Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18249 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 02/09/2020), n.18249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24309-2016 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE MEDAGLIE

D’ORO 72, presso lo studio dell’avvocato CIUFO STUDIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ACHILLE MARIA VELLUCCI;

– ricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2977/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/04/2016, R.G.N. 293/2014;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

B.A. adiva il Tribunale di S. Maria Capua Vetere onde conseguire la condanna del Condominio (OMISSIS) Sito in (OMISSIS) – presso quale espletava attività di portiere – al pagamento della somma di Euro 28.390,41 a titolo di differenze retributive relative al periodo 1986-2007.

Ritualmente instaurato il contraddittorio con il Condominio, il Tribunale dichiarava nullo il ricorso.

Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 19/4/2016, dichiarata l’inammissibilità della domanda, concernente la maturazione dei crediti azionati in relazione al periodo successivo al deposito del ricorso, condannava la parte appellata al pagamento della somma di Euro 3.280,81, e compensava per due terzi le spese del doppio grado per il residuo poste a carico della parte appellata.

Dopo aver scrutinato il quadro istruttorio acquisito in giudizio, il giudice del gravame ha ritenuto acclarato il diritto a percepire l’indennità pulizia scale, reputando invece prive di riscontro probatorio le ulteriori domande intese a conseguire l’indennità di esazione bollette condominiali, uso del citofono con centralino interfono, riscaldamento, reperibilità; ha quindi dichiarato inammissibile la domanda proposta in sede di memoria conclusionale di primo grado – attinente alla maturazione dei crediti azionati con l’atto introduttivo del giudizio, relativamente all’epoca successiva al deposito del ricorso – in quanto integrante “una circostanza nuova ed estranea al giudizio già incardinato”.

Avverso tale decisione B.A. interpone ricorso per cassazione affidato a sette motivi illustrati da memoria.

Il Condominio intimato non ha svolto attività difensiva.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 414 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Ci si duole che i giudici del gravame abbiano dichiarato l’inammissibilità della domanda relativa ai crediti azionati in relazione ad epoca successiva al deposito del ricorso introduttivo.

Si deduce l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito sul rilievo che la domanda descritta non introduceva, un nuovo tema di indagine rispetto a quello prospettato in sede di ricorso introduttivo del giudizio e non integrava, pertanto, una ipotesi di mutatio libelli sanzionabile con declaratoria di inammissibilità, bensì una ipotesi di mera emendatio, essendo stata la domanda limitata al pagamento delle ulteriori somme maturate per il medesimo titolo posto a fondamento del ricorso introduttivo del giudizio.

Si insiste poi nel sostenere, per gli stessi motivi, l’ammissibilità delle domande “introdotte con i nuovi c.c.n.l. succedutisi in corso di causa (indennità di 2 ingresso)”.

2. motivo non è ammissibile.

Ed invero, deve rimarcarsi, in via di premessa, che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il Contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in Quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di specificità che lo governa, di cui quello di autosufficienza è coronario (vedi ex aliis, Cass. 13/11/2018 n. 29093, Cass. 4/10/2018 n. 24340).

Il principio è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione; ne deriva che il ricorso deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi o ad atti concernenti il progresso giudizio merito.

Nello specifico, il ricorrente intende confutare la statuizione resa dalla Corte di merito – di inammissibilità per novità della domanda azionata dal B. nel corso del giudizio di primo grado, in relazione ai crediti maturati in epoca successiva al deposito del ricorso – argomentando in ordine alla insussistenza di una mutatio libelli.

Prospetta l’erroneità della interpretazione resa dai giudici del gravame sul rilievo che si verterebbe in tema di “domanda conseguenziale dipendente dall’unico fatto dedotto con il ricorso introduttivo”, aggiungendo che secondo la giurisprudenza di legittimità la richiesta di somme maggiori rispetto a quelle indicate con tale atto, quando, come nella fattispecie, non introduca “un tema d’indagine diverso rispetto a quelli prospettati con l’atto iniziale di giudizio”, non si traduce in una inammissibile mutatio libelli.

Omette, tuttavia, il ricorrente, di riportare il tenore dell’atto introduttivo del giudizio e della successiva istanza di pagamento delle somme per i crediti relativi ad epoca successiva al ricorso, otre che di individuare la sequenza procedimentale entro la quale tale domanda era stata inserita.

In buona sostanza, la doglianza, come formulata, disattende i summenzionati requisiti di specificità che governano il ricorso per cassazione giacchè non reca precisa indicazione dei fatti (anche processuali) sottesi al vizio denunciato, mediante trascrizione del contenuto nel ricorso e delle ulteriori domande proposte, così non consentendo a questa Corte di vagliarne la fondatezza; nè si producono in giudizio gli atti della cui erronea valutazione, ci si duole, così vulnerandosi i dettami di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

La critica, per la genericità che la connota, si palesa, dunque, inidonea ad inficiare la statuizione di inammissibilità della domanda relativa ai crediti azionati in relazione ad epoca successiva ai deposito del ricorso, resa dai giudici del gravame.

Del pari inammissibile, per le ragioni innanzi esposte, è la censura concernente la domanda di indennità aggiuntiva per lo stabile dotato di più ingressi, introdotta con il del 2008.

Della richiesta di tale indennità manca, peraltro, ogni menzione nella sentenza impugnata, sicchè deve rimarcarsi la ricorrenza di un’ulteriore ragione di inammissibilità” per novità, della censura, in conformità all’insegnamento di questa Corte secondo cui, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi ai giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (vedi ex plurimis, Cass. 24/1/2019 n. 2038).

3. Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè vizio di motivazione.

Si lamenta che il giudice del gravame sia incorso in errore nella interpretazione dei contratti collettivi di settore, in riferimento alle differenze paga concernenti le singole voci richieste, essendosi limitato ad addurre una motivazione del tutto carente e contrastante sia con il dato letterale che con la comune intenzione delle parti.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e vizio di motivazione.

Si critica la statuizione con la quale la Corte ha rigettato la domanda inerente al servizio di esazione, ritenendolo non provato.

A confutazione di tali approdi si deposita una nota sottoscritta dall’amministratore del 5/2/1996 da cui si evince lo svolgimento, almeno sino al gennaio 1996, del servizio riscossione bollette.

5. Il quarto motivo concerne violazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e vizio di motivazione. Si deduce l’erroneità della pronuncia di rigetto della domanda attinente alla indennità di citofono. Si sostiene che, ai sensi dell’art. 20 c.c.n.l. di settore, sarebbe spettata la relativa indennità in relazione ad ogni pulsante citofonico in quanto, durante l’orario di servizio, egli era tenuto comunque ad avvisare i condomini.

6. Il quinto ed il sesto motivo, sempre sotto il profilo del vizio di violazione di legge e di motivazione, attengono alla indennità di riscaldamento (quinto motivo) ed alla indennità di reperibilità (sesto motivo) con riferimento alla prospettata erronea esegesi delle disposizioni collettive di riferimento.

7. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ci si duole dei regime delle spese applicato dal giudice del gravame il quale aveva disposto la compensazione nella misura di due terzi; si deduce invece che l’accoglimento parziale dell’appello, avrebbe giustificato la compensazione delle stesse nella misura del 50%, criticandosi altresì la disposta quantificazione “del tutto riduttiva rispetto alle tariffe vigenti”.

8. I motivi dal secondo al sesto, che prospettano una erronea esegesi delle disposizioni collettive di settore e possono, pertanto, congiuntamente trattarsi presupponendo la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.

Non può innanzitutto tralasciarsi di considerare che le doglianze presentano profili di inammissibilità connessi alla tecnica redazionale adottata, essendo i motivi simultaneamente volti a denunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. 23/10/2018 n. 26874, Cass. 23/6/2017 n. 15651; Cass. 28/9/2016, n. 19133; Cass. 23/9/2011 n. 19443).

9. Non può poi, sottacersi che, in quanto espressamente fondate sulla regolamentazione offerta al rapporto controverso dal contratto collettivo nazionale di settore (dipendenti dei proprietari di fabbricati), le censure presentino profili di improcedibiiità.

E’ bene rammentare in proposito, che nell’ambito della contrattazione di lavoro privato, la conoscenza del giudice-interprete è consentita mediante l’iniziativa della parte interessata, da esercitare attraverso le modalità proprie del processo, non essendo previsti i meccanismi di pubblicità che assistono la contrattazione di lavoro pubblico (cfr. Cass. SS.UU. 12/10/2009 n. 21558, Cass. 4/11/2009 n. 23329).

Nell’ottica descritta, e secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, l’onere del deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, può dirsi soddisfatto non già solo con e deposito dell’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche con il deposito del testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. (vedi Cass. S.U. 23/10/2010 n. 20075, Cass. 4/3/2015 n. 4350, Cass. 4/3/2019 n. 6255). Tali adempimenti valgono a definire compiutamente le modalità di collaborazione, cui il giudice e le parti sono chiamati a seguito delle riforme di semplificazione processuale attuate dal legislatore, e a delineare, in tale ambito, specifici doveri di comportamento, non meramente formalistici, finalizzati alla conoscenza e al reperimento immediato degli atti e, più in generale, alla più ampia garanzia dell’azione e del contraddittorio (in termini: Cass. 25/11/2010 n. 23920).

Nella specie il ricorrente non ha specificato nel ricorso per cassazione, come prescritto dall’insegnamento innanzi ricordato, l’avvenuta produzione, tantomeno in forma integrale, dei contratto collettivo sui quali si fondano i motivi; nè ha trascritto le deposizioni che si assumono non correttamente interpretate, mostrando e censure, sotto tale profilo, evidente carenza di specificità (vedi ex plurimis, Cass. 13/11/2018 n. 29093).

Le critiche formulate appaiono carenti anche sotto tale profilo non sottraendosi, pertanto, ad un giudizio di inammissibilità.

10. Il settimo motivo, attinente al governo delle spese del doppio grado del giudizio di merito, va, del pari, disatteso.

Non può non riscontrarsi la assoluta genericità della doglianza laddove si deduce la violazione celie norme in materia di liquidazione delle spese processuali per irrisorietà degli importi, giacchè il ricorrente, secondo l’onere che sullo stesa gravava (cfr. Cass. 10/1/2006 n. 146) non ha specificato gli errori commessi dal giudice e precisate le voci inerenti ad onorari e diritti che si ritenevano violate.

Neanche è ammissibile la critica attinente alla misura della disposta compensazione delle spese.

La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, potere che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (vedi Cass. 20/12/2017 n. 30592).

In definitiva, alla stregua delle considerazioni sinora esposte, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese inerenti al presente giudizio di legittimità, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

 

 

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