Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18266 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/07/2017, (ud. 01/02/2017, dep.24/07/2017),  n. 18266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25595-2015 proposto da:

COMUNE DI ISCHIA, – P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 17, presso lo STUDIO VIGLIONE-VITOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE VITOLO;

– ricorrente –

contro

VILLA DEI SOGNI S.A.S. DI M.A. & C., – P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANPAOLO BUONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2820/7/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 23/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

riconvocata, non partecipata, del 16/03/2017 dal Consigliere Dott.

LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

La CTR della Campania, con sentenza n. 2820/7/2015, depositata il 23 marzo 2015, non notificata, accolse l’appello proposto dalla società Villa dei Sogni di M.A. & C. S.a.s. nei confronti del Comune di Ischia, avverso la sentenza della CTP di Napoli, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso avvisi di accertamento per TARSU per gli anni dal 2007 al 2012 compreso.

Avverso la pronuncia della CTR il Comune di Ischia ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, articolato in un duplice ordine di censure.

La società resiste con controricorso, eccependo in relazione a diversi profili l’inammissibilità dell’avverso ricorso.

Con l’unico motivo, l’ente impositore denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62,63,70,71 e 72, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo, in relazione alla censura per vizio motivazionale, è inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, essendo stato prospettato il relativo vizio in termini d’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ciò che nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è precluso, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 7 aprile 2014, n. 8053 e successive pronunce conformi.

A ciò consegue la definitività dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito sulla natura dell’attività svolta dalla società di locazione di immobili ad uso di abitazione.

Nè residua margine alcuno per la valutazione autonoma dell’ulteriore censura per error in indicando, avendo parte controricorrente eccepito la novità del rilievo contenuto nel motivo di ricorso in punto di soggettività passiva d’imposta, nel senso che ove si fosse trattato effettivamente di locazione d’immobili ad uso di abitazione l’obbligazione tributaria per TARSU avrebbe dovuto far capo ai conduttori.

Non emergendo detta questione dalla sentenza impugnata, era dunque onere di parte ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare tempo e luogo in cui la relativa questione era stata dedotta nel giudizio di merito.

Non avendo l’ente ricorrente ottemperato a detto onere, il motivo va ritenuto inammissibile anche con riferimento a detto profilo.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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