Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18261 del 26/08/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18261 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 19240-2008 proposto da:
FORMENTI UGO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
NAPOLEONE COLAJANNI 3, presso lo studio dell’avvocato
OTTORINO GIUGNI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato FABIO MAIDA giusta procura a
margine del ricorso;

;

– ricorrente –

2014
contro

1567

BELVEDERE SRL 02669130367, in persona del Presidente
del

Consiglio

rappresentante

di
pro

e

legale

GIOVANNI

FERRI,

Amministrazione
tempore

Data pubblicazione: 26/08/2014

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BAIAMONTI
4, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DE ANGELIS,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
e

GIOVANNI CANTERGIANI giusta procura a margine del
controricorso;

avverso la sentenza n. 426/2008 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 03/03/2008 R.G.N.
1092/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/06/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato FABIO MAIDA;
udito l’Avvocato ROBERTO DE ANGELIS:
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto.

le

2

– controricorrente –

R.g.n. 19240-08 (ud. 19.6.2014)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
§1. Ugo Formenti ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. Belvedere, ma
notificandolo anche a Riccardo Ferri Caselli, pur non indicato nella sua intestazione,
avverso la sentenza del 3 marzo 2008, con la quale la Corte d’Appello di Bologna ha
dichiarato inammissibile il suo appello contro la sentenza del 31 maggio 2007, con cui il
Tribunale di Modena aveva accolto l’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. introdotta il 2

maggio del 2006 dalla detta s.r.l. riguardo all’esecuzione immobiliare conseguente alla
conversione di un sequestro ottenuto dal ricorrente contro Riccardo Ferri Caselli.
§2. La Corte bolognese ha dichiarato inammissibile l’appello a motivo che la
sentenza di primo grado, in ragione del regime di impugnazione applicabile per il rinvio
all’art. 616 c.p.c. nel testo novellato dalla 1. n. 52 del 2006, avrebbe dovuto assoggettarsi a
ricorso per cassazione straordinario ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della
Costituzione.
§3. Stante l’inammissibilità dell’appello la Corte felsinea ha anche ritenuto
irrilevante che fosse necessario ordinare l’integrazione del contraddittorio nei riguardi del
debitore esecutato, rimasto contumace in primo grado, quale litisconsorte necessario.
§4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 619 c.p.c.
come novellato dall’art. 17 della Legge 24 febbraio 2006 n. 52 e dell’art. 22 Legge 24
febbraio 2006 n. 52, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: applicabilità ratione temporis alla
fattispecie dell’art. 619 nel testo previgente all’art. 17 Legge 24 febbraio 2006 n. 52”.
Vi è svolta una censura con la quale si prospetta che, essendo l’opposizione
all’esecuzione, anche di terzo, un incidente cognitivo rispetto al processo di esecuzione
.e forzata, pur essendo stata proposta dopo la modifica dell’art. 616 c.p.c., richiamato dall’art.
619 c.p.c., essa sarebbe stata disciplinata dalla legislazione anteriore, in quanto, non
avendo il legislatore dettato una normativa transitoria diretta a disporre l’applicazione della
novità normativa introdotta con la previsione della inimpugnabilità e, quindi, della
soggezione della sentenza definitiva del relativo giudizio al ricorso straordinario,
l’applicazione del principio tempus regit actum avrebbe comportato che l’opposizione

3
Est. Cons L.affae1e Frasca

fl,.,,,………,……..,.,■,~.■-.

Rg.n. 19240-08 (ad. 19.6.2014)

restasse regolata dalla legislazione precedente. Donde la conseguenza dell’errore della
Corte territoriale nel ritenere che la sentenza del Tribunale fosse applicabile.
Presupposto espresso di tale assunto è un intendimento del principio tempus regit
: actum con riferimento alla successione delle leggi processuali nel senso che la sua
applicazione ad esse implicherebbe che una nuova disciplina normativa processuale
dovrebbe trovare applicazione soltanto ai processi introdotti dopo di essi ,e mai, in assenza

nemmeno per gli atti del processo da compiersi dopo l’entrata in vigore della nuova legge.
§2 Il motivo non è fondato.
§2.1. In primo luogo – ma lo si osserva ad abundantiam, perché non sarebbe decisivo
nell’ottica dell’esegesi del principio tempus regit actum proposta dal ricorrente — si deve
rilevare che non è assolutamente condivisibile l’idea che, per il fatto che un processo di
opposizione in materia esecutiva viene introdotto in relazione ad un’esecuzione pendente
e, quindi, ad un processo esecutivo pendente (ma l’assunto dovrebbe riguardare anche
l’innestarsi di un’opposizione a precetto o agli atti prima dell’inizio dell’esecuzione, cioè
con riguardo ad una sequenza procedimentale di minaccia dell’esecuzione già iniziata) e,
dunque, come suoi dirsi, rappresenti un incidente del processo esecutivo, il processo di
opposizione in materia esecutiva faccia parte del processo iniziato con. l’esecuzione (o
della sequenza procedimentale iniziata con il precetto). L’inserirsi del rimedio oppositivo
nell’àmbito dell’esecuzione iniziata o minacciata deriva dalla sua caratteristica di essere,
nelle sue vaie tipologie, un processo sull’an o sul quomodo del processo esecutivo iniziato
o dell’esecuzione minacciata, ma l’essere siffatto l’oggetto delle oppopizioni non può
valere in alcun modo ad escludere che ogni tipologia di processo di opposizione sia un
istituto della disciplina del processo civile distinto dall’esecuzione. Sicché distinta è la sua
disciplina sul piano formale e distinta lo è sul piano funzionale: è sufficiente rilevare che i
processi di opposizione all’esecuzione nelle loro varie forme sono tutti, anche con riguardo
alla loro fase sommaria, processi di cognizione e, dunque, resta per ciò soo escluso che la
e

loro incidenza sul processo di esecuzione possa renderli parte di esso. L’attuazione della
tutela giurisdizionale con essi resta del tutto distinta da quella del processo esecutivo,
appartenendo solo al loro profilo funzionale che gli accertamenti ed i provvedimenti resi
su di essi svolgano incidenza sul processo esecutivo.
§2.2. In disparte il rilievo svolto, che nella specie basterebbe a rendere infondato il
motivo, posto che l’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c. di cui è processo venne
introdotta dopo l’entrata in vigore del testo dell’art. 616 novellato dall’art. 14 della I_ n. 52
Est. Co s. Raffaele Frasca

di un’apposita norma transitoria che lo disponga, ai processi già introdotti prima e ciò

R.g.n. 19240-08 (ud. 19.6.2014)

del 2006 (e di quello dell’art. 619 c.p.c. novellato dalla stessa legge, ma con modifica
irrilevante sul punto, perché reiterativa del rinvio all’art. 616 c.p.c.), si deve osservare che
l’applicazione che del principio tempus regit actum che propone il motivo di ricorso è, in
realtà, l’applicazione di un diverso principio, quello per cui tempus ,regit pracessum,
propugnato da parte della dottrina proprio con riferimento alle vicende 4i successione di
regimi normativi che hanno interessato l’art. 616 c.p.c. Il principio vigente per la legge
processuale in materia di successione di discipline normative totali o parziali di una

modello processuale, secondo tale dottrina, sarebbe che, in mancanza di normativa in
diverso senso dettata dal legislatore nell’introdurre la nuova disciplina in nessun caso essa
potrebbe trovare applicazione con riferimento ai processi pendenti. Con la conseguenza
che, con riferimento ad essi, il compimento di un atto successivamente all’entrata in vigore
della nuova legge non potrebbe essere regolato da essa, bensì dalla legge vecchia.
Ora, la validità di tale principio, che, lo si ripete, nella specie comunque non
varrebbe a rendere fondato il motivo, è stata esclusa con ampia motivazione da Cass. n.
3688 del 2011, la quale ha ribadito la tesi tradizionale che «nel caso di successione di
leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in
ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma
disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma
anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della
sua entrata in vigore, quand’anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti
rispetto a quella vigente all’epoca di introduzione del giudizio.». E lo ha fatto
precisando quanto segue: «il principio che regola l’applicazione della legge processuale
nel tempo in ossequio alla regola generale dell’art. 11 delle preleggi, allorquando,
naturalmente, si tratti di legge regolatrice del processo in modo diverso o del tutto
innovativo rispetto alla regolamentazione precedente: l’efficacia della norma nuova, salvo
diversa disposizione del legislatore, regola anche gli atti di processi già in corso se tali atti
siano compiuti successivamente all’entrata in vigore della norma e ciò sia nel senso che se
si tratta di atti di parte debbono compiersi secondo quanto da essa preveduto, sia nel senso
— meramente consequenziale – che gli atti compiuti successivamente all’entrata in vigore
debbono essere valutati nella loro ritualità applicando la nuova norma. Ne deriva la
conseguenza che al contrario l’apprezzamento da parte del giudice della ritualità di atti del
processo compiuti anteriormente all’efficacia della nuova norma dev’eSsere valutata in
base alla norma previgente o, se una norma previgente mancava, in base alla situazione
normativa emergente da tale mancanza».
5
Est. Cont.ffaele Frasca

R.g.n. 19240-08 (ud. 19.6.2014)

Tali principi sono stati enunciati previa l’espressa dimostrazione (si vedano i
paragrafi della motivazione 3. e ss., alla cui lettura si può fare senz’altro rinvio) del
principio secondo cui, in tema di successione di leggi processuali nel tempo, nel nostro
ordinamento non ha cittadinanza il principio per cui tempus regit processum.
Tanto premesso, il motivo dev’essere rigettato, perché la Corte territoriale, nel
ritenere che il mezzo di impugnazione contro la sentenza del Tribunale di Modena fosse il
ricorso per cassazione e non l’appello, ha applicato l’esatto diritto pertinente alla

fattispecie.
E’ stato, infatti, già affermato che <

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