Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18257 del 06/09/2011

Cassazione civile sez. II, 06/09/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 06/09/2011), n.18257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M., T.P. e T.V., residenti in

(OMISSIS), rappresentati e difesi, il primo, da se medesimo e, gli

altri

due, dall’Avvocato Massimo Tirone, elettivamente domiciliati presso

il suo studio in Roma, via Crescenzio n. 63;

– ricorrenti –

contro

D.E. e P.V., residenti in (OMISSIS),

rappresentati e difesi per procura speciale per atto notaio dott.

Antonio Ventriglia di Campobasso del 1 luglio 2006, rep. n. 54204,

dall’Avvocato Tamburro Lucio, elettivamente domiciliati presso il suo

studio in Roma, via Nemorense n. 77;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 268 della Corte di appello di Campobasso,

depositata il 20 ottobre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

giugno 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dall’Avvocato Tirone per i

ricorrenti e dall’Avvocato Tamburro per gli intimati;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha chiesto che il

ricorso sia dichiarato inammissibile.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fratelli T.M., P. e V. convennero in giudizio i coniugi D.E. e P.V. deducendo di essere comproprietari con gli stessi di un’area destinata ad orto sita nel Comune di (OMISSIS), proveniente, per quanto riguarda gli istanti, dalla successione del padre L., che l’aveva ereditata, con altri beni, insieme ai suoi quattro fratelli, dal nonno U. e, successivamente, per un’ulteriore quota, dal germano Mi.;

che, in particolare, tale area doveva considerarsi ancora in comunione, atteso che il negozio di divisione della comunione ereditaria stipulato dal loro padre e dai loro zii, in data 24 agosto 1946, conteneva, in relazione all’orto, pattuizioni che non consentivano, in mancanza di planimetrie, di determinare l’esatta posizione della porzione di terreno spettante a ciascun condividente;

che i convenuti, che avevano acquistato la loro quota dallo zio G., usavano ed occupavano l’orto in via esclusiva, depositandovi legname e altri materiali ed allevandovi animali da cortile, così alterandone la destinazione ed impedendo agli altri comproprietari di farne uso. Chiesero, pertanto, che gli intimati fossero condannati a ripristinare l’originaria destinazione ad orto dell’area suddetta, rimuovendo cose ed animali.

All’esito del giudizio, in cui i convenuti si costituirono e si opposero alla domanda, il Tribunale di Isernia accolse la domanda degli attori limitatamente alla quota riferibile alla successione di Ti.Mi., respingendola invece con riguardo alla zona di orto che i convenuti avevano acquistato da T.G., ritenendo che il negozio di divisione stipulato dai danti causa nel 1946 avesse interessato anche l’orto e pertanto assegnato a ciascuno dei condividenti in proprietà esclusiva una porzione dello stesso.

Interposto gravame principale da parte dei T. ed incidentale dalle controparti, con sentenza n. 268 del 20 ottobre 2004 la Corte di appello di Campobasso confermò integralmente la pronuncia impugnata, affermando, per quanto qui ancora interessa, che il negozio di divisione stipulato nel 1946 dai consorti T. aveva effettivamente interessato anche il bene per cui è causa e conteneva, sul punto, mediante specificazione della uguaglianza delle frazioni e dei confini esterni e laterali cui corrispondevano i singoli lotti, indicazioni sufficienti a determinare le singole porzioni di terreno assegnate a ciascun condividente, sicchè doveva ritenersi che i convenuti, con il loro atto di acquisto, fossero divenuti proprietari in via esclusiva della frazione di terreno assegnata al loro dante causa T.G..

Per la cassazione di questa decisione, con atto consegnato all’ufficiale giudiziario il 29 novembre 2005 e notificato a mezzo posta, ricorrono T.M., P. e V., affidandosi ad un unico motivo, illustrato anche da memoria.

D.E. e P.V. si sono costituiti senza notificare controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1346, 1366 e 1367 cod. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte territoriale, nel valutare l’atto di divisione del 1946, abbia disatteso i principi in materia di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, i quali richiedono, ai fini della ricorrenza del requisito in parola nei negozi aventi ad oggetto beni immobili, che il bene sia inequivocabilmente identificato per i tramite dei confini o di altri elementi oggettivi idonei a non lasciare dubbio sulla identità dello stesso. Nel caso di specie, invece, nell’atto di divisione le uniche espressioni dirette ad indicare le cinque porzioni di orto da assegnare a ciascun erede erano costituite dalla indicazione dei confini, ma erano contraddittorie ed inidonee a consentire l’esatta individuazione dei singoli lotti; mancavano, inoltre, sia la planimetria che il frazionamento. Il giudice di merito non ha inoltre considerato che la relazione del consulente tecnico d’ufficio, che aveva indicato le singole frazioni, aveva elaborato solo un’ipotesi di divisione e che essa non corrispondeva ai confinamenti indicati nell’atto di divisione del 1946 e che nell’atto con cui i convenuti avevano acquistato i beni da T.G., con riguardo all’orto, non risultava indicata alcuna porzione in proprietà esclusiva, ma soltanto un diritto di comproprietà sull’intero terreno. La stessa Corte, del resto, a riprova della palese erroneità della planimetria predisposta dal consulente tecnico, ha corretto, in contrasto con i principi stabiliti dall’art. 1346 cod. civ., l’estensione di alcuni lotti, la cui collocazione continua a non essere determinata in modo preciso. Il motivo non merita accoglimento.

La Corte territoriale ha risolto la questione in ordine alla intervenuta divisione del bene per cui è causa osservando che dal contratto di divisione stipulato dai fratelli T. nel 1946, che, pacificamente, investiva altri beni, “la volontà di scioglimento della comunione ereditaria risulta senz’altro univoca anche con riferimento allo stesso orto”, che esso fu diviso in cinque frazioni di pari estensione e che “In tale sede divisionale sono stati specificati alcuni dei confini (essenzialmente quelli esterni e laterali rispetto all’accesso) di ciascuna delle frazioni”, in modo da collocare tre distinte frazioni, tra cui quella assegnata al dante causa dei convenuti, lungo il (OMISSIS) e due, tra cui quella assegnata al dante causa degli attori, lungo (OMISSIS). Tanto premesso, appare evidente che le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di merito costituiscono il risultato di un’attività di interpretazione dell’atto contrattuale di divisione ed integrano apprezzamenti di fatto che sono censurabili dinanzi al giudice di legittimità sotto i soli profili della violazione dei criteri ermeneutici dei contratti stabiliti dall’art. 1362 e segg. c.c. e del vizio di motivazione. Ne consegue che la loro contestazione avrebbe dovuto essere sostenuta nel ricorso, per il principio della specificità dei motivi, dalla puntuale indicazione delle regole interpretative che il giudice di secondo grado avrebbe violato e dalla esposizione delle ragioni in forza delle quali egli le avrebbe male applicate nel caso concreto (Cass. n. 22889 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006); inoltre, per il principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione avrebbe dovuto riprodurre il testo del contratto, quale adempimento necessario al fine di evidenziare gli errori denunziati (Cass. n. 13587 del 2010; Cass. n. 3075 del 2006).

La circostanza, viceversa, che i ricorrenti non sollevino critiche specifiche nè supportino le loro argomentazioni attraverso la riproduzione del testo contrattuale al fine di dimostrare l’erroneità della conclusione accolta dalla sentenza impugnata impedisce a questa Corte di estendere il proprio controllo sull’interpretazione dell’atto di divisione fatta propria dalla Corte di merito e quindi anche di verificare, attraverso questo sindacato, se essa abbia fatto corretta applicazione del principio – di cui il ricorso lamenta la violazione in concreto – secondo cui la determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto richiede, in caso di trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili, l’inequivocabile identificazione del bene per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi idonei (Cass. n. 12056 del 2007). La mera lettura della sentenza impugna porta invero ad escludere la sussistenza della violazione di legge denunziata dai ricorrenti, tenuto conto che il giudice ha giustificato la conclusione accolta proprio in forza del rilievo in fatto, non appropriatamente censurato, che il contratto forniva indicazioni sufficienti alla identificazione dei beni da assegnare.

Anche la censura di difetto di motivazione è infondata. Il giudice di appello ha spiegato in modo adeguato e sufficiente la conclusione accolta, laddove ha precisato che il contratto divisionale indicava il criterio di uguaglianza delle porzioni da assegnare nonchè i confini esterni e laterali di ciascuna di esse, reputando tali indicazioni idonee ad identificare in maniera certa le porzioni di terreno del bene assegnate a ciascun condividente. Quest’ultima soluzione, in particolare, non presenta aspetti critici sotto il profilo della coerenza o congruità logica, atteso che il criterio di pari estensione e le coordinate spaziali indicati dal giudice a quo, in mancanza di puntuali argomentazioni contrarie, appaiono di per sè indici adeguati ad identificare la collocazione e l’estensione delle porzioni di bene assegnate in proprietà esclusiva.

L’assenza, nel contratto divisionale, di apposite planimetrie riportanti i singoli appezzamenti di terreno, integra, in tale contesto, una circostanza che correttamente il giudice di merito ha considerato irrilevante, atteso il giudizio di sufficienza delle indicazioni risultanti dal testo del contratto. Nè, infine, può costituire elemento favorevole alla tesi dei ricorrenti circa la non univocità dei confini il fatto che la Corte di merito abbia corretto, per un piccolo prolungamento interessante due frazioni, la planimetria dei singoli appezzamenti predisposta dal consulente tecnico d’ufficio, avendo essa motivato tale correzione proprio al fine di rendere le porzioni più rispettose delle indicazioni stabilite nell’atto divisionale.

Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 900, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2011

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