Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18266 del 06/09/2011

Cassazione civile sez. II, 06/09/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 06/09/2011), n.18266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M. (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso lo studio

dell’avvocato SPAZIANI TESTA EZIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato QUADRI ANESIN IDA;

– ricorrente –

contro

G.M.F., rappresentata e difesa da se medesima

ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LISBONA 9,

presso lo studio dell’avvocato PERAZZOLI MARIA VIRGINIA che pure la

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1946/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato SPAZIANI TESTA Enzo, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il. rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M., con atto di citazione notificato il 5 novembre 1999, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Padova G. M.F. per sentire dichiarare la risoluzione del contratto preliminare di vendita del 23 novembre 1998 con condanna della convenuta al risarcimento danni.

Si costituiva G.M.F., la quale deduceva l’inammissibilità della domanda a causa dell’effetto preclusivo del giudizio relativo all’ingiunzione del 17 gennaio 1999 del Tribunale di Padova con cui il L. era stato condannato a pagare alla promissaria acquirente il doppio della caparra essendo l’immobile promesso gravato da ipoteca.

Il Tribunale di Padova con sentenza n. 1594 del 2001 dichiarava la domanda proposta dal L. inammissibile in quanto volta a contraddire i due incontrovertibili accertamenti contenuti nel decreto ingiuntivo divenuto definitivo: dell’inadempimento del L. al contratto preliminare e del diritto della G. ad ottenere la restituzione del doppio della caparra.

Avverso tale sentenza proponeva appello L.M. sostenendo: a) che nel giudizio monitorio non era stato esaminato l’inadempimento della G., b) che gli inadempimenti potevano anche essere reciproci, c) che le due domande nei due giudizi erano diverse.

Si costituiva la G. chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1946 del 2005 rigettava l’appello e confermava integralmente la sentenza di primo grado. A sostegno di questa decisione la Corte veneziana osservava:

a) se nel caso di specie è passata in giudicato la decisione del giudice che ha riconosciuto alla G. il diritto di chiedere ed ottenere il doppio della caparra è coperta dal giudicato, anche l’accertamento sulla mancata inadempienza della G.; b) nei contratti a prestazioni corrispettive non si può pronunciare risoluzione per inadempimento nei confronti di entrambi le parti ma deve essere valutato quale è il comportamento colpevole prevalente;

c) entrambe le domande sia quella proposta dalla G. (con ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 1385 c.c.), sia quella proposta dal L. di risoluzione per inadempimento dipendono dal medesimo titolo (il contratto preliminare del 23 novembre 1998), e presuppongono l’adempimento di una parte e l’inadempimento dell’altra.

La cassazione della sentenza n. 1946 del 2005, della Corte di Appello di Venezia, è stata chiesta da L.M. con ricorso affidato a due motivi. G.M.F. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo L.M. lamenta la falsa applicazione di norme di diritto (art. 1385 e 1453 c.c.). Avrebbe errato la Corte di Appello di Venezia per aver ricondotto il recesso ex art. 1385 cod. civ. nell’ambito della categoria normativa della risoluzione.

Piuttosto, ritiene il ricorrente, recesso e j risoluzione costituiscono strumenti giuridici comportanti una scelta fra due diversi assetti di interessi al punto che non è possibile avvalersi di entrambi cumulativamente. La non riconducibilità del recesso nell’ambito della categoria normativa della risoluzione risulta sia sotto il profilo letterale quale emerge dall’esame dell’art. 1485 c.c., commi 2 e 3 e sia sotto il profilo degli effetti perchè, mentre il recesso non ha efficacia solutoria del contratto in quanto incide esclusivamente sul rapporto giuridico proprio del recedente elimandolo, la risoluzione, invece, incide sul contratto eliminandolo in toto.

Operando una falsa applicazione, degli artt. 1385 e 1453 cod. civ. la Corte territoriale, ritiene ancora il ricorrente, ha finito inevitabilmente con il trascurare di tenere presente le effettive conseguenze giuridiche della scelta del recesso operata nella specie dalla convenuta G..

1.1.- Il motivo non merita di essere accolto non solo o non tanto perchè privo di interesse sostanziale, considerato che pur accolto, non determina un annullamento della sentenza impugnata, ma, e soprattutto, perchè la sentenza impugnata non contiene l’errore denunciato.

1.2.= E’ giusto il caso di evidenziare che il recesso previsto dall’art. 1385 cod. civ., comma 2 presupponendo, pur sempre, l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale, configura un’evidente forma di risoluzione del contratto, collegata alla pattuizione di una caparra confirmatoria – quale determinazione convenzionale del danno risarcibile. Come afferma la dottrina prevalente e come ha affermato, pure, questa Corte, in altra occasione (sent. n. 2435 del 1988)- il recesso di cui si dice, costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto). A) Non vi è dubbio, infatti, che al fine di un legittimo esercizio del diritto di recesso e di conseguente ritenzione della caparra, l’art. 1385 cod. civ. richiede, come per la risoluzione, l’esistenza di un inadempimento gravemente colpevole, di un inadempimento cioè imputabile (ex art. 1218 e 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex artt. 1455 c.c.), perchè, ove così non fosse, ove, cioè, la domanda di recesso non fosse condizionata ad un inadempimento grave e imputabile si perverrebbe alla conseguenza non accettabile, perchè illogica, per cui in presenza di un inadempimento lieve il contraente incolpevole potrebbe recedere dal contratto, ma non provocarne la risoluzione in via ordinaria (con l’evidente negazione dell’alternatività “integrale” dei rimedi rispettivamente modellati dall’art. 1385 cod. civ., commi 2 e 3).

B) Così come non vi è dubbio che il recesso di cui si dice comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale, laddove la caparra (ritenerla o versarne il doppio) identifica il danno risarcibile, convenzionalmente determinato.

1.2.a) Il recesso della parte non inadempiente, di cui all’art. 1385 cod. civ., identifica, in definitiva, un’ipotesi di risoluzione di diritto, da affiancare (piuttosto che contrapporre) a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c., una “modalità” (ulteriore) di risoluzione del contratto, destinata ad operare, indipendentemente dall’esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, attraverso la semplice comunicazione all’altra parte di una volontà “caducatoria” degli effetti negoziali – operante, nella sostanza, attraverso un meccanismo analogo a quello che regola la clausola risolutiva espressa.

1.2.b) Sul piano operativo, bisogna dire, anche, che in mancanza di contestazioni del contraente asserito inadempiente circa la sussistenza o l’importanza dell’inadempimento, l’esercizio del recesso comporta l’effetto risolutivo indipendentemente dall’adesione del contraente inadempiente.

2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa o, comunque, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dal ricorrente (art. 1385 e 2909 c.c. artt. 115, 641, 647 c.p.c. Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo il ricorrente, A) nell’avere omesso di accertare l’inadempimento della G., omettendo di considerare che esso non ha formato oggetto del giudicato, formatosi relativamente al decreto ingiuntivo emesso a carico del signor L.. Insomma, scrive il ricorrente, il Giudice di secondo grado non ha tenuto presente che il L. attraverso l’esercitata azione di risoluzione contrattuale non ha voluto dimostrare e far accertare di non essere inadempiente, ma ha voluto esclusivamente dimostrare e far accertare l’inadempimento della G.. Specifica, ancora, il ricorrente che, l’efficacia preclusiva del giudicato formatosi nella specie relativamente al decreto ingiuntivo emesso in data 23 febbraio 1999, sarebbe limitata all’accertamento del suo inadempimento ma non si estenderebbe anche, all’accertamento dell’inadempimento della G.. Di qui la conseguenza che l’azione di risoluzione contrattuale esercitata dal signor L., in quanto fondata sull’inadempimento della G. non incontrerebbe il limite preclusivo di detto giudicato, pertanto, essa era ammissibile.

B) nel non aver ravvisato la diversità quanto al petitum ed alla causa petendi delle due domande (quella proposta in sede monitoria dalla G. e quella formulata nella causa ordinaria dal L.). Specifica ancora il ricorrente che la causa petendi della domanda giudiziale proposta dalla G. ed accolta con il decreto ingiuntivo passato in giudicato era costituita dall’aver il L. omesso di adempiere l’obbligazione di far cancellare l’ipoteca volontaria in questione e il petitum era costituito dal recesso, nonchè dal pagamento del doppio della caparra ex art. 1385 c.c., comma 2; mentre la causa petendi della domanda proposta dal L. era costituita dall’inadempimento della G. del dovere ex art. 1375 cod. civ. ed il petitum era costituito dalla risoluzione del contratto preliminare di compravendita de quo e dal risarcimento danni. Di qui la conseguenza che il giudicato formatosi rispetto alla prima domanda non avrebbe alcuna efficacia preclusiva sulla seconda – quella, cioè, proposta dal L..

2.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto essenzialmente perchè la sentenza impugnata è conforme ai principi normativi e agli orientamenti giurisprudenziali che regolano la materia.

2.1.= Intanto, appare opportuno osservare che il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato, i cui limiti oggettivi si estendono al rapporto dedotto in giudizio (nonchè a tutti gli accertamenti che costituiscono i necessari antecedenti logico – giuridici della pronuncia) (ex multis Cass. Sez. Un. n. 4510 del 1 marzo 2006). Nell’ipotesi in esame, pertanto, il decreto ingiuntivo di cui si dice, passato in giudicato perchè non opposto, in ragione dell’art. 1385 cod. civ., avendo riconosciuto alla G., promittente acquirente, il diritto al pagamento del doppio della caparra, ha affermato la sussistenza dell’inadempimento del L. (parte promittente della vendita) riconoscendo, quell’inadempimento colpevole e di non scarsa importanza, ed avendo riconosciuto la legittimità del recesso del contratto preliminare, ha escluso un inadempimento della G., e/o comunque, ha affermato di aver effettuato una valutazione comparativa dei comportamenti di entrambi i contraenti stabilendo che la mancata esecuzione del contratto preliminare fosse dovuta al L..

2.1.a) Pertanto, non è apprezzabile la censura del ricorrente su una supposta “macroscopica omissione” della Corte veneziana consistita nel non aver tenuto presente che l’accertamento circa l’inadempimento dell’avv. G. non avesse formato oggetto del giudicato, formatosi relativamente al decreto ingiuntivo perchè il comportamento, cioè, l’adempimento e/o l’inadempimento, della G. è un elemento degli antecedenti logico-giuridici della pronuncia del decreto ingiuntivo e non poteva non essere presente quale oggetto di valutazione comparativa nel giudizio monitorio. Il L. avrebbe potuto e dovuto dimostrare e far accertare che non era inadempiente, o che inadempiente fosse l’altra parte, o che inadempienti fossero entrambi i contraenti (e in questo caso, che l’inadempimento prevalente fosse riferibile alla G.), nel giudizio instaurato mediante la richiesta di decreto ingiuntivo e, specificamente, mediante opposizione al decreto ingiuntivo.

2.l.b) Così come non è apprezzabile l’affermazione dell’attuale ricorrente che, l’inadempimento posto a fondamento del decreto ingiuntivo fosse consistito nell’aver omesso lo stesso di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca.

Piuttosto, l’inadempimento posto a fondamento del decreto ingiuntivo, riguardava l’inadempimento del contratto preliminare quale ne fosse la ragione di quell’inadempimento. Ed è quest’ultimo inadempimento che è stato posto in rapporto con il comportamento della G..

2.2.= Va altresì rilevato – come correttamente ha affermato la Corte territoriale, è di tutta evidenza che sia la domanda proposta dal L. di risoluzione del contratto preliminare di vendita oggetto del giudizio, ex art. 1453 cod. civ. e sia quella proposta dalla G. con il ricorso ex art. 1385 cod. civ. dipendono da un medesimo titolo e presuppongono l’adempimento di una parte e l’inadempimento dell’altra parte. Entrambe queste azioni, in verità, hanno identica causa petendi perchè, come afferma la stessa sentenza impugnata, qualora si venisse a dimostrare il gravissimo inadempimento della G., si dovrebbe necessariamente concludere che quale inadempiente non aveva diritto a chiedere ed ottenere il recesso il che, invece, non può essere messo in discussione. Ove si ammettesse l’azione di risoluzione avanzata dal L. e questa fosse accolta la relativa sentenza sostanzialmente travolgerebbe il decreto ingiuntivo e verrebbe a configgere con il giudicato formatosi relativamente al decreto ingiuntivo.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2011

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