Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18278 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 03/09/2020), n.18278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1421-2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MANFREDI 11,

presso lo studio dell’avvocato VALPINTI GIULIO, rappresentato e

difeso da se medesimo e dall’avvocato BRUCATO ANTONINO,

C.S.;

– ricorrente –

contro

C.G., CONFINDUSTRIA AGRIGENTO IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1879/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 24/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CRICENTI

GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

11 ricorrente, avvocato C.S. è stato eletto presidente del Consorzio ASI (Area Sviluppo Industriale) di cui fa parte anche la Confindustria nelle sue articolazioni

Durante il mandato del ricorrente, il Presidente provinciale di Confindustria Agrigento, ha emesso un comunicato, diramato agli organi di stampa, nel quale ha espresso l’opinione che i vertici del Consorzio ASI, eletti in quel periodo, si limitavano ad interpretare piuttosto che applicare il protocollo Antimafia sottoscritto nel giugno 2010 tra la Regione Sicilia, il Consorzio ASI, la Prefettura di Agrigento e Confindustria Agrigento.

11 ricorrente, che in quel momento era Presidente del Consorzio, ha ritenuto rivolta a sè questa critica, e ha ritenuto diffamatoria l’espressione utilizzata dal presidente Confindustria, ossia il Catanzaro, nella parte in cui ha attribuito agli organi eletti del Consorzio di interpretare il Protocollo piuttosto che applicarlo, con effetti elusivi delle sue disposizioni che hanno portato a non richiedere le verifiche antimafia nei confronti di alcune note imprese.

Il ricorrente ha citato in giudizio sia il Catanzaro, nella sua qualità, che Confindustria Agrigento, chiedendo il risarcimento dei danni da diffamazione.

In quel giudizio entrambi i convenuti si sono costituiti per chiedere il rigetto della domanda.

Il Tribunale ha escluso la diffamazione, sia per la non precisa riferibilità delle espressioni al ricorrente, sia per la continenza delle espressioni utilizzate.

Questa decisione è stata integralmente confermata dalla corte di appello.

Ricorre il C. con quattro motivi. Non v’è costituzione degli intimati, ma memoria del ricorrente,

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

l. – La ratio della decisione impugnata.

La sentenza di appello conferma la valutazione fatta dal giudice di primo grado.

In sostanza, secondo la corte di appello, poichè la condotta di avere eluso lo statuto, per via interpretativa, è attribuita genericamente agli organi eletti, il ricorrente, che pure è tra questi, non e individuabile come diffamato. Inoltre la tesi che il Protocollo e interpretato piuttosto che applicato si mantiene nell’ambito del diritto di critica, e non comporta attribuzione di condotte scorrette.

2. – Questa ratio è contestata con quattro motivi.

Tutti e quattro recano censura di erronea interpretazione dell’art. 595 c.c..

Con il primo motivo il ricorrente si duole del fatto che la corte ha ritenuto non identificabile la sua persona come bersaglio della critica da parte dei convenuti, i quali, hanno fatto generico riferimento ad organi elettivi” piuttosto che esplicitamente al ricorrente.

Ritiene quest’ultimo che l’unico organo elettivo in quel periodo era lui e che dunque la sua persona, quale soggetto cui le espressioni erano riferite, era facilmente identificabile.

Con il secondo motivo (denuncia di erronea interpretazione dell’art. 595 c.p. e art. 2043 c.c.) si ritiene che la corte abbia errato nel non ritenere falsa la notizia, ossia che i vertici di ASI, anzichè applicare il protocollo, lo interpretavano.

Invero il ricorrente assume che sia lui che gli altri vertici hanno sempre applicato il Protocollo e ve ne erano prove sufficienti, trascurate dalla Corte.

Con il terzo motivo (sempre violazione dell’art. 595 c.p.c., e art. 2043 c.c.) si fa denuncia della erronea assunzione di un diritto di critica, il quale presuppone la verità comunque delle affermazioni fatte per criticare, e come richiamato al secondo motivo, tale verità era da escludersi, non essendo vero che il protocollo era interpretato anzichè applicato.

Con il quarto motivo (sempre violazione dell’art. 595 c.p. e art. 2043 c.c.) si denuncia erronea valutazione quanto alla continenza delle espressioni usate, ammessa dalla corte di merito, ma, secondo il ricorrente, inesistente, costituendo invece le espressioni utilizzate un gratuito ed offensivo apprezzamento.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

Va ricordato che in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza, con riferimento, come nella specie, al diritto di cronaca, dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonchè al sindacato della congruità e logicità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile “catione temporis”, restando estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (Cass. 5811/ 2019).

1.a corte di merito ha compiuto un accertamento, e lo ha motivato, sia con riguardo alla genericità della espressione “organi eletti”, decidendo che fosse troppo generica per consentire una riconducibilità al ricorrente, sia con riguardo alla verità e continenza delle espressioni usate dai convenuti.

Le denunce del ricorrente, sotto l’apparente censura di erronea interpretazione della legge, si risolvono in una richiesta di diversa valutazione di fatti, tali essendo la verità e la continenza delle espressioni utilizzate, e tale essendo altresì la riferibilità di elude espressioni al ricorrente.

Comunque sia, va evidenziato che se è vero che anche il diritto di critica deve rispettare la verità del fatto attribuito, è altresì vero che in alcuni casi, come duello presente, la critica non consiste nell’attribuzione di fatti storici precisi, ma di comportamenti non suscettibili di riscontro fattuale, come è il caso della corretta applicazione di un accordo (il Protocollo), quando tale applicazione, presuppone una interpretazione anzichè un’altra del contenuto dell’accordo medesimo.

Il giudizio di fatto, espresso dalla corte di merito quanto alla continenza ed alla verità dei fatti, è dunque correttamente motivato ed incensurabile in questa sede.

PQM

1.a corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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