Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18255 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19448-2018 R.G. proposto da:

IL SOLE 24 ORE SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIA 86/90, presso lo

studio dell’avvocato MAURIZIO CORAIN, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO TESTA;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

STEFANO CHIUSOLO, MARIO ANTONIO FEZZI;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

MILANO, depositata il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, che chiede

respingersi il proposto regolamento di competenza.

Fatto

RILEVATO

che la società IL SOLE 24 ORE spa ha proposto ricorso per regolamento di competenza avverso tre ordinanze del Tribunale di Milano, giudice del Lavoro:

– la prima, in data 21.5.2018, veniva resa nel giudizio n. 2473/2018, introdotto da M.A. nei confronti del datore di lavoro IL SOLE 24ORE spa, con il rito di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e ss. per la impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli con lettera del 19.2.2018; con la ordinanza gravata il giudice del lavoro disponeva la trasmissione del fascicolo al Presidente di Sezione per le sue valutazioni, in quanto il datore di lavoro aveva opposto la litispendenza rispetto ad altro giudizio pendente presso il medesimo Tribunale, con il n. 1858/2018, già introdotto dal datore di lavoro, con il rito ordinario, per l’accertamento della legittimità del medesimo licenziamento;

– la seconda e la terza ordinanza, emesse dal giudice del Lavoro in data 12.6.2018 nei due procedimenti in questione, disponevano la riunione del procedimento n. 2473/2018 al proc. n. 1858/2018, previa trasformazione del rito di cui agli artt. 414 c.p.c. e ss. nel rito di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1;

che M.A. ha depositato memoria di risposta;

che le conclusioni del Pubblico Ministero sono state comunicate alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c.;

che M.A. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la società ricorrente ha dedotto con l’attuale regolamento:

1) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., per la mancata dichiarazione della litispendenza, con conseguente cancellazione dal ruolo della causa introdotta dal lavoratore, in quanto successiva;

2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., assumendo che, in ogni caso, il secondo giudizio, avviato dal lavoratore, avrebbe dovuto essere sospeso;

3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 40 c.p.c.; nullità del provvedimento. Si espone che, pur in assenza di un formale provvedimento del Presidente di Sezione, dallo storico del fascicolo risultava la riassegnazione del procedimento n. 2473/2018 “per connessione propria” mentre – non essendo stata proposta alcuna questione di connessione, nè dalle parti nè dal giudice, nel termine previsto dall’art. 40 c.p.c. – era precluso il rilievo della connessione tra le due cause.

4) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 273 e 274 c.p.c., per omessa audizione delle parti prima della adozione del provvedimento presidenziale di riassegnazione; si deduce altresì la violazione dell’art. 151 disp. att. c.p.c.;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare inammissibile il proposto regolamento di competenza.

Pacifica è la identità dei fatti e delle domande proposte nei due giudizi pendenti, a parti formalmente invertite, davanti al medesimo Tribunale di Milano; i due procedimenti, già assegnati a giudici diversi, sono stati riassegnati dal Presidente della sezione Lavoro al medesimo giudice e da quest’ultimo riuniti.

Perchè possa darsi regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., occorre che: a) sia posta, in concreto, una “questione di competenza”; b) il giudice a quo abbia pronunciato su tale profilo processuale. Nella specie non è stata affatto in discussione una questione di competenza, poichè essa presuppone la diversità tra l’ufficio giudiziario dinanzi al quale l’attore ha introdotto il giudizio e l’ufficio giudiziario di cui la controparte o il giudice assumono, invece, la competenza. Si è verificata, piuttosto, la riproposizione del medesimo giudizio, con un rito diverso, davanti al medesimo ufficio giudiziario. In tale eventualità, diversamente da quanto assunto dalla società ricorrente, non vi è neppure una questione di litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c. nè di connessione di cause ai sensi dell’art. 40 c.p.c. in quanto entrambe le norme si riferiscono alla sola ipotesi in cui le due cause (identiche ovvero connesse) siano proposte davanti a giudici diversi.

In sostanza, i provvedimenti impugnati hanno per oggetto esclusivamente: il primo, la assegnazione degli affari al magistrato all’interno del medesimo ufficio giudiziario e, gli altri due, la riunione delle cause; trattasi di provvedimenti ordinatori rispetto ai quali non è proponibile regolamento di competenza;

che, pertanto, il regolamento va dichiarato inammissibile; le spese, liquidate in dispositivo, vanno a carico del ricorrente secondo il principio di causalità; non ricorrono, invece, le condizioni di cui all’art. 96 c.p.c.;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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