Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18259 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 05/08/2010), n.18259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA

2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato SCOGNAMIGLIO

RENATO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BERETTA

STEFANO, CELEBRANO GIULIO, TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1407/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/10/2005 R.G.N. 7178/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato AMODEO ROBERTO per delega GIUSEPPE SANTE ASSENNATO;

udito l’Avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO per delega RENATO SCOGNAMILGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e assorbimento del secondo.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

G.B. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 26 ottobre 2005, che ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando la domanda del G. e di altri due lavoratori, nei confronti della Metro Italia Cash and Carry spa.

Il ricorso articolato in due motivi.

La societa’ si e’ difesa con controricorso.

La controversia ha per oggetto la riassorbibilita’ o meno nei successivi contratti collettivi degli aumenti retributivi riconosciuti ai lavoratori.

Il primo motivo pone un questione di ordine processuale.

La sentenza di secondo grado ha basato la sua decisione sulla lettere di assunzione, documenti depositati solo in grado di appello dalla societa’ che era stata contumace in primo grado.

Il ricorrente denunzia pertanto la violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, e art. 437 c.p.c., comma 2, eccependo che la Corte “non si e’ avveduta che la societa’ era decaduta dal diritto di produzione” di quei documenti.

La societa’ nel controricorso ribatte, non negando la circostanza della produzione solo in secondo grado, ma sostenendo che la produzione tardiva dei documenti costituisce violazione di una regola processuale a tutela rispettivamente del ricorrente o del convenuto.

Ai quali spetta dunque di eccepire la irritualita’ del mezzo istruttorio contestare la produzione dei documenti che nella specie e’ invece avvenuta nella mancata opposizione dell’avversa difesa.

Il ricorso avrebbe dovuto indicare dove e’ come la decadenza era stata eccepita. E, comunque, dalla lettura della memoria di costituzione del ricorrente in appello si rileva che non e’ stata formulata tale specifica eccezione, limitandosi l’appellato a discutere sul fatto che i documenti erano stati depositati in fotocopia (problema diverso, sul quale non viene formulata censura alcuna nel ricorso per Cassazione).

Peraltro, una volta che il giudice di appello ha considerato e valutato tale documentazione, deve ritenersi implicito il suo giudizio di indispensabilita’ del documento ai fini della decisione.

Con il secondo motivo si deduce, in via gradata, che la sentenza violerebbe l’art. 1362 c.c. e segg., e gli artt. 113 e 117 ccnl per i dipendenti del terziario e presenterebbe un vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione.

Il ricorso diretto per violazione di contratti o accordi collettivi nazionali non e’ in questo caso ammissibile perche’ sentenza e’ stata pubblicata il 26 ottobre 2005, quindi prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 3, introdotta dal D.Lgs. n. n. 40 del 2006.

Quanto alla violazione dei canoni dettati dall’art. 1362 c.c., la censura e’ generica perche’ non si specifica quale regola sulla ermeneutica contrattuale sarebbe stata violata, ne’ tanto meno perche’ sarebbe stata violata.

Infine, il vizio di motivazione viene denunziato anch’esso in forma generica e contraddittoria. Non si puo’ sostenere al tempo stesso che la motivazione sia stata omessa e sia insufficiente e contraddittoria (il che vuoi dire che non e’ stata omessa).

Non si spiega poi, come era necessario fare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 qual e’ il punto su cui incide il vizio di motivazione e per quali ragioni lo stesso e’ decisivo e controverso.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese devono essere compensate, considerato l’oscillante andamento delle decisioni di merito a causa del comportamento processuale della societa’.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

 

 

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