Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18274 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 05/08/2010), n.18274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, PREDEN SERGIO, VALENTE NICOLA, giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA

2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 826/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/03/2007 r.g.n. 726/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Bologna, decidendo sulla domanda proposta da G.G., affermava, nei confronti dei convenuti INPS e INAIL, il diritto del ricorrente alla maggiorazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche come effetto della esposizione all’amianto subita nel periodo compreso tra il 17 marzo 1971 e il 31 dicembre 1995.

Proposto appello sia dall’INPS che dall’INAIL, la Corte di Bologna, con sentenza del 7 marzo 2007, ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’INAIL e, quanto all’appello dell’INPS, ha osservato che sulla ultradecennalita’ dell’esposizione all’amianto si era formato il giudicato e che ricorreva, nella specie, anche l’ulteriore requisito consistente nel superamento dei valori limite indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991, avendone il consulente tecnico di ufficio, con giudizio pienamente condivisibile, accertato la sussistenza nel periodo dal mese di marzo 1971 al mese di dicembre 1993.

Per la cassazione di questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso nei soli confronti del lavoratore, affidandolo a due motivi.

L’assicurato ha resistito con controricorso.

Le parti hanno entrambe depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo l’INPS censura la sentenza impugnata per insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) costituito dalla durata della esposizione “qualificata” del lavoratore all’amianto.

Contesta alla Corte di merito di avere affermato di pienamente condividere, sul punto, le conclusioni del nominato consulente tecnico di ufficio, salvo poi, del tutto contraddittoriamente, confermare la sentenza di primo grado che aveva ritenuto esistente il diritto al beneficio contributivo per un periodo di piu’ lunga durata (dal marzo 1971 al dicembre 1995).

2. Nel secondo motivo, con deduzione di violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. e art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), l’INPS assume che, contestando, in appello, l’esistenza di una esposizione “qualificata” all’amianto per l’intero periodo (1971 – 1995) in relazione al quale il Tribunale aveva riconosciuto il diritto alla rivalutazione contributiva, aveva implicitamente contestato anche la durata della esposizione, cosi’ come riconosciuta dal primo giudice.

3. Preliminarmente vanno esaminate e disattese le eccezioni di inammissibilita’ e improcedibilita’ del ricorso, formulate dall’odierno resistente ai sensi, rispettivamente, degli artt. 366 e 366 bis c.p.c. nonche’ dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Sotto un primo profilo si sostiene che non risultano nel ricorso i motivi, i documenti e la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si censura la sentenza per vizio di motivazione.

In ogni caso si eccepisce la improcedibilita’ del ricorso per non essere state depositate, unitamente ad esso, le consulenze tecniche di ufficio espletate nei due giudizi di merito e piu’ volte censurate nel ricorso medesimo.

3.1 Al riguardo e’, invero, sufficiente rilevare, che i motivi di cassazione sono puntualmente indicati: a pag. 4 del ricorso il primo (deduzione di vizio di motivazione in relazione al fatto controverso, consistente nella durata dell’esposizione “qualificata” all’amianto), che si conclude – a pag. 8 – con la sintetica enunciazione delle ragioni della dedotta censura; a pag. 9 dell’atto il secondo (deduzione della violazione delle norme di legge relative alla formazione del giudicato, con adeguata formulazione del quesito di diritto). Inoltre, l’INPS ha provveduto, come imponeva il principio di autosufficienza, a trascrivere in ricorso le conclusioni della CTU sulle quali fonda le proprie censure (e sulla conformita’ di esse all’originale non vi e’ contestazione del resistente); e, del resto, e’ la stessa sentenza impugnata a riferirne esplicitamente il contenuto, rendendo, per cio’ stesso, irrilevante, la mancata produzione in questa sede delle consulenze tecniche di ufficio disposte nei gradi di merito.

3.2. Ma, anche in linea di principio, l’eccezione di improcedibilita’ del ricorso per mancata produzione, unitamente all’atto, della consulenza tecnica di ufficio deve ritenersi priva di fondamento.

3.3. Questa Corte, nelle recenti sentenze n. 13174 del 2010 e n. 4898 del 2010, ha affermato che, fermo restando l’onere della specifica indicazione degli atti processuali, documenti e contratti collettivi su cui il ricorso si fonda , secondo il canone dell’autosufficienza dell’atto (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), l’onere di produzione riguarda quei documenti, contratti collettivi ed atti processuali che non siano nella “disponibilita’” della Cassazione in base a distinte previsioni normative, con le quali la disposizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve comunque coordinarsi.

3.4. In particolare, per gli atti processuali, si e’ ritenuto che la prescrizione di deposito e’ rispettata ove l’atto – in particolare, la consulenza tecnica d’ufficio – sia compreso fra quelli che devono essere inseriti nei fascicolo d’ufficio del giudice a quo, formato ex art. 347 c.p.c., comma 3, (per il grado d’appello) in combinato disposto con l’art. 168 c.p.c. (per il fascicolo di primo grado), della cui trasmissione la parte abbia fatto richiesta ai sensi dell’art. 369 c.p.c., u.c..

3.5. Non ignora il Collegio che alcune pronunce hanno invece sostenuto la necessita’ di un deposito distinto di tutti gli atti e i documenti, su cui il ricorso si fonda, anche se si tratti di atti processuali inseriti nel fascicolo d’ufficio del giudizio di merito (cfr. Cass. n. 24940 del 2009; n. 303 del 2010); ma reputa di dover dare continuita’ all’orientamento meno restrittivo, anche alla luce di ulteriori precisazioni fornite, in materia, dalle Sezioni unite, secondo cui l’onere di specifica indicazione e quello, correlato, di deposito sono da considerare assolti – qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte – mediante la produzione di quest’ultimo, purche’ nel ricorso si specifichi che il fascicolo e’ stato prodotto e la sede in cui il documento e’ rinvenibile, mentre la produzione separata – con la corrispondente indicazione in ricorso – s’impone solo per atti del giudizio di merito non compresi nel fascicolo di parte, ovvero per atti nuovi, la cui produzione sia ammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, (cfr. Cass., Sez. un., ord. n. 7161 del 2010):

s’intende che, a maggior ragione, ogni onere riguardante la “disponibilita’” degli atti processuali rilevanti per la decisione della Corte, specificamente individuati e descritti in ricorso, debba ritenersi adempiuto – con riferimento ad atti processuali compresi, ex art. 168 c.p.c. e ex art. 347 c.p.c., comma 3, nel fascicolo d’ufficio – con il deposito dell’istanza di trasmissione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., u.c..

3.6. Peraltro una diversa soluzione comporterebbe, come anche la dottrina non ha mancato di sottolineare, un inutile appesantimento della produzione in giudizio (con la formazione di un separato fascicolo comprensivo di documenti, contratti e accordi collettivi, atti processuali dei fascicoli di parte e atti processuali acquisiti al fascicolo d’ufficio) e, soprattutto, una duplicazione di oneri a carico della parte, non spiegabile sul piano sistematico (in particolare, non potendosi attribuire all’acquisizione del fascicolo d’ufficio, della quale la stessa parte e’ onerata in base alla specifica disposizione dell’art. 369 c.p.c., comma 3, una impropria funzione di “autenticazione” dei medesimi atti da questa separatamente prodotti) e, comunque, contrastante con il principio comunitario di effettivita’ della tutela giurisdizionale, il quale osta ad una disciplina processuale che renda eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti (cfr. Cass., sez. un. n. 3117 del 2006) e impone un’interpretazione, se necessario adeguatrice, del sistema processuale nel senso di restringere le ipotesi di inammissibilita’ dei rimedi giurisdizionali (cfr. Corte cost. n. 189 del 2000).

4. Cio’ posto ed esaminando per primo , per evidenti ragioni di priorita’ logico – giuridica, il secondo motivo del ricorso dell’INPS, osserva la Corte che sulla durata della esposizione a rischio non si e’ formato alcun giudicato interno, poiche’ in appello l’Istituto – come riferisce, peraltro, in narrativa la stessa decisione qui impugnata – si era specificamente doluto della statuizione del Tribunale in ordine alla non necessita’ del “superamento dei valori limite” segnati dal D.Lgs. n. 277 del 1991;

fatto, quest’ultimo, che, nella previsione della L. n. 257 del 1992, concorre con lo svolgimento ultradecennale di attivita’ lavorativa in presenza di amianto a configurare la esposizione “qualificata” richiesta per il riconoscimento del diritto al beneficio contributivo per cui e’ causa.

4.1. Come, infatti, questa Corte ha avuto modo di osservare in controversie analoghe (da ultimo, cfr. Cass. n. 4363 del 2009 e, in passato, n. 8859 del 2001) il fatto costitutivo del diritto in questione non si identifica con la mera durata ultradecennale di un’attivita’ lavorativa svolta in un luogo di lavoro in cui era presente l’amianto, bensi’ con la esposizione del lavoratore al rischio di ammalarsi a causa della inspirazione – per oltre un decennio – di fibre di amianto presenti in quel luogo in quantita’ superiore ai valori limite segnati dalla normativa prevenzionale del D.Lgs. n. 277 del 1991; ne consegue che l’accertamento giudiziale della semplice durata di quell’attivita’, senza determinazione del rischio effettivo e, quindi, senza l’apprezzamento di un’esposizione “qualificata”, non costituisce, di per se’, ragione di riconoscimento del diritto al ripetuto beneficio contributivo e, come tale, non e’ suscettibile di passare in giudicato.

5. Quanto al primo motivo di ricorso, e’ sufficiente osservare che la sentenza impugnata esibisce, all’evidenza, i denunciati vizi di motivazione, posto che il giudice d’appello dichiara di condividere e far proprio il giudizio del consulente tecnico di ufficio – il quale ( come riferisce la stessa sentenza a pag. 9) si era espresso nel senso che “nel periodo dal mese di marzo 1971 al mese di dicembre 1993, il valore di esposizione del G. alle polveri di amianto e’ stato superiore al valore limite medio indicato quale valore di soglia stabilito dalle menzionate leggi” – salvo, poi, senza alcuna spiegazione e in contraddizione con tale premessa, rigettare l’appello dell’Istituto previdenziale e confermare, con cio’, il dispositivo della sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il diritto al beneficio per il piu’ ampio periodo marzo 1971 – dicembre 1995.

6. In conclusione, il ricorso dell’INPS va accolto e la causa, previa cassazione della sentenza impugnata, e’ rinviata alla Corte d’appello di Firenze, per l’accertamento dell’effettivo periodo di esposizione qualificata all’amianto, suscettibile, come tale, di rivalutazione contributiva.

7. Il giudice di rinvio pronuncera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze anche per le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

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