Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18250 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 24/06/2021), n.18250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 70/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

T.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Nicola Senatore,

con domicilio eletto in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 289,

presso lo studio dell’Avv. Silvana Panzera;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 5602/4/2014 depositata il

5 giugno 2014;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 25 marzo 2021

dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò ad T.A. – esercente l’attività di “gestore” della raccolta delle giocate effettuate mediante apparecchi per il gioco lecito di cui al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 10 giugno 1931, n. 773; TULPS), art. 110, comma 6, per il concessionario di rete telematica (di proprietà dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ora incorporata nell’Agenzia delle dogane e dei monopoli) Atlantis World Group of Companies N.V. (poi B Plus Giocolegale Limited) – un avviso di accertamento con il quale accertò, con riferimento al periodo d’imposta 2007, un maggior reddito d’impresa non dichiarato di Euro 405.669,00 (con le conseguenti maggiori IRPEF e Addizionali regionale e comunale all’IRPEF e IRAP);

il maggior reddito accertato corrispondeva alla differenza tra i compensi dichiarati dal contribuente (pari a Euro 125.657,00) e l’importo risultante dalla comunicazione effettuata tramite la rete telematica da Atlantis World Group of Companies N. V. (nella quale gli importi corrisposti da tale concessionario al contribuente per l’attività di “gestore” da lui svolta erano indicati in Euro 530.725,74);

l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provincale di Salerno (hinc anche: “CTP”) che rigettò il ricorso del contribuente con la motivazione (riportata nella sentenza impugnata) che, “(a)lla luce di quanto sopra, va interpretata la nota della “B Plus gioco legale limited” (fornita dal ricorrente) che, quale concessionario di rete, precisa che quanto corrisposto equivale alla “remunerazione dei soggetti incaricati” che si intende riconosciuta congiuntamente al Gestore e all’Esercente, precisando che il compenso riconosciuto al Gestore (nella fattispecie, il T.) è determinato dalla differenza tra la remunerazione dei soggetti incaricati e il compenso riconosciuto all’Esercente che, a sua volta, viene determinato sulla base di quanto previsto dal relativo contratto con il Gestore. E in questo senso, mentre potrebbe risultare, sul piano pratico, verosimile la ricostruzione del ricorrente, va comunque considerato che la stessa non trova, però, alcun elemento probante a sostegno. Infatti, nessun elemento viene fornito circa l’eventuale corresponsione di quote agli esercenti, nè vengono esibiti i contratti che disciplini(no) i rapporti del T., gestore, con i propri esercenti,

nè fatture o ricevute che diano prova effettiva della trasmissione del denaro dal gestore all’esercente, per cui tutti i ricavi derivanti dai

Concessionari di rete e comunicati anche all’Amministrazione dei Monopoli, finiscono per essere, in questo caso giustamente, accreditati alla ditta che li ha ricevuti. L’onere della prova ricade, infatti, interamente sul contribuente, il quale è chiamato a “chiarire” la posizione assunta dall’Ufficio, derivante da dati oggettivi, fornendo, nella circostanza, elementi concreti che diano l’esatta prova e corrispondenza di divisione di proventi. A nulla giovano le dichiarazioni, se non sono suffragate da debita documentazione comprovante le proprie argomentazioni difensive”;

avverso tale pronuncia, T.A. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (hinc anche: “CTR”) che – dopo avere rigettato le eccezioni di inammissibilità, sollevate dall’Agenzia delle entrate, del ricorso in appello e della produzione dei documenti a esso allegati (in particolare, delle copie dei contratti conclusi dal concessionario della rete telematica con il “gestore” T. e con gli “esercenti”) – rigettò l’impugnazione del contribuente con la motivazione che “(r)itiene, inoltre, l’Ufficio che i contratti esibiti dalla parte costituiscono solo una parte di quelli posti in essere tra Concessionario – Gestore – Esercenti – e ciò traendo tale interpretazione dall’asserzione del ricorrente “a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo” – A giudizio di questo decidente tale interpretazione trova negazione nell’aggiunta (data, appunto, la standardizzazione dei contratti stessi) e nei contratti depositati in n. di 14, evidentemente gli unici vigenti all’epoca. Posto che risulta pacifico che quanto preteso dal ricorrente in sede di accertamento è infondato e che l’unica prova certa della corresponsione dei corrispettivi agli esercenti da parte del Concessionario per il tramite del Gestore T. in qualità di mandatario all’incasso delle somme dovute ai diversi Esercenti è unicamente rappresentata dai contratti allegati all’atto di appello. Considerato, altresì, di poter condividere quanto asserito dal giudice di prime cure in relazione alla ricostruzione del compenso come ricostruito dal ricorrente (cfr. ultima pagina della sentenza impugnata “mentre potrebbe risultare, sul piano pratico, verosimile la ricostruzione del ricorrente,”. Si può ragionevolmente accogliere la conclusione dell’appellante nella quale si legge che “la comprovata gestione privatistica degli accordi tra le parti in causa (Concessionario – Gestore – Esercente) che prevedono, ai sensi di legge, una ripartizione dei compensi tra Concessionario e Gestore, ma anche, come ampiamente dimostrato, tra Gestore ed Esercente, costituisce la piena giustificazione del disallineamento tra i dati dichiarati quali compensi percepiti per l’anno di imposta 2007 rispetto a quelli forniti dalla società concessionaria del servizio tramite la rete telematica di proprietà della AAMS quali importi corrisposti nel corso del 2007”;

avverso tale sentenza – depositata in segreteria il 5 giugno 2014 e non notificata – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 17 dicembre 2014, a due motivi;

T.A. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, per essere la stessa “mancan(te) di motivazione e, in ogni caso, (…) fondata su motivazione del tutto apparente e comunque non plausibile, consistita in un generico riferimento alla documentazione da controparte depositata e dall’Ufficio contestata” – in particolare, in quanto, “per stessa ammissione di controparte, erano stati depositati “a titolo esemplificativo e non esaustivo” soltanto alcuni dei contratti tra il gestore e gli esercenti, e (in quanto) al fine di dimostrare l’infondatezza della pretesa impositiva controparte avrebbe dovuto fornire quantomeno un elenco nominativo degli esercenti e del numero di apparecchi collocati presso di essi” -, senza “la benchè minima disamina del contenuto di quella documentazione, e sulla base di un inspiegato giudizio di verosimiglianza delle ragioni difensive addotte dall’appellante”;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, per avere la CTR annullato in toto l’avviso di accertamento anzichè “quantificare la pretesa impositiva nel suo esatto ammontare”, in particolare, detraendo dall’ammontare attribuibile al “gestore” (che questi, nel ricorso introduttivo, aveva indicato in Euro 458.159,05), al netto del prelievo erariale unico (PREU), l’importo corrispondente alla misura del compenso riconosciuto agli “esercenti” nei contratti con essi conclusi dal concessionario;

il primo motivo non è fondato;

i concessionari di rete telematica per la gestione degli apparecchi per il gioco lecito di cui al TULPS, art. 110, comma 6 (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 14-bis, comma 4, che ne ha previsto l’individuazione con procedure a evidenza pubblica) possono effettuare la raccolta delle giocate avvalendosi, invece che della propria organizzazione, di “terzi incaricati della raccolta” (così la L. 30 dicembre 2014, n. 311, art. 1, comma 497, che ha stabilito l’applicazione dell’esenzione dall’IVA di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 1, n. 6, “anche relativamente ai rapporti tra i concessionari della rete per la gestione telematica ed i terzi incaricati della raccolta”);

a questo proposito, il decreto del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato del 17 maggio 2006 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 7 luglio 2006, n. 156), adottato in attuazione della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 533, nell’individuare i “(r)equisiti dei terzi (eventualmente) incaricati della raccolta delle giocate mediante apparecchi con vincite in denaro”, ha definito “attività di raccolta delle giocate” le attività “strumentali all’offerta del gioco” e, in particolare, le “attività omogenee” consistenti: a) “nella messa a disposizione degli apparecchi e nelle azioni per il funzionamento degli stessi presso i punti di vendita con modalità conformi alle prescrizioni normative in materia”; b) “nella raccolta e nella messa a disposizione del concessionario, a scadenze concordate, dell’importo residuo”, costituito “dalla differenza tra le somme giocate e le vincite erogate” (art. 1, comma 2, lett. c e f);

tali attività fanno capo a soggetti che, nella prassi del settore, sono qualificati, rispettivamente, “gestore” ed “esercente”, i quali le svolgono, su incarico del concessionario, sulla base di (distinti) accordi contrattuali conclusi con lo stesso, i quali stabiliscono anche il relativo corrispettivo, in genere quantificato in una percentuale delle somme giocate tramite ciascun apparecchio (per tale prassi operativa, tra l’altro, circolare dell’Agenzia delle entrate, 13 maggio 2005, n. 21/E, punto 7, nonchè risposta della stessa Agenzia delle entrate 9 luglio 2019, n. 226);

è infine utile rammentare che, ai sensi del D.M. economia e delle finanze 12 marzo 2004, n. 86, art. 4, adottato in attuazione del D.P.R. n. 640 del 1972, art. 14-bis, comma 4, le somme giocate tramite ciascun apparecchio o videoterminale di gioco sono così ripartite: a) alle vincite è destinata una percentuale non inferiore al 75%, relativamente a ciascun ciclo complessivo di partite; b) al PREU è destinata una percentuale del 13,5% del costo di ciascuna partita; c) alla remunerazione delle attività connesse alla gestione degli apparecchi e videoterminali di gioco e delle funzioni della rete telematica, comprese le spese di gestione direttamente sostenute dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, è destinata una percentuale non superiore all’11,5%, relativamente a ciascun ciclo complessivo di partite;

tanto premesso, va ricordato che Cass., S.U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054 hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, con l’ulteriore precisazione che tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

la sentenza impugnata ha ritenuto che la somma di Euro 530.725,74, risultante dalla comunicazione effettuata tramite la rete telematica da Atlantis World Group of Companies N. V., non potesse essere attribuita interamente al T., quale compenso dell’attività di “gestore” da lui svolta per detto concessionario, in quanto dai depositati contratti, contenenti una disciplina negoziale standardizzata, conclusi tra il concessionario, il T. e i vari “esercenti”, risultava che il compenso riconosciuto dal concessionario agli “esercenti” era corrisposto agli stessi tramite il T., nella qualità di loro mandatario all’incasso delle relative somme, il che, nel confermare quanto già ritenuto “verosimile” dalla CTP – sulla base, in particolare, della nota di B Plus Giocolegale Limited che aveva precisato che la “”remunerazione dei soggetti incaricati” (..) s’intende riconosciuta congiuntamente al Gestore e all’Esercente” – giustificava la non corrispondenza (“disallineamento”) tra i compensi dell’attività di “gestore” dichiarati dal contribuente e gli importi comunicati dal concessionario;

tale motivazione della CTR non può ritenersi nè mancante (essendo materialmente esistente), nè apparente (recando argomentazioni che sono obiettivamente idonee a fare conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento) nè “non plausibile” (essendo ragionevole da un punto di vista logico) e costituisce piuttosto manifestazione della discrezionalità legittimamemente spettante al giudice di merito nella valutazione delle prove e nell’apprezzamento dei fatti (art. 116 c.p.c.);

da ciò discende l’infondatezza del primo motivo; il secondo motivo è fondato, nei termini che seguono;

nel definire i caratteri propri della giurisdizione tributaria, questa Corte, il cui orientamento al riguardo è ormai consolidato, ha chiarito che, dalla natura del processo tributario – il quale è annoverabile non tra quelli di “impugnazione-annullamento” bensì tra i processi di “impugnazione-merito”, poichè è diretto non alla mera eliminazione (giuridica) dell’atto impugnato ma, estendendosi la cognizione al rapporto d’imposta, alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria – discende che, qualora il giudice tributario reputi invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullarlo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e ricondurla alla misura corretta, entro i limiti posti dalle domande di parte (tra le tante, Cass., 28/06/2016, n. 13294, 23/12/2020, n. 29364);

applicando tale principio al caso di specie, ne discende che, una volta reputata l’invalidità dell’avviso di accertamento impugnato per il motivo, di carattere sostanziale, che i maggiori compensi, accertati in misura pari all’importo risultante dalla comunicazione effettuata dal concessionario, non erano interamente attribuibili al contribuente in quanto dai contratti tra il concessionario, il T. e i vari “esercenti” risultava che il compenso riconosciuto dal primo agli “esercenti” era corrisposto agli stessi tramite il T., la CTR non poteva limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento, ma doveva esaminare nel merito la pretesa tributaria e ricondurla alla misura corretta, in particolare, determinando i ricavi detraendo dall’ammontare complessivo del compenso riconosciuto dal concessionario ai soggetti da esso incaricati della raccolta delle giocate, il “gestore” T. e i vari “esercenti”, la parte percentuale che, sulla base dei medesimi contratti, fu corrisposta agli “esercenti” tramite il T. (tanto più che questi – come scritto a pag. 2 del controricorso – nel ricorso alla CTP aveva riconosciuto che “i ricavi (…) risultavano pari a Euro 197.286,35”, a fronte dei dichiarati Euro 125.057,00);

contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso, tale riconduzione della pretesa tributaria alla misura corretta non era impedita dalla circostanza che l’Agenzia delle entrate “non (aveva) formulato, sia in primo grado che in secondo grado, una domanda tesa a sollecitare una sentenza sostitutiva rispetto all’atto di accertamento, ossia non ha chiesto, anche in subordine, che fosse accertato, per la condanna, una maggiore o minore somma dovuta”, atteso che la richiesta di conferma integrale della pretesa impositiva – avanzata dall’Agenzia delle entrate – consente al giudice, senza incorrere in ultrapetizione, di accogliere anche solo parzialmente la domanda, riducendo, anzichè confermare integralmente, la pretesa impositiva dell’amministrazione finanziaria (Cass., 10/09/2020, n. 18777);

pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al secondo motivo, rigettato il primo motivo, e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, affinchè, esaminata nel merito la pretesa tributaria, la riconduca alla misura corretta e provveda altresì a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo, rigettato il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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