Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18247 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 02/09/2020), n.18247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 728-2015 proposto da:

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati FERDINANDO PALUMBO e ANTONIO

IACONETTI;

– ricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L.;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NOLA, depositata il 21/11/2014,

R.G.N. 6992/2013.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 21 novembre 2014, il Tribunale di Nota rigettava l’opposizione, proposta da S.N., ai sensi dell’art. 98 L. Fall., avverso lo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., dal quale era stato escluso in particolare il suo credito di Euro 37.804,53 a titolo di T.f.r., ad esso insinuato, per carenza di prova e di legittimazione attiva, siccome da richiedere direttamente al Fondo di erogazione del T.f.r. ai lavoratori dipendenti del settore privato ex lege n. 296 del 2006, trattandosi di azienda con oltre cinquanta dipendenti;

2. esso ha analiticamente ricostruito il sistema, a seguito dell’istituzione del Fondo di erogazione del T.f.r. ai lavoratori dipendenti del settore privato, con la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755 ss. il D.M. 30 gennaio 2017 e varie note e circolari Inps (tra le quali, in particolare, la n. 70/2007), sulla fondamentale distinzione delle imprese:

a) con meno di 49 dipendenti, presso le quali il T.f.r. rimane effettivamente accantonato;

b) con un numero superiore, nelle quali esso è versato nel Fondo di Tesoreria gestito dall’Inps, dal quale il lavoratore può ritirarlo alla fine del rapporto e regolato ai sensi dell’art. 2120 c.c.: con il conferimento, in caso di mancata scelta del lavoratore, al fondo pensione di categoria o di adesione della maggior parte dei lavoratori; e versamento del T.f.r., in assenza di un fondo di categoria, dall’Inps al Fondinps (fondo di pensione residuale);

3. la prestazione pensionistica, con le note Inps n. 17020/2012, n. 2057/2012 e n. 2837/2014 in riferimento alla procedura concorsuale del datore di lavoro, è stata in particolare regolata con un articolato sistema (di previsione, in epoca successiva al 31 dicembre 2006, dell’insinuazione dei lavoratori, licenziati da imprese obbligate al versamento del contributo al Fondo di Tesoreria, allo stato passivo del Fallimento del datore per il T.f.r. maturato a tale data) di erogazione del T.f.r. a carico del Fondo, eventualmente (in caso di quota non conguagliata dai contributi versati dal datore) in esito ad accertamenti ispettivi e con intervento, su richiesta del lavoratore e nella ricorrenza dei presupposti ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 5, comma 2 del Fondo di Garanzia presso l’Inps;

4. in esito all’operata ricostruzione del sistema, il Tribunale ha quindi ritenuto la legittimazione del Fondo di Tesoreria, previa dichiarazione di incapienza della procedura da parte del curatore o dei suindicati accertamenti, nel caso di impresa con numero di dipendenti superiore ai 49, all’erogazione del T.f.r. al lavoratore: con la sua conseguente carenza di legittimazione all’insinuazione allo stato passivo del credito per T.f.r.; e ciò sull’accertato presupposto del suindicato limite dimensionale dell’impresa fallita, contestato dal predetto;

5. avverso il decreto, con atto notificato il 22 dicembre 2014, il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, mentre la curatela fallimentare intimata non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755 ss. e art. 2120 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’esatta determinazione dell’organico aziendale, inferiore alle 49 unità (comportante la soggezione al regime di accantonamento effettivo del T.f.r. presso l’impresa datrice, qualora il lavoratore opti espressamente per la non adesione alla previdenza complementare gestita da Fondinps e, in entrambi i casi, l’ammissione allo stato passivo del fallimento datoriale) alla data del 31 dicembre 2006, elemento discretivo per l’applicazione dal 1 gennaio 2007 del regime del T.f.r.: dovendo questo, nel caso di impresa con un numero di lavoratori invece superiore, essere versato nel Fondo di Tesoreria gestito dall’Inps, con la conseguente legittimazione del lavoratore all’insinuazione allo stato passivo del datore fallito, per riceverne la diretta corresponsione;

1.1. chiarita la tipologia contrattuale computabile dei lavoratori in essa impiegati, egli si duole pertanto dell’inesatto accertamento da parte del tribunale del requisito dimensionale dell’impresa per la mancata ammissione, senza una sufficiente motivazione, delle istanze istruttorie intese all’esibizione del libro unico contenente il numero dei dipendenti e delle relative mansioni dal 1 luglio 2010 alla data di fallimento, nonchè dell’iscrizione al fondo ex lege n. 297 del 2006 della società fallita, di Vitulli Italia s.a.s. e di Servit s.r.l. (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

3. occorre premettere l’obbligo di versamento del T.f.r. tempo per tempo maturando al Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ai sensi dell’art. 2120 c.c., istituito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755 con effetto dal 1 gennaio 2007, da parte dei datori di lavori con non meno di 50 dipendenti (art. 1, comma 756 L. cit.), secondo le modalità stabilite, a norma dal D.M. 30 gennaio 2007, n. 11536, art. 1, comma 757, sempre che i lavoratori non manifestino la volontà di conferirlo a forme pensionistiche complementari;

4. non è configurabile la violazione di legge denunciata, in assenza di una corretta deduzione del vizio, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) e che postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso; sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035); essendo poi noto che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa sia esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisca alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155);

5. parimenti inconfigurabile è il vizio motivo, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), in assenza dell’omesso esame di un fatto storico, che invece è stato esaminato e valutato, con ragionamento congruente (all’ultimo capoverso prima della parte dispositiva, a pg. 7 del decreto);

5.1. la denuncia si risolve piuttosto in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria del giudice di merito, con la sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità ove compiuti con adeguata argomentazione, come appunto nel caso di specie; pure in assenza di una specifica confutazione, in esito al ragionamento probatorio svolto dal Tribunale, della mancanza di offerta dall’opponente di una prova contraria: con evidente riflesso sulla genericità del motivo, in violazione del principio prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860); altresì risultando analogo difetto di specificità, in violazione del principio prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, tuttavia sotto il profilo di mancata trascrizione delle istanze istruttorie asseritamente formulate (nonostante il tribunale abbia argomentato anche dalla mancata sconfessione delle risultanze probatorie valutate “dalla prova contraria che l’opponente in questa sede non ha offerto”: così all’ultima parte dell’ultimo capoverso sopra citato), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e quindi delle prove stesse (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con principio affermato ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., comma 1; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 10 agosto 2017, n. 19985);

6. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di provvedimenti sulle spese del giudizio, non avendo la curatela fallimentare vittoriosa svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

 

 

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