della mancata partecipazione al giudizio di un litisconsorte necessario, non ricorrono nè la nullità dell’atto di riassunzione nè l’estinzione del processo nel caso in cui tale atto sia stato notificato, nel termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza di appello non notificata, soltanto nei confronti del soggetto già convenuto in giudizio, mentre l’altro litisconsorte, la cui mancata partecipazione al processo ha dato luogo alla sentenza di rimessione, sia stato chiamato in causa mediante atto di citazione notificatogli dopo la scadenza di detto termine, in esecuzione di un provvedimento del giudice), essendo invece tenuto il giudice ad ordinare l’integrazione del contraddittorio (conf. Cass. n. 1623/1974), nel caso in esame, in assenza di notifica della sentenza che aveva disposto la rimessione al Tribunale, come correttamente indicato dai giudici di appello, alla data della pronuncia dell’ordinanza di estinzione, non era ancora decorso il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza e destinato ad operare in assenza di notifica, sicchè non era ancora maturata la fattispecie astrattamente contemplata dal legislatore per la declaratoria di estinzione, correlata al vano decorso del termine per la riassunzione, occorrendo a tal fine sottolineare che, anche a voler ritenere necessario notificare l’atto di riassunzione nei confronti di tutte le parti necessarie, come appunto opinato dal Tribunale nel provvedimento estintivo del giudizio, gli autori della riassunzione ben avrebbero potuto approfittare del tempo ancora mancante alla scadenza dell’anno dalla pubblicazione per completare l’iter riassuntivo.

Il rigetto del secondo motivo determina poi l’inammissibilità del primo motivo, atteso che (cfr. Cass. n. 10196/2013) quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte e autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, una volta rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (conf. Cass. n. 12372/2006).

Il rigetto del ricorso principale con la conseguente valutazione di correttezza della pronuncia gravata determina pertanto l’assorbimento delle questioni sollevate da parte controricorrente laddove si evidenzia che alcuni dei motivi di appello non sarebbero stati esaminati ovvero sarebbero stati rigettati, chiedendosi a questa Corte di voler esaminarli ex art. 384 c.p.c., dovendosi ritenere che, quanto ai motivi rigettati, che si tratti di motivi di ricorso incidentale naturalmente condizionati, e quindi assorbiti per effetto del rigetto, e quanto ai motivi a loro volta ritenuti assorbiti dal giudice di appello, di una richiesta sostanzialmente assimilabile a quella di cui all’art. 346 c.p.c. che tradizionalmente non può avere spazio in sede di legittimità.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.

Nulla a provvedere quanto agli intimati che non hanno svolto difese in questa fase.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale, ed assorbito il ricorso incidentale, condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2017

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