Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18277 del 19/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 19/09/2016, (ud. 18/02/2016, dep. 19/09/2016), n.18277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25145/2011 proposto da:

B.F. AZIENDA AGRICOLA VIVAI PIANTE DI B.R.

E M. SNC, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell’avvocato MARIO MENDICINI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE

MARCHIORI;

– ricorrente –

contro

M. PIANTE DI M.F. E M. SS, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato, in ROMA, VIA TEVERE 46-A, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE PALA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALESSANDRO VENTURINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1630/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

Preliminarmente il Consigliere Relatore fa presente che l’avviso

d’udienza inviato al domiciliatario del controricorrente è stato

fatto in cancelleria, in quanto lo stesso è deceduto;

udito l’Avvocato MENDICINI Mario, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento delle difese in atti e non si oppone

all’eventuale rinvio della causa per la rinotifica dell’avviso

d’udienza a controparte;

udito il P.M, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che, nulla opponendo all’eventuale rinvio, ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1) Il ricorso concerne la compravendita di due partite di abeti oggetto della fattura n. (OMISSIS), emessa dalla F.B. e Figli snc (attuale ricorrente, avente ora altra denominazione), contestata dall’acquirente società semplice M. Piante.

A seguito di opposizione di quest’ultima, il tribunale di Venezia ha confermato il decreto ingiuntivo emesso su istanza della venditrice nel marzo 2003, per l’importo di circa 30.000 Euro. La Corte di appello lagunare con sentenza 11 luglio 2011 ha invece parzialmente accolto l’opposizione.

Ha ritenuto fondata l’eccezione di inadempimento relativa ai vizi della merce acquistata; ha condannato l’opponente al pagamento di parte del corrispettivo, pari a circa 16.000 Euro; ha liquidato circa 5.700 Euro a titolo risarcitorio in favore dell’opponente. Il ricorso per cassazione consta di quattro motivi illustrati da memoria.

Parte intimata ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Preliminarmente va dato atto che a seguito del decesso del difensore domiciliatario di parte resistente, l’avviso della fissazione di udienza è stato ritualmente effettuato presso la cancelleria della Corte, nonchè a mezzo fax all’avv. Venturini del foro di Pistoia.

3) Il primo motivo di ricorso espone violazione dell’art. 1460 c.c. e art. 112 c.p.c..

La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia qualificato come eccezione di inadempimento la richiesta di revoca dell’ingiunzione e abbia stabilito la decurtazione del prezzo, non concedibile in assenza di specifica domanda.

La censura è infondata. L'”exceptio inadimpleti contractus” di cui all’art. 1460 c.c., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese, secondo un’interpretazione del giudice di merito che, se ancorata a correnti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 20870 del 29/09/2009).

Nella specie è ineccepibile la qualificazione che la Corte di appello ha dato della opposizione, le cui conclusioni già in tribunale inequivocabilmente miravano alla declaratoria dell’inadempimento del contraente venditore e denunciavano (cfr. conclusioni istruttorie) la presenza di vizi della merce. Il ricorso non indica profili interpretativi errati della qualificazione della domanda, ma si limita a invocare principi inadatti al caso di specie, relativi all’inammissibilità del rilievo in appello dell’eccezione.

Inappropriata è anche la tesi relativa alla domanda di riduzione prezzo, giacchè la Corte di appello si è limitata, come potava fare (cfr. Cass. 9517/02), ad accogliere parzialmente l’eccezione di M. volta a paralizzare la pretesa avversaria, chiedendone il rigetto a cagione dell’inadempimento o dell’imperfetto adempimento dell’obbligazione assunta dalla venditrice.

4) Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1495 e 1511 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 6.

Parte ricorrente contesta che sia stata ritenuta tempestiva la denuncia dei vizi, che a suo avviso dovevano essere riscontrati da parte acquirente già al ricevimento della merce e subito denunciati, trattandosi di un vizio apparente.

Al di là dell’impreciso riferimento al n. 6 dell’art. 360 (da intendere n. 3, visto il richiamo in rubrica a norme di legge), la censura non merita accoglimento.

La Corte d’appello, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, perchè logicamente ed esaurientemente illustrato, ha spiegato, tra l’altro, che di là del colore giallastro che la merce presentava alla consegna, la presenza dei vizi degli abeti, dovuti a un fungo, era stata apprezzabile (“una sufficiente nozione”) solo a fine novembre 2002, all’arrivo di contestazioni scritte da parte degli acquirenti finali ai quali l’opponente aveva rivenduto la merce.

Il motivo va quindi respinto.

5) Identica sorte merita il terzo motivo di ricorso, che lamenta violazione degli artt. 101 e 115 c.p.c..

Parte ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello abbia dato rilievo alla deposizione di un perito agronomo, il quale aveva esaminato la merce in assenza di contraddittorio ritualmente instaurato con eventuale procedimento ex art. 696 c.p.c. e lamenta la erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

La censura è priva di fondamento, perchè la Corte di appello ha valorizzato, come era in suo potere, un accertamento tecnico svoltosi privatamente, ma al quale parte venditrice era stata invitata e non aveva voluto partecipare.

La Corte ha ritenuto che la deposizione testimoniale del perito fosse affidabile e riscontrata dalle testimonianze dei vivaisti siciliani e dell’agente di commercio, nonchè dalla assenza di prova circa una cattiva conservazione presso il piazzale (OMISSIS). Ha quindi imputato al venditore originario il vizio manifestatosi presso gli acquirenti finali, cioè dopo un’incubazione compatibile con la natura dell’affezione, come ribattuto efficacemente in controricorso.

Anche in questo caso l’apprezzamento di merito non può essere nuovamente effettuato dalla Corte di cassazione, che non è terzo giudice di merito e che non ravvisa alcuna illogicità nelle puntuali considerazioni svolte in sentenza.

6) Da respingere è infine l’ultima censura (violazione dell’art. 1494 c.c.), che concerne l’attribuzione della colpa del vizio al venditore. Parte ricorrente ricorda che la merce venne visionata in Ungheria da due testi che l’avevano considerata normale e conforme a quella consegnata e si duole che non sia stata considerata la certificazione fitosanitaria rilasciata dall’autorità locale.

La doglianza non può essere accolta, perchè è congrua e logica l’affermazione dei giudici di appello secondo i quali, dovendosi escludere che gli abeti avessero contratto il fungo durante il breve stoccaggio presso M. (durato tra il 14 novembre 2002 data delle prime consegne e il 21 novembre; le contestazioni siciliane arrivarono già a fine mese), è da credere che i vizi, rivelatisi in modo apprezzabile solo dopolfossero imputabili a chi aveva la disponibilità delle piante prima della vendita a M..

7) Il ricorso è rigettato.

Segue la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.500 per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016

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