Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18269 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. un., 08/07/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 08/07/2019), n.18269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sezione –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4885-2019 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’AEROPORTO 29, presso la Dott.ssa CLAUDIA ANNA ELEONORA MANZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO ROMANO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 1/2019 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il giorno 08/01/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA

Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- M.F. è stato condannato alla rimozione dall’ufficio con sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura pubblicata in data 11/12/2009 (n. 43/2010).

1.1.- La sentenza è passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso proposto dal magistrato alle Sezioni unite della Corte di cassazione (sent. 31/5/2011, N. 11964).

1.2.- Con istanza depositata in data 25/9/2018 l’ex magistrato ha chiesto la revisione della sentenza, assumendo che all’epoca dei fatti contestati e fino a due mesi prima della presentazione dell’istanza di revisione egli versava in uno stato mentale alterato, in quanto affetto da una grave malattia, – “depressione maggiore episodio ricorrente grave” – definitivamente diagnosticata dopo la conclusione del procedimento disciplinare, che gli aveva impedito di avere esatta cognizione delle attività compiute. A tal fine ha prodotto documentazione sanitaria.

2.- Con ordinanza pubblicata in data 13/12/2018 la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, per difetto del requisito della novità della prova.

2.1.- La Sezione disciplinare ha infatti rilevato che nella sentenza di condanna la questione della malattia psichica da cui il ricorrente era affetto era stata già sottoposta alla cognizione del giudice, sia pure ai fini di valutare la sua capacità di stare in giudizio.

2.2.- La produzione della relativa certificazione medica (certificato del (OMISSIS), in cui vi era la specifica menzione dello stato depressivo grave) escludeva la novità della prova e smentiva l’assunto dello stesso incolpato-condannato di non aver dedotto prima il suo stato patologico dinanzi alla sezione disciplinare temendo lo stigma sociale connesso alla malattia mentale.

2.3.- La sezione disciplinare ha poi aggiunto che, fini della revisione, non è sufficiente una diversa qualificazione dei fatti già presi in esame da una precedente sentenza disciplinare passata in giudicato, nemmeno alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 113/2011, la quale permette l’impugnazione nel caso di violazione dei principi del giusto processo accertati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in relazione al giudizio già svolto.

3.- Contro l’ordinanza il M. propone ricorso ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 25, n. 8, e deduce un unico complesso motivo. Il Ministero della giustizia è rimasto intimato. Per la Procura generale, l’Avvocato generale ha concluso per il rigetto dell’istanza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la produzione dei documenti inviati per via telematica dal ricorrente e pervenuti presso la cancelleria di questa Corte in data 29/5/2019, unitamente all’istanza rivolta al Presidente del Collegio in cui si rappresenta la proposizione di un ricorso per revocazione contro la ordinanza qui impugnata, dichiarato peraltro inammissibile dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con ordinanza del 16/5/2019.

1.1.- Deve infatti rilevarsi che nel giudizio di cassazione non operano le disposizione sul deposito telematico tramite PEC degli atti processuali, sicchè deve ritenersi irrituale, e come tale inammissibile, il deposito della memoria e dei documenti ad essa allegati (Cass. 19/1/2017, n. 1349; Cass. 7/2/2017, n. 3264; Cass. 3/3/2017, n. 5460).

2.- Con l’unico complesso motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in correlazione con l’art. 606 c.p.p., lett. e), D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 25,artt. 630 e 631 c.p.p., nonchè con l’art. 97 Cost., art. 111 Cost., commi 1 e 5.

2.1.- Assume la illogicità e la contraddittorietà della motivazione che ha riconosciuto che la certificazione sanitaria esaminata dalla Sezione disciplinare nel giudizio conclusosi con la sentenza di condanna era stata prodotta in quel processo al solo fine di valutare la sua capacità a stare in giudizio (anzi, l’impedimento attuale a comparire), non anche per valutare la sua capacità di intendere e di volere al momento della commissione dei fatti, trattandosi peraltro di certificazioni riguardanti un periodo ad essi successivo.

1.2.- Sottolinea che la certificazione del (OMISSIS) redatta dal dottor S. – ed in cui si accennava alla malattia psichica – era stata depositata nel giudizio disciplinare solo ad colorandum. Per contro, i certificati ai quali egli si riferiva, e che non aveva prodotto nel giudizio disciplinare per evitare lo stigma sociale della malattia mentale, erano altri, confermati poi nella cartella clinica di dimissione del (OMISSIS), quindi dopo la pronuncia della sentenza resa dalla Sezione disciplinare, in cui risultava la diagnosi di “depressione maggiore episodio ricorrente”; di tali certificazioni (e in particolare del certificato del (OMISSIS), depositato al Consiglio superiore della magistratura per ottenere un’aspettativa per motivi di salute; nonchè del certificato del (OMISSIS), contenente la medesima diagnosi, e ulteriori certificati medici pressochè coevi alla commissione dei fatti per i quali era stato condannato), l’ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revisione non aveva fatto cenno, con la conseguenza che i documenti non erano stati valutati con riferimento alla questione posta a fondamento della revisione, ossia la valutazione della malattia psichica sotto il profilo della capacità dell’incolpato di determinarsi liberamente e coscientemente all’epoca dei fatti oggetto di contestazione.

2.3.- Sotto altro profilo, assume che il giudice della cognizione, a fronte della conoscenza delle condizioni di salute dell’allora incolpato, avrebbe dovuto accertare l’elemento soggettivo dell’illecito. Tale accertamento era stato, invece, del tutto carente.

3.- Il motivo è infondato.

Ai sensi del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 25, comma 1, lett. b) “1. E’ ammessa, in ogni tempo, la revisione delle sentenze divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando: (…) b) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l’insussistenza dell’illecito (…).”.

E’ stato chiarito che la revisione della sentenza disciplinare è ammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 25, in presenza di elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati nella precedente pronuncia, tali da incidere su circostanze rilevanti e non marginali. Resta invece preclusa la mera rivalutazione di fatti già esaminati, nonchè della fondatezza giuridica delle ragioni e delle conclusioni della precedente pronuncia (v. anche, Cass., S.U., 17 febbraio 2009, n. 3760), non potendosi, attraverso lo strumento della revisione, censurare i criteri logico-giuridici sui quali quella pronuncia, divenuta irrevocabile, si è basata (Cass. 24/3/2014, n. 6826; Cass. Sez.Un. 20/7/2012, n. 12613).

3.1.- E si è aggiunto che la revisione della sentenza disciplinare del C.S.M. per effetto dei nuovi elementi di prova descritti dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 25, comma 1, lett. b), postula che il giudice adito si confronti necessariamente con il contenuto della statuizione impugnata per verificare se la sopravvenienza del fatto nuovo risulti rilevante alla stregua del quadro istruttorio e dell’impianto decisorio della stessa, altrimenti finendosi per consentire a quel giudice di rinnovare completamente le valutazioni ivi espresse e di rimettere in discussione, ben oltre i limiti sanciti dalla norma, una decisione ormai irrevocabile (Cass. Sez.Un. 25/07/2016, n. 15288).

4.- La sezione disciplinare ha fatto piana applicazione di questi principi, ritenendo che gli elementi di prova addotti dal ricorrente a fondamento della sua istanza difettino del carattere della novità e appaiono inidonei, da soli o in concorso con quelli già valutati dalla Sezione disciplinare, a pervenire ad una soluzione diversa da quella affermata con la sentenza oggetto della richiesta di revisione.

4.1.- La Sezione disciplinare, in sede di revisione, ha infatti accertato che la certificazione del dottor S.A. del (OMISSIS), in cui pacificamente era riportata la diagnosi di “stato depressivo grave”, era stata già valutata nella sentenza di condanna, sia pure per escludere l’incapacità del soggetto a stare in giudizio, come si desume dal seguente periodo: “Nessun rilievo processuale può essere attribuito alla certificazione prodotta, sempre nella fase preliminare, a firma del Dott. S.A. e diretta ad ottenere la concessione della pensione per inabilità, non rappresentando in ogni caso un quadro in grado di incidere sulla capacità di stare in giudizio del Dott. M.” (sent. n. 43/2010).

4.2.- Il deposito di tale certificato nel giudizio a quo e la sua indubbia valutazione da parte dell’organo disciplinare ne escludono il carattere della novità: a contrastare tale giudizio non può rilevare la circostanza, meramente accidentale, che nella sentenza non sia riportata la diagnosi di depressione nè, tantomeno, lo scopo per cui il certificato fu depositato dall’odierno ricorrente (“al fine di dimostrare lo stato generale psico-fisico del dottor M. e per rinforzare la richiesta di rinvio”: pag. 8 del ricorso).

4.3.- Ciò che rileva è che, in quella sede, lo stato psicofisico generale dell’allora incolpato, e, dunque, anche la sua malattia psichica, come specificamente menzionata nel certificato del (OMISSIS) del dottor S., furono oggetto della cognizione del giudice disciplinare che, con valutazione non più sindacabile in questa sede, ritenne comunque esistente la capacità di stare in giudizio dell’incolpato, il che implica un accertamento positivo circa la sua capacità di farsi parte attiva nel processo e autodeterminarsi sotto il profilo del diritto di difesa.

4.4.- In altri termini, la questione posta dal ricorrente nell’odierno ricorso, secondo cui all’epoca del procedimento disciplinare egli non era in grado di percepirne l’importanza e dunque di difendersi adeguatamente, è stata già affrontata e risolta negativamente dalla sezione disciplinare nella sentenza oggetto dell’istanza di revisione, che ha escluso che il complessivo stato morboso del ricorrente, compresa la malattia mentale, fosse di tale gravità da incidere sulla sua capacità di difendersi adeguatamente. Il che logicamente implica un giudizio positivo circa la possibilità che, in quella sede, egli facesse valere anche l’infermità mentale, idonea ad incidere ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p. sulla sua imputabilità al momento della commissione dei fatti contestati.

5.- E’ invece riscontrabile un profilo di inammissibilità nell’altro e diverso profilo della censura, con cui il ricorrente lamenta che, a fronte della conoscenza delle sue condizioni di salute, il giudice della condanna disciplinare avrebbe dovuto “almeno accennare all’elemento soggettivo dell’illecito; accertamento del tutto carente”: tale censura, oltre ad essere del tutto priva di precisione e specificità, impinge direttamente sulla completezza e sufficienza della motivazione della sentenza, ossia prospetta un vizio che è del tutto estraneo all’ambito del giudizio di revisione e che avrebbe dovuto, invece, essere fatto valere attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione.

5.1.- Quanto all’ulteriore documentazione sanitaria depositata dinanzi alla Sezione disciplinare del CSM in questo giudizio, e che non sarebbe stata esaminata, essa appare priva di decisività, siccome vertente a comprovare il medesimo stato patologico già oggetto di valutazione nella sentenza n. 43/2010, trattandosi peraltro di certificati che, in quanto (in parte) preesistenti alla sentenza di condanna, avrebbero dovuto essere fatti valere in quella sede.

5.2.- Al riguardo, va ricordato che l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, eccezionalmente e nei casi tassativamente previsti, di rimuovere gli effetti del giudicato dando priorità all’esigenza di giustizia sostanziale, anche a scapito della certezza dei rapporti giuridici (Cass. pen. ord., 11/1/2006, n. 762).

5.3.- Da tale rilievo consegue che la risoluzione dell’efficacia del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile (in termini: Cass. n. 762/2006, ed ivi ulteriori richiami).

6.- Deve pertanto confermarsi la decisione di inammissibilità del giudizio di revisione, dovendosi negare la qualità di “prove nuove” a tale ulteriore documentazione.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in mancanza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero e della natura di parte meramente formale della Procura generale di questa Corte di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

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