Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18255 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.24/07/2017),  n. 18255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14355-2016 proposto da:

PATOS S.R.L., – C.F. (OMISSIS), in persona del suo Amministratore

Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso

lo studio dell’avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

S.L., S.R., S.T., S.V.,

S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6565/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

che, con ricorso affidato a tre motivi, la Patos s.r.l. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Roma, in data 7 dicembre 2015, che ha rigettato l’appello proposto dalla medesima società avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, per quanto interessa in questa sede, aveva a sua volta respinto la domanda risarcitoria avanzata dalla stessa Patos s.r.l. per i danni patiti in conseguenza della risoluzione per inadempimento del contratto di locazione dell’immobile sito in (OMISSIS), di cui erano comproprietari i convenuti S.T., S.L., S.R., S.V. e F.M.;

che non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati S.R., S.V., S.T., S.L., questi ultimi due in proprio e anche, unitamente a S.F., quali eredi di F.M.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

preliminarmente, sul rilievo di parte ricorrente (sollevato con la memoria) di violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, derivante dalla “apoditticità” della proposta del relatore, che, in linea con quanto ritenuto da questa Corte in più di un’occasione (tra le altre, Cass. n. 395/2017; Cass. n. 4541/2017; Cass. n. 5371/2017; rinviandosi integralmente alle più ampie motivazioni di dette pronunce), va osservato che l’art. 380-bis c.p.c., come modificato dalla L. n. 197 del 2016, non prevede che la “proposta” del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto, nè potendosi in ciò ravvisare una violazione delle garanzie della difesa (nella sua declinazione del principio del contraddittorio), di cui all’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, (là dove, poi, risulta del tutto inconferente l’evocato parametro dell’art. 111 Cost., comma 6 non venendo in rilievo nella specie un “provvedimento giurisdizionale”);

che, con il primo mezzo, è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente qualificato come di restituzione la domanda di risarcimento danni invece proposta da essa società e sulla quale verteva l’appello principale;

che il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente (anche in sede di memoria, che, in ogni caso, non può essere integrativa o emendativa delle censure già dedotte con il ricorso) colto l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata;

che la Corte di appello (p. 8 della sentenza impugnata) si è, infatti, pronunciata proprio sulle pretese risarcitone avanzate dalla Patos s.r.l. in conseguenza della risoluzione per inadempimento del contratto di locazione intercorso con i comproprietari dell’immobile oggetto del medesimo contratto, ribadendo, nella sostanza, le ragioni della reiezione della domanda di risarcimento danni espresse dal primo giudice, ossia quelle del “difetto di legittimazione” in capo alla medesima Patos s.r.l. rispetto al pagamento di somme (quale circostanza decisiva inerente al danno effettivo che avrebbe dovuto essere allegato e dimostrato) su cui “nulla deduce nè prova” (in tal senso soltanto e non già come differente qualificazione della domanda di danni, dovendosi intendere il riferimento alla richiesta di “restituzione” delle stesse somme), oltre che sul rigetto della c.t.u. contabile quanto al “danno subito dalla Patos per effetto della illegittima estromissione dal locale, del pagamento delle somme delle rate del mutuo e l’acquisto delle attrezzature e per l’indebita utilizzazione dei segni distintivi della società”;

che, con il secondo mezzo, è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1453 e 1223 c.c., per non aver la Corte territoriale considerato che il danno patito da essa Patos s.r.l. si fondava sulla risoluzione del contratto di locazione, con “estromissione anticipata dal godimento del bene senza preavviso e con abbandono di tutte le attrezzature e stigliature presenti a beneficio dei comproprietari”, e di tale danno era stata fornita prova;

che, con il terzo mezzo, è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 61,115 e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente mancato di ammettere la consulenza tecnica in ordine al danno per illegittima estromissione dal locale, per pagamento di somme relative a mutuo ed acquisto di attrezzature e per indebita utilizzazione di segni distintivi della società, quali danni tutti comprovati da essa Patos s.r.l.;

che il secondo e terzo motivo – da scrutinarsi congiuntamente – sono inammissibili;

che con essi non vengono, nella sostanza, dedotti errores in indicando, non evidenziando la ricorrente – neppure con la memoria quale sia la relazione tra statuizioni impugnate e principi di diritto specificamente violati; nè potendo configurare violazione di legge – art. 61 c.p.c. – la mancata ammissione di c.t.u., ciò pertinendo ai poteri discrezionali del giudice del merito, là dove, nella specie, la Corte territoriale ha anche motivato il diniego in ragione del carattere “del tutto esplorativo” della richiesta c.t.u. contabile, in linea con il principio per cui detto incombente istruttorio non può, di per sè, esonerare la parte dall’onere di prova su di essa incombente;

che, invero, le doglianze aggrediscono la motivazione della Corte di appello in ordine all’accertamento di fatto ed alla valutazione delle prove relativamente alla mancata dimostrazione della sussistenza di un danno risarcibile (ciò che, peraltro, è palese nella stessa evocazione, nel terzo motivo, degli artt. 115 e 116 c.p.c.), ossia vengono dalle censure investite (peraltro genericamente) quaestiones facti rimesse all’apprezzamento del giudice di merito e non sindacabili da questa Corte se non nei limiti di cui al vizio (neppure dedotto) di cui al vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere, in assenza di attività difensiva da parte degli intimati, alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sestra civile – 3 della Corte suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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