Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1827 del 25/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 25/01/2018, (ud. 28/04/2017, dep.25/01/2018),  n. 1827

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8/7/2014 la Corte d’Appello di Palermo ha respinto il gravame interposto dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento in relazione alla pronunzia Trib. Sciacca – Sezione specializzata agraria – 14/12/2012, di rigetto della domanda di accertamento della scadenza al 4/8/2013 del contratto di affitto di fondo rustico sito in (OMISSIS), intercorrente con i sigg. A.M. e A.M., in cui era subentrata L.R. n. 5 del 2009, ex art. 8, alla A.U.S.L. n. (OMISSIS) di Agrigento.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resistono con controricorso gli A., che hanno presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 418 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che l’eccezione di controparte di nullità e/o annullabilità della clausola relativa alla durata quinquennale del contratto integra in realtà una vera e propria domanda riconvenzionale, da dichiarasi inammissibile “per mancato rispetto della regola procedimentale posta dall’art. 418 c.p.c.”.

Si duole che non sia stata dichiarata l’improcedibilità della domanda, non essendo stato in relazione alla riconvenzionale esperito il tentativo di conciliazione.

Con il 2^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 203 del 1982, art. 45, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il patto in deroga sia stato stipulato senza l’attiva partecipazione di effettiva consulenza e di indirizzo della associazione professionale di categoria chiamata ad assistere alla stipulazione del contratto.

Con il 3° motivo denunzia “omessa motivazione” su “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia accolto la richiesta di acquisizione documentale giusta l’impugnata “ordinanza del 14.12.2012”, “nonostante la palese rilevanza della documentazione in questione, che certamente avrebbe indotto il Tribunale prima, e la Corte poi,… ad una diversa decisione nel merito”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che il requisito – a pena di inammissibilità richiesto ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risulta nel caso dalla ricorrente non osservato laddove pone a fondamento delle proprie doglianze atti e documenti del giudizio di merito (es., il “contratto di affitto del 5 agosto 2008 intercorrente tra la A.S.P. di Agrigento e i Sigg.ri A.M. e A.A.M.”, la “planimetria allegata al contratto”, la “domanda riconvenzionale”, l’atto di appello, la “documentazione in questione”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239 e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Deve ulteriormente porsi in rilievo, con particolare riferimento al 1^ motivo, che risulta dalla ricorrente non idoneamente censurata l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui in ordine alla “censura” mossa dall’allora appellante alla sentenza del giudice di prime cure “per non avere dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 418 c.p.c., quella che a suo parere sarebbe una domanda riconvenzionale… basta rilevare che i convenuti, nella sostanza, si sono limitati ad eccepire, tempestivamente, la durata quindicennale del contratto (del resto, verificabile dal giudice anche di ufficio)”.

L’odierna ricorrente si è al riguardo infatti limitata a ribadire la censura già sottoposta al giudice del gravame e dal medesimo espressamente come sopra rigettata, in termini a tale stregua di inammissibile contrapposizione della propria tesi agli argomenti dell’impugnata decisione e senza sviluppare argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, invero senza alcuna distinzione tra questioni di fatto e di diritto e con “numerose ripetizioni, tanto da rendere difficoltosa anche soltanto l’individuazione delle questioni poste” (v., in tali termini, Cass., 17/3/2017, n. 7009), sicchè quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di un “non motivo” (cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Va ulteriormente sottolineato come, nell’accertare che “nel caso di specie la presenza del sindacalista D.V.” sia stata “puramente formale”, e nel dichiarare la conseguente nullità e nel confermare la declaratoria di relativa nullità parziale del giudice di 1^ grado, la corte di merito ha nel caso fatto invero pieno e corretta applicazione del principio in base al quale ove un contratto di affitto agrario venga concluso in violazione della L. n. 11 del 1971, art. 23, comma 3 (come sostituito dalla L. n. 203 del 1982, art. 45), disposizione che subordina la validità delle stipulazioni avvenute in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari alla necessità che le parti siano assistite dalle rispettive organizzazioni professionali, non si determina la nullità dell’intero negozio, bensì l’automatica sostituzione ex art. 1339 c.c., delle clausole pattuite dalle parti in difformità dal modello legale con quelle legislativamente previste, ferma restando l’esistenza e validità del contratto di affitto ex art. 1419 c.c., comma 2 (v. Cass., 4/6/2013, n. 14046; Cass., 22/5/2001, n. 6956; Cass., 1/12/1999, n. 13359. E già Cass., 6/6/1995, n. 6360).

Deve infine sottolinearsi che inammissibilmente la ricorrente si duole dell’asseritamente erronea valutazione delle emergenze probatorie (e in particolare della deposizione del teste V.), atteso che solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, di cui Euro 7.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2018

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