Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18258 del 06/09/2011

Cassazione civile sez. II, 06/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 06/09/2011), n.18258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Fabio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31532-2005 proposto da:

G.C.M. C.F. (OMISSIS), G.M. C.F.

(OMISSIS), G.J. C.F. (OMISSIS), G.

D. C.F. (OMISSIS), G.R. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI

28, presso lo studio dell’avvocato DE LEONARDIS GIULIO ZITO,

rappresentati e difesi dall’avvocato CANNIZZO FRANCESCO;

– ricorrenti –

contro

G.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PELLEGRINO ANNA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 579/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. G.R., proprietaria di un fondo sito in (OMISSIS) sul quale aveva realizzato un fabbricato confinante con terreno del fratello G.G., lamentava che gli eredi di quest’ultimo avevano costruito a distanza non legale;

pertanto, conveniva in giudizio G.M., D., C. M., J. e R. per sentirli condannare ad arretrare la costruzione ed ai risarcimento dei danni.

Si costituivano i convenuti contestando la domanda e chiedendone il rigetto; in via riconvenzionale instavano per la condanna dell’attrice a demolire il garage costruito sulla loro proprietà, a chiudere le vedute realizzate nella seconda elevazione, a demolire la struttura al 1^ piano qualora non fosse rispondente ai requisiti di stabilità, alla eliminazione di una scala realizzata sulla loro proprietà, allo spostamento della condotta idrica, e al risarcimento dei danni.

Con sentenza del 6 febbraio 1998 il Tribunale di Palermo evidenziava che la costruzione risultava realizzata in violazione della distanza di metri venti tra fabbricati prescritta dall’art. 19 del piano comprensoriale del Comune di (OMISSIS) approvato con Decreto n. 66 del 16-4-1975 in zona E2, in cui erano ubicati gli immobili in oggetto. Secondo il Tribunale poichè – trattandosi di zona agricola – la norma era diretta a garantire la tutela di interessi generali e non era quindi integrativa delle disposizioni civilistiche in materia di distanze, la violazione dava diritto soltanto al risarcimento del danno, che veniva liquidato nella misura di L. 5.000.000. In parziale accoglimento della riconvenzionale, era ordinato all’attrice, fra l’altro, di demolire la scala.

Avverso tale decisione proponevano appello principale l’attrice e incidentale i convenuti.

Con sentenza definitiva del 17 febbraio 2000 il Tribunale accoglieva in parte la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti.

Avverso tale decisione proponevano appello principale l’attrice e incidentale i convenuti.

Riuniti i giudizi di gravame, con sentenza dep. il 6 maggio 2005, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma delle decisioni emesse dal Tribunale, accoglieva la domanda di ripristino proposta dall’attrice, condannando i convenuti alla demolizione dell’edificio o ad arretrarlo alla distanza di venti metri da quello dell’attrice;

condannava l’attrice alla demolizione dei balconi, confermava nel resto le impugnate sentenze.

Per quel che interessa nella presente sede, i Giudici di appello ritenevano che la prescrizione dettata dall’art. 19 del piano comprensoriale approvato con Decreto n. 66 del 16-4-1975, pur essendo dettata per soddisfare esigenze pubblicistiche, ha natura integrativa delle norme codicistiche in materia di distanze legali: pertanto, trovava applicazione la tutela ripristinatoria.

La richiesta formulata dai convenuti con l’appello incidentale di ricostruzione della scala nel sito originario, ossia entro la particella 109, era respinta per mancanza di interesse sul rilievo che la stessa era attualmente di proprietà di F. C., figlio dell’attrice.

2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione G. M., G.D., G.C.M., G.J. e G.R. sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 869,872 e 813 cod. civ. nonchè illogica motivazione su un punto essenziale della controversia, denunciano l’errore compiuto dalla sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che l’art. 19 del piano comprensoriale n. 3 approvato con Decreto n. 66/a del 16-4-1975 fosse da considerarsi norma integrativa delle disposizioni civilistiche in materia di distanze legali quando invece, in considerazione del contenuto e delle finalità, tale norma non costituisce regolamento edilizio nè rientra fra gli strumenti urbanistici, secondo quanto risultava dalla Relazione illustrativa premessa al citato decreto e dalle norme di attuazione della L.R. n. 1 del 1968. Pertanto, la violazione delle prescrizioni dettate in materia di distanze tra fabbricati in zona E2 non avrebbero potuto fondare la tutela ripristinatoria prevista dall’art. 873 e da quelle integratrici ivi richiamate.

1.2. Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 13 disp. att. cod. civ., deducono che la sentenza impugnata era in contrasto con il principio di irretroattività, posto che le norme e gli strumenti urbanistici sono applicabili in quanto siano stati approvati e resi esecutivi al momento della costruzione, atteso che non possono trovare applicazione le norme più restrittive introdotte successivamente alla realizzazione del manufatto: nella specie, non era applicabile il Piano particolareggiato approvato e reso esecutivo solo nel 1985.

2. Il primo e il secondo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati i piani comprensoriali previsti dalla L.R. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1 (Primi provvedimenti per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dai terremoti del 1967 e del 1968), che sono compilati a cura e spese della Regione di intesa con i Comuni interessati, costituiti in consorzio (art. 4), sono strumenti urbanistici di pianificazione del territorio che contengono prescrizioni immediatamente precettive e inderogabili circa le destinazioni di uso e le norme per l’utilizzazione del territorio (art. 2), tant’è vero che la L.R. 18 luglio 1968, n. 20 ha stabilito che ai piani comprensoriali si applicano le norme di salvaguardia previste dalle vigenti norme statali e ragionali in materia di piani regolatori generali (art. 2).

La natura immediatamente precettiva del piano comprensoriale, del resto, trova conferma: a) proprio nelle norme di attuazione dettate dall’Assessorato allo Sviluppo, richiamate dai ricorrenti, in cui si chiarisce che il piano comprensoriale ha gli stessi effetti giuridici, per ciascun Comune, del piano regolatore Generale (art. 2); b) nella previsione ancora dell’art. 3 secondo comma delle stesse norme di attuazione che, dopo avere precisato che le destinazioni d’uso determinate dal piano comprensoriale sono inderogabili, stabilisce che 1’utilizzazione edilizia, nei casi previsti dalle presenti norme, deve essere preceduta dal piano particolareggiato o dal piano di attuazione, volendo tale previsione stare evidentemente a significare che la realizzazione degli interventi di trasformazione urbanistico – edilizia del territorio è subordinata all’avvenuta approvazione dei piani esecutivi, e ciò proprio per il carattere immediatamente efficace delle disposizioni e dei vincoli sull’assetto del territorio contenute nel piano comprensoriale, che dunque operavano prima dell’approvazione del piano particolareggiato del 1985 al quale hanno fatto riferimento i ricorrenti.

Pertanto, correttamente la Corte di appello, nell’accogliere la domanda di ripristino e di demolizione delle opere realizzate illegittimamente in quanto in contrasto con le vigenti previsioni del piano comprensoriale – ha ritenuto integrative del codice civile le relative prescrizioni aventi a oggetto la disciplina delle distanze nelle costruzioni.

3.1. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112 e 113 cod. proc. civ. nonchè carenza di motivazione, sentenza viziata da genericità e abnorme, censurano la statuizione di condanna alla demolizione, che aveva fatto riferimento all’intero edificio mentre soltanto una parte dello stesso era prospiciente alla proprietà della resistente secondo quanto risultato dalla planimetria allegata alla consulenza redatta dall’ing. N., essendo evidentemente il Giudice incorso in errore determinato da quello contenuto nel supplemento di consulenza dell’ing. V..

3.2. Il motivo è infondato.

La sentenza ha condannato i convenuti alla demolizione dell’edificio o “ad arretrarlo alla distanza di venti metri da quello dell’attrice”: quest’ultima statuizione deve essere logicamente intesa nel senso che l’edificio dei convenuti dovrà essere demolito nella parte o porzione in cui si trova a distanza illegale dal fabbricato dell’attrice.

4.1. Il quarto motivo, denunciando motivazione illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza laddove non aveva adeguatamente motivato in ordine alla domanda di ricostruzione della scala nel luogo in cui era originariamente ubicata, non avendo considerato quanto al riguardo era risultato dalla consulenza V. e dall’accordo dell’8-10-1967 da cui si desumeva altresì il diritto di passaggio sulla scala attribuito a G.G. in quanto funzionale per accedere al proprio terreno; di tale diritto attualmente sono titolari gli attuali ricorrenti, quali eredi di G.G.. Poichè l’ordine di demolizione emesso presupponeva che la scala era stata ricostruita in luogo diverso da quello ove esisteva prima del 1967 e ritenuto che la convenzione del 1967 era valevole fra le parti, illogica era la sentenza laddove aveva ritenuto gli attuali ricorrenti carenti di interesse.

4.2. Il motivo è infondato.

La sentenza ha adeguatamente motivato in ordine al rigetto della domanda di ricostruzione della scala sul rilievo che i medesimi erano carenti di interesse a chiedere la ricostruzione della scala nel sito originario, cioè entro la particella 109 attualmente di proprietà di C.F. (figlio dell’attrice). In tal modo, i Giudici in sostanza hanno inteso affermare che, in considerazione della natura (evidentemente) reale della pretesa azionata, la domanda di condanna non poteva essere emessa nei confronti dell’attrice, soggetto diverso dal titolare del diritto di proprietà dell’immobile sul quale la condanna andrebbe eseguita ed estraneo al presente giudizio.

5.1. Il quinto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1027 e 1058 cod. civ. nonchè carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che dalle dichiarazioni confessorie rese in sede di interrogatorio formale dall’ attrice era risultato che con accordo scritto la predetta aveva concesso al fratello Giuseppe la facoltà di ampliare la propria abitazione ricostruendo alla distanza oggi contestata; la servitù, in tal modo costituita, può estinguersi per non uso: il che nella specie non si era verificato. Tale questione seppure prospettata non era stata esaminata dalla Corte di appello.

5.1. A prescindere dal considerare che l’atto scritto per la costituzione di un diritto reale è prescritto ad substantiam e non ad probationem, per cui del tutto irrilevante sarebbe la confessione giudiziale della controparte, va considerato che, in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati: irrilevante, perciò, sarebbe stato l’eventuale accordo intercorso fra le parti. Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.200,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2011

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