Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18253 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21504-2017 proposto da:

CASEIFICIO VALMOLISE DEI FRATELLI D.P. SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato ALDO PINTO, rappresentata

e difesa dall’avvocato ANTONIO GUIDA;

– ricorrente –

contro

N.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE POLA

3, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARIA DE CANDIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO PIZZUTI, MAURIZIO

OCCHIONERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 302/2016 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 05/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 2 dicembre 2016 – 5 aprile 2017 numero 302 la Corte d’Appello di Campobasso accoglieva parzialmente l’appello della società CASEIFICIO VALMOLISE DEI F.LLI D.P. srl (in prosieguo: il caseificio o la società) e per l’effetto riduceva l’importo delle somme dovute dalla società all’agente di commercio N.D. (da Euro 26.443,04 ad Euro 17.702,79); nel resto rigettava l’appello. Compensava le spese per metà e condannava l’appellante a pagare le spese per la residua parte;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che il Tribunale aveva operato una ricostruzione della vicenda coerente con le risultanze processuali e condivisibile.

La società aveva esercitato il recesso dal rapporto di agenzia senza motivarlo con una giusta causa; nella lettera di recesso (del 23 settembre 2008) il caseificio non faceva menzione di alcun inadempimento dell’agente come ragione del recesso.

Spettava, pertanto, all’agente la liquidazione dell’indennità di mancato preavviso.

Non era dovuto invece l’importo del FIRR (Euro 8740,25), che risultava già versato da ENASARCO sicchè la somma per cui era condanna nel primo grado andava corrispondentemente ridotta.

Per il resto, la sentenza appellata doveva essere confermata, per le argomentazioni indicate dal Tribunale sia riguardo all’accoglimento degli altri capi di domanda del N. che quanto al rigetto della domanda riconvenzionale del caseificio, non superate dai motivi dell’appello;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso il caseificio, articolato in tre motivi, cui ha opposto difese N.D. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione degli artt. 112 e art. 336 c.p.c. per omessa pronuncia sulla propria domanda di restituzione delle somme già versate in esecuzione della sentenza di primo grado in caso di sua riforma.

La società ha esposto di avere proposto la domanda con la memoria autorizzata (del 17 ottobre 2016) nonchè nel corso della udienza di discussione (del 2 dicembre 2016), come dal verbale depositato con il presente ricorso, offrendo prova documentale dell’avvenuto versamento, di cui aveva dato comunque atto anche il difensore di controparte.

Ha dedotto che la Corte territoriale, pur avendo accolto parzialmente l’appello riducendo la condanna di Euro 8.740,25, non aveva statuito sulla restituzione;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione alla pronuncia sulle spese.

Ha impugnato la sentenza per averla condannata alle spese, per la quota del 50%, benchè parzialmente vittoriosa in appello nonchè per avere compensato la residua quota del 50% in assenza del presupposto della soccombenza reciproca;

– con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2, per omessa pronuncia sui motivi di appello.

La ricorrente ha dedotto che la sentenza d’appello si era limitata a recepire acriticamente la decisione del primo grado, senza porla a confronto con i motivi dell’impugnazione. Si era assunto:

– con il primo motivo di appello, la violazione da parte dell’agente dell’obbligo di non concorrenza pattuito con il contratto di agenzia (alla lett. d), per avere egli costituito nel corso del rapporto la società DALMOLISE (marchio quasi identico a quello della VALMOLISE) con la quale aveva svolto attività nel medesimo settore. L’appello evidenziava, altresì, la svista in cui era incorso il giudice del primo grado laddove aveva ritenuto che due testi escussi fossero dipendenti della VALMOLISE laddove essi erano dipendenti del N.. Si assumeva, inoltre, che il fatto che alcune fatture fossero state emesse dal caseificio nei confronti della società DALMOLISE non dimostrava la conoscenza dell’attività concorrenziale dell’agente e che, comunque, non era tale da superare il divieto di concorrenza.

Si impugnava, altresì, la sentenza del Tribunale per avere fondato la condanna al pagamento dell’indennità di mancato preavviso sul mancato rilievo dell’inadempimento dell’agente nella lettera di recesso laddove non vi era alcuna norma che prescrivesse l’obbligo di immediata motivazione, in quanto all’agente non sì applicavano le norme in tema di licenziamento.

– con il secondo motivo, che l’indennità di mancato preavviso non era dovuta non soltanto per il grave inadempimento del N. ma anche perchè nel contratto di agenzia si era stabilito che esso potesse essere risolto da una delle parti mediante lettera raccomandata con termine di preavviso di sessanta giorni. La domanda dell’agente era invece fondata sul termine di preavviso di sei mesi previsto dall’Accordo Economico Collettivo; trattandosi di lavoro autonomo, l’accordo individuale era prevalente sulle pattuizioni collettive.

Si deduceva, inoltre, che non era dovuta all’agente l’indennità suppletiva di clientela: l’art. 12.2 dell’Accordo Economico Collettivo 2002 prevedeva che nessuna indennità suppletiva potesse essere richiesta dall’agente quando il contratto si scioglieva per fatto a lui imputabile;

– con il terzo motivo si impugnava la sentenza del Tribunale per non avere accolto la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per violazione degli obblighi contrattuali.

che ritiene il Collegio si debbano accogliere il primo ed il terzo motivo del ricorso, assorbito il secondo;

che invero:

– quanto al primo motivo, la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di restituzione proposta dall’appellante in corso di causa ai sensi dell’art. 336 c.p.c. La parte controricorrente assume la tardività della domanda e richiama sul punto la giurisprudenza di questa Corte relativa alla improponibilità della domanda di restituzione con la comparsa conclusionale. Orbene – (a prescindere dal preliminare rilievo della specialità del rito del lavoro nel quale non vi è la distinzione, a fondamento della richiamata giurisprudenza, tra l’udienza di precisazione delle conclusioni ed il deposito della comparsa conclusionale) – v’è da rilevare che la Corte territoriale ha del tutto omesso la pronuncia sulla domanda senza affatto esprimersi, neppure implicitamente, sulla sua eventuale tardività.

– quanto al terzo motivo, da esaminare prioritariamente rispetto al terzo secondo l’ordine di pregiudizialità, il rigetto dei motivi di appello è fondato nella sentenza impugnata su una motivazione del tutto apparente, consistente nella dichiarata condivisibilità e coerenza della ricostruzione operata nella sentenza appellata. La sentenza manca invece di rispondere alle ragioni dell’appello, relative tanto ai capi di domanda accolti (indennità sostitutiva del preavviso ed indennità suppletiva di clientela) che al rigetto della domanda riconvenzionale: la assunta possibilità di dimostrare la giusta causa del recesso anche in corso di causa, il dedotto travisamento della prova testimoniale, la affermata persistenza dell’obbligo di non concorrenza, la applicabilità del termine di preavviso pattuito nel contratto individuale.

Ricorre, dunque, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza, sussitente allorquando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure (tra le tante, Cassazione civile, 21/12/2018 n. 33354; 18/06/2018, n. 16057; 07/04/2017, n. 9105).

che, pertanto, conformemente alla proposta del relatore, la causa può essere definita con ordinanza in camera di Consiglio ex art. 375 c.p.c., provvedendosi all’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso; resta assorbito il secondo, relativo ad una statuizione dipendente dalla pronuncia cassata;

che la causa va rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte d’Appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese del presenta grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia- anche per le spese- alla Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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