Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18266 del 08/07/2019

Cassazione civile sez. un., 08/07/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 08/07/2019), n.18266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33337-2018 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA

SACCUCCI;

– ricorrente –

contro

CAMERA DEI DEPUTATI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

13955/2017 del TRIBUNALE di ROMA.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/05/2019 dal Consigliere LUCIA TRIA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale DE

AUGUSTINIS UMBERTO, il quale conclude per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RITENUTO

che l’onorevole P.C., con ricorso al Tribunale di Roma, ha chiesto l’accertamento e la dichiarazione – previa, all’occorrenza, la disapplicazione della deliberazione n. 131 del 2015 dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati con la quale è stata disposta la cessazione a far data dal 4 ottobre 2016 dell’erogazione dell’assegno vitalizio corrispostogli in qualità di ex deputato a decorrere dall’1 agosto 2007 – della illegittimità di tale disposizione con la conseguente condanna della Camera stessa al pagamento dell’assegno vitalizio con gli arretrati non versati, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al soddisfo;

che la Camera dei deputati, costituendosi in giudizio, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso per difetto assoluto di giurisdizione in favore degli organi di autodichia della Camera e, in subordine, per il rigetto del ricorso;

che con l’attuale ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione il P., chiede, in via principale, che venga dichiarata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla presente controversia e, in subordine, che venga sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati davanti alla Corte costituzionale;

che la Camera dei deputati, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, resiste, con controricorso, chiedendo che sia dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione per essere la presente controversia devoluta agli organi di autodichia della Camera dei deputati;

che il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

che, in prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, nella quale ha sviluppato argomenti di contestazione delle argomentazioni della controricorrente nonchè delle conclusioni scritte del pubblico ministero, soffermandosi in particolare sulle modalità di nomina dei componenti degli organi di autodichia e sul relativo funzionamento.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’attuale ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione il P., in primo luogo, sottolinea che le eccezioni alla “grande regola dello Stato di diritto ed al conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti” devono essere espresse e non sono suscettibili di applicazione estensiva o analogica, ai sensi dell’art. 14 preleggi (Corte Cost. sentenze n. 379 del 1996 e n. 120 del 2014);

che, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2017, l’autodichia “rimane confinata ai rapporti di lavoro degli apparati serventi dei singoli organi costituzionali” e resta un istituto di carattere eccezionale che non è compatibile con qualsiasi applicazione diversa e ulteriore rispetto ai suddetti confini ad essa assegnati, tanto meno per analogia;

che si sostiene che il giudizio instaurato davanti al Tribunale ordinario di Roma non rientra nell’ambito di applicazione dell’autodichia come sopra delineato, in quanto ha ad oggetto l’impugnazione della Delib. dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati con la quale è stata disposta la cessazione dell’erogazione dell’assegno vitalizio ad un ex parlamentare condannato in sede penale per reati ivi previsti, a decorrere dal 4 ottobre 2016;

che, passando all’esame del presente ricorso, deve essere in primo luogo ricordato che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha precisato che per autodichia si intende, comunemente, la capacità di una istituzione – ed in particolar modo degli organi costituzionali che siano già muniti di autonomia organizzativa e contabile – di decidere direttamente, con giudizio dei propri organi, ogni controversia attinente all’esercizio delle proprie funzioni senza che istituzioni giurisdizionali esterne possano esercitare sui relativi atti controlli e sindacati di sorta, applicando la disciplina normativa che gli stessi organi si sono dati nelle materie trattate (vedi, per tutte: Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529);

che, come sottolineato nelle sentenze della Corte costituzionale n. 120 del 2014 e n. 262 del 2017, l’autodichia costituisce manifestazione tradizionale della sfera di autonomia riconosciuta agli organi costituzionali, a quest’ultima strettamente legata nella concreta esperienza costituzionale;

che, come già rilevato da questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 4 maggio 2018, n. 10775) nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2017 sono altresì contenute le seguenti significative precisazioni:

a) i collegi dell’autodichia, benchè siano “interni” all’organo costituzionale di appartenenza e quindi estranei all’organizzazione della giurisdizione, tuttavia sono tenuti al rispetto della “grande regola” del diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale effettiva dei propri diritti, essendo questa una scelta che appartiene ai grandi principi di civiltà del tempo presente, che non può conoscere eccezioni (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014);

b) infatti, i suddetti collegi oggi, in seguito alle ultime modifiche, risultano costituiti secondo regole volte a garantire la loro indipendenza ed imparzialità e sono quindi chiamati a svolgere funzioni obiettivamente giurisdizionali per la decisione delle controversie loro attribuite come del resto, in relazione alla funzione del giudicare, impongono i principi costituzionali ricavabili dagli artt. 3,24,101 e 111 Cost. e come ha richiesto la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;

c) in particolare, presso la Camera dei Deputati – e presso il Senato della Repubblica – le controversie in argomento si svolgono, in primo e in secondo grado, secondo moduli procedimentali di natura sostanzialmente giurisdizionale, idonei a garantire il diritto di difesa e un effettivo contraddittorio;

d) è da escludere, quindi, che tali collegi siano stati configurati quali giudici speciali ex art. 102 Cost., sicchè avverso le loro decisioni non è neppure ipotizzabile il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, essendo la sottrazione delle decisioni stesse al controllo della giurisdizione comune, in definitiva, un riflesso dell’autonomia degli organi costituzionali in cui sono inseriti;

e) ma il carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività degli organi di autodichia, posti in posizione d’indipendenza, li rende giudici ai fini della loro legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971);

che, alla luce delle suddette osservazioni e della giurisprudenza di queste Sezioni Unite, ancorchè la normativa di base applicata dai suindicati collegi – regolamenti parlamentari “maggiori” e “minori”, integrati da atti ad essi equiparati, come le delibere dell’Ufficio di Presidenza (Cass. SU 16 aprile 2018, n. 9337) – sia sottratta al sindacato di legittimità costituzionale e le decisioni ivi assunte siano del pari immuni rispetto al sindacato di legittimità previsto dall’art. 111 Cost., comma 7, (trattandosi di decisioni rese al di fuori di alcuna giurisdizione speciale, vedi Cass. SU 19 giugno 2018, n. 16153 e n. 16155), tuttavia non può ipotizzarsi la sottrazione anche alla verifica che compete per intero a queste Sezioni Unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione;

che, invero, tale verifica riguarda il fondamento costituzionale per l’esercizio del potere decisorio degli organi di autodichia ed è finalizzata ad accertare se esiste un giudice del rapporto controverso o se quel rapporto debba ricevere una definitiva regolamentazione domestica, anche alla luce del “confine” entro il quale legittimamente possono essere previste l’autonomia normativa degli organi costituzionali e l’attribuzione della decisione di eventuali controversie agli organi di autodichia, quale delineato nella sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 262 del 2017 cit. (vedi, in tal senso: Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529 cit.; nonchè Cass. SU 29 dicembre 2014, n. 27396);

che una simile verifica è diretta ad accertare se gli organi di autodichia (nella specie della Camera dei Deputati) possano essere considerati, in relazione alle singole fattispecie evidenziate volta per volta nei ricorsi, una sede decisoria “bensì peculiare ma non estranea alle linee che la Costituzione detta per la tutela dei diritti” (vedi Cass. SU n. 6529 del 2010 cit.);

che, infatti, la finalizzazione dell’autodichia a garantire meglio la speciale autonomia che la Costituzione riconosce agli organi costituzionali comporta che sia riconosciuta l’utilizzabilità di uno strumento – peraltro non impugnatorio, quale è il regolamento preventivo di giurisdizione – idoneo a stabilire se la regolamentazione e la decisione delle controversie sui diritti attribuite agli organi di “giurisdizione domestica o interna” risultino conformi all’art. 2 Cost., comma 1 e all’art. 3 Cost. (anche, ad esempio, con riguardo al rispetto al suindicato “confine” di attribuzione), oltre che all’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, in particolare nella sentenza 28 aprile 2009, Savino e altri contro Italia;

che, d’altra parte, la diversità di sfera applicativa rispettivamente dell’art. 41 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 7, è del tutto fisiologica al sistema e deriva dall’essere il regolamento preventivo di giurisdizione un rimedio non impugnatorio diretto ad una pronuncia con efficacia panprocessuale, al quale non si applicano le preclusioni previste per l’altro mezzo (vedi, per tutte: Cass. SU 20 ottobre 2016, n. 21260);

che, com’è noto, il regolamento preventivo di giurisdizione costituisce uno strumento preventivo (e facoltativo) diretto all’immediata e definitiva soluzione delle questioni attinenti alla giurisdizione, il quale, in linea teorica, è utilizzabile anche dallo stesso soggetto che ha scelto il giudice della cui giurisdizione abbia poi avuto motivo di dubitare a seguito delle contestazioni dell’altra parte, ovvero di un proprio spontaneo ripensamento (vedi, per tutte: Cass. SU 15 dicembre 1977, n. 5466);

che, infatti, per costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite – in ragione della posizione istituzionale della Suprema Corte, della forza esterna della sua pronuncia e dello specifico impatto che essa esercita sulla ragionevole durata del processo – la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione è consentita a ciascuna parte, e quindi anche all’attore nel giudizio di merito, ma non ad libitum;

che tale facoltà può essere esercitata da chi ha introdotto il giudizio di merito e scelto il giudice cui rivolgersi soltanto in presenza di dubbi ragionevoli sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito e, quindi, di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della questione da parte delle Sezioni Unite, in via definitiva ed immodificabile, al fine di evitare che la relativa risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, così ritardando la definizione della causa e frustando l’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo (Cass. SU 21 settembre 2006, n. 20504; Cass. SU 27 gennaio 2011, n. 1876; Cass. SU 12 luglio 2011, n. 15237; Cass. SU 16 dicembre 2013, n. 27990; Cass. SU 2 febbraio 2016, n. 1918; Cass. SU 20 ottobre 2016, n. 21260; Cass. SU 18 dicembre 2018, n. 32727);

che, nella specie, tali requisiti sono, in astratto, presenti;

che, tuttavia, dato l’oggetto della controversia, l’attribuzione della decisione sulla presente controversia agli organi di autodichia del Parlamento – e, in particolare, al Consiglio di Giurisdizione della Camera dei deputati – deve considerarsi pacifica, tanto più alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale (spec. sentenza n. 262 del 2017 cit.);

che, come risulta confermato anche dal parere del Consiglio di Stato 3 agosto 2018, n. 2016 reso sulla presente riforma della disciplina dei cosiddetti “vitalizi” spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all’indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico;

che tale indennità, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (Corte Cost., sentenza n. 289 del 1994 e, nello stesso senso: Cass. 1 ottobre 2010, n. 20538; Cass. 20 giugno 2012, n. 10177; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3589), essendosi sottolineato che la sua attribuzione ai membri del Parlamento, a norma dell’art. 69 Cost., è finalizzata a garantire il libero svolgimento del mandato;

che, in particolare, si è rilevato che il principio enunciato dall’art. 69 Cost. – “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge” – che rappresenta un ribaltamento della formula adottata dallo Statuto albertino, deve essere considerato come una delle garanzie di effettività per i collegati principi della libertà di scelta dei propri rappresentati da parte degli elettori (art. 48 Cost.), dell’accesso dei cittadini alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e del libero esercizio delle funzioni del parlamentare senza vincolo di manbdato (art. 67 Cost.);

che, in altre parole, dal suddetto collegamento tra indennità parlamentare e assegno vitalizio si desume che così come l’assenza di emolumento disincentiverebbe l’accesso al mandato parlamentare o il suo pieno e libero svolgimento, rispetto all’esercizio di altra attività lavorativa remunerativa; allo stesso modo l’assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un’attività lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale;

che, pertanto, se il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato – sebbene esso non trovi specifica menzione nella Costituzione, a differenza dell’indennità prevista nell’art. 69 Cost. – può dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alla cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell’attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza, come del resto accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato;

che anche se la rispettiva disciplina sostanziale dei due istituti è rinvenibile in fonti differenti, visto che solo per l’indennità è prevista la riserva di legge (che tuttora trova riscontro nella L. 31 ottobre 1965, n. 1261), è indubbio che entrambi gli istituti rientrino nell’ambito della normativa “da qualificare come di diritto singolare” che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare loro riconosciuta dall’art. 64 Cost., comma 1, artt. 66 e 68 Cost. (Corte Cost., sentenze n. 66 del 1964 e n. 24 del 1968 nonchè sentenza n. 379 del 1996);

che alla medesima logica risponde – a contrario – anche la Delib. Ufficio di Presidenza della Camera attualmente impugnata 7 maggio 2015, n. 131 di disciplina della cessazione dell’erogazione degli assegni vitalizi e delle pensioni in favore dei deputati che abbiano riportato condanne definitive per reati di particolare gravità;

che l’anzidetta derivazione dell’assegno vitalizio dall’indennità parlamentare esclude che, rispetto alle controversie relative al diritto all’assegno vitalizio dell’ex parlamentare e alla relativa entità, l’ex parlamentare possa essere considerato “soggetto terzo” solo perchè la sua carica è cessata;

che, da quanto si è detto deriva che le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell’indennità parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari non possono che essere decise dagli organi dell’autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e quindi rientra nell’ambito della suindicata normativa di “diritto singolare”, la cui applicazione consente il superamento anche del principio dell’unicità della giurisdizione, in base al quale il giudice ordinario è dotato della giurisdizione generale e i giudici speciali previsti dalla Costituzione operano in via meramente derogatoria e sulla base di previsioni legislative (principio che, invece, trova applicazione ad esempio per le controversie originate dalla rimodulazione in riduzione dell’assegno vitalizio erogato a consiglieri regionali cessati dalla carica; vedi Cass. SU 20 luglio 2016, n. 14920);

che, del resto, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 262 del 2017 gli organi di giurisdizione domestica del Parlamento non sono giudici speciali e, peraltro, neppure rappresentato l’unica eccezione prevista nel nostro ordinamento al fondamentale principio della indefettibilità della tutela giurisdizionale davanti ai giudici comuni (ordinari ed amministrativi);

che, ad esempio, una ipotesi di autodichia che trova diretto fondamento nella Costituzione cui si accompagna la speculare carenza assoluta di giurisdizione dei giudici ordinari ed amministrativi (vedi Cass. SU n. 8119 del 2006; n. 9151 del 2008; n. 6529 del 2010) è quella prevista dall’art. 66 della Carta in base al quale ciascuna Camera ha il potere di giudicare dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità;

che per altre forme di autodichia il fondamento nella Costituzione è solo indiretto, come accade per la giurisdizione domestica nelle controversie di impiego dei dipendenti del Parlamento, della quale entrambe le Camere si sono munite nell’esercizio del potere regolamentare loro attribuito dall’art. 64 Cost., comma 1, adottando per il funzionamento di tale giurisdizione interna regolamenti minori (Cass. SU n. 6529 del 2010 cit. nonchè Corte Cost., sentenza n. 262 del 2017cit.);

che la previsione dell’autodichia per le controversie relative alle condizioni di attribuzione e alla misura dell’indennità parlamentare e/o degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari, come si è detto, trova fondamento nella normativa “da qualificare come di diritto singolare” che si riferisce al Parlamento nazionale o ai suoi membri, a presidio della posizione costituzionale del tutto peculiare di indipendenza e autonomia loro riconosciuta dall’art. 64 Cost., comma 1 e artt. 66 e 68 Cost.;

che, peraltro, l’esistenza di una sfera di autonomia speciale garantita alle Camere in cui va inserita anche l’autodichia in oggetto, non esclude, in linea teorica, l’utilizzabilità del regolamento preventivo di giurisdizione – nei limiti e per le finalità dianzi precisati – nè esclude la legittimazione degli organi di autodichia a sollevare questioni di legittimità costituzionale delle norme di legge cui le fonti di autonomia effettuino rinvio (Corte Cost., sentenza n. 213 del 2017; in precedenza, per la qualificazione di situazioni analoghe, sentenze n. 376 del 2001 e n. 12 del 1971);

che, nella specie, le denunce del ricorrente in merito alla mancanza di indipendenza e imparzialità degli organi dell’autodichia non sono da accogliere perchè non sono tali da smentire quanto affermato da questa Corte (Cass. SU 17 marzo 2010, n. 6529 cit.), secondo cui a partire dai Decreti Presidenziali nn. 81 ed 89 del 1996 la Camera dei deputati si è dotata di una struttura decisionale di autodichia che assicura il rispetto dei principi di precostituzione, imparzialità e indipendenza dei collegi previsti per la risoluzione delle controversie, in conformità con quanto previsto dagli artt. 25,104,107 e 108 Cost. e dall’art. 6 CEDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU resa nel caso Savino e altri contro Italia;

che, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 262 del 2017, tutto questo “ulteriormente conferma che la deroga alla giurisdizione qui in discussione, di cui costituisce riflesso la connessa limitazione del diritto al giudice, non si risolve in un’assenza di tutela”, in quanto tale limitazione “risulta compensata dall’esistenza di rimedi interni affidati ad organi che, pur inseriti nell’ambito delle amministrazioni in causa, garantiscono, quanto a modalità di nomina e competenze, che la decisione delle controversie in parola sia assunta nel rispetto del principio d’imparzialità, e al tempo stesso assicurano una competenza specializzata nella decisione di controversie che presentano significativi elementi di specialità”;

che, di conseguenza, la verifica spettante a questa Corte sulla effettività e congruità della autodichia della Camera dei deputati, condotta al fine di accertare o negare la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia introdotta dal ricorrente innanzi al Tribunale di Roma, non può che concludersi con l’affermazione per la quale su detta controversia sussiste carenza assoluta di giurisdizione;

che la complessità e la sostanziale novità delle questioni alla base della istanza di regolamento preventivo di giurisdizione costituiscono idonee ragioni per disporre l’integrale compensazione tra le parti le spese del presente regolamento.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il difetto assoluto di giurisdizione. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA