Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18250 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 20/02/2019, dep. 05/07/2019), n.18250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24725-2017 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA VALENTE,

CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA, EMANUELA CAPANNOLO;

– ricorrente –

contro

C.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIORGIO SCALIA,

12, presso lo studio dell’avvocato VALERIO GALLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIUSEPPE LOGUERCIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO

LUIGI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 18.4.2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che, ritenuto comprovato il requisito della permanenza continuativa sul territorio nazionale, aveva accolto la domanda di assegno sociale proposta da C.K.;

che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che C.K. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, l’INPS denuncia violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 6-7 (come modificato dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 10, conv. con L. n. 133 del 2008), per avere la Corte di merito riconosciuto il diritto dell’istante all’assegno sociale nonostante che non vi fosse prova della sua permanenza continuativa sul territorio nazionale;

che, con il secondo motivo, l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al D.P.R. n. 554 del 2000, art. 3, comma 4, per non avere la Corte territoriale sollecitato la produzione in giudizio di idonea certificazione sostitutiva del passaporto, onde accertare i periodi di effettivo allontanamento dall’Italia;

che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione del tenore delle censure svolte, e sono inammissibili, risolvendosi, al di là della deduzione della violazione delle disposizioni di legge richiamate in rubrica, in una critica del giudizio di fatto espresso dalla Corte di merito in ordine alla permanenza ultradecennale dell’odierna controricorrente sul territorio nazionale e, in specie, all’inidoneità dell’arco temporale di assenza individuato dall’INPS (circa sette mesi non continuativi) a costituire elemento decisivo per ritener interrotta la continuatività del soggiorno (cfr. pagg. 4-5 della sentenza impugnata);

che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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