Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18244 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 16/09/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 16/09/2016), n.18244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDACIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1994/2012 proposto da:

L.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA POGGIO CATINO 6, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

GRAZIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SABATO TUFANO;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO 32,

presso lo studio dell’avvocato MAURO CAPONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO FIORDORO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2483/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato BIANCHI Antonio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato TUFANO Sabato difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti depositati;

udito l’Avvocato FIORDORO Antonio, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso con condanna aggravata alle spese.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato 1’11.7.2001, A.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Torre Annunziata L.G. chiedendo di accertarsi che le opere edilizie realizzate nella proprietà della convenuta violavano la normativa comunale sulla distanza tra edifici e per l’effetto condannare la medesima alla riduzione in pristino mediante demolizione delle opere illegittime, ovvero il loro arretramento alla distanza legale.

Parte attrice, inoltre, chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni arrecati con le opere illegittime, quantificati nell’importo di Lire 50,000.000, o da determinare nella diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria, con vittoria delle spese di lite.

Instauratosi il contraddittorio, L.G. contestava la fondatezza di quanto dedotto da controparte, chiedendo il rigetto delle domande proposte con vittoria delle spese di lite.

All’esito dell’istruttoria, espletata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza depositata il 26.3.2007, accertata la violazione della normativa sulle distanze da parte della convenuta, condannava la L. al ripristino dello status quo ante mediante demolizione del balcone e del manufatto realizzato sul cortile o loro arretramento alla distanza di mt. 5 dal confine. Condannava la convenuta al pagamento delle spese di lite.

Avverso la suddetta decisione proponeva appello la L., chiedendo che, previa sospensiva, fosse dichiarata la nullità della sentenza gravata, ovvero il difetto di giurisdizione del giudice adito, accertando inoltre che la costruzione della convenuta non violava il disposto dell’art. 873 c.c.; chiedeva altresì che, dichiarata la nullità degli atti ex art. 301 c.p.c., fosse disposta una nuova c.t.u. e riammessa la prova per testi.

Si costituiva l’ A. contestando la fondatezza dei motivi di gravarne, di cui chiedeva il rigetto; proponeva inoltre appello incidentale, lamentando che la sentenza impugnata si era discostata immotivatamente dalla stima dei danni operata dal consulente e chiedeva che tali danni fossero rideterminati computando tutte le voci considerate dal perito d’ufficio.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata in data 30 giugno 2011, ha respinto le impugnazioni. In particolare, la Corte d’appello ha escluso il difetto di giurisdizione, attenendo la controversia al rispetto delle distanze legali tra costruzioni private.

Contro la sentenza, L.G. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui resiste con controricorso A.A..

Nell’approssimarsi dell’udienza entrambe le parti hanno depositato, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., memorie.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

I.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia il difetto di giurisdizione ex art. 360 c.p.c., n. 2. In particolare, la ricorrente fa osservare che la Corte d’appello non ha preso in considerazione che l’appellato, accanto alla reintegra nel proprio diritto, aveva esperito anche un’azione risarcitoria per il danno patito a seguito della costruzione abusiva, in seguito condonata. Pertanto, in presenza di un provvedimento amministrativo di condono, rispetto al quale l’interesse tutelabile è quello pretensivo, la domanda risarcitoria andava proposta dinanzi al Giudice Amministrativo.

Il motivo è infondato.

Il giudizio riguarda una controversia tra privati.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell’art. 873 c.c., il condono edilizio, esplicando i suoi effetti sul piano dei rapporti pubblicistici tra P.A. e privato costruttore, non ha incidenza nei rapporti tra privati, i quali hanno ugualmente facoltà di chiedere la tutela ripristinatoria apprestata dall’art. 872 c.c., per le violazioni delle distanze previste dal codice civile e dalle norme regolamentari integratrici (Cass. 6 febbraio 2009, n. 3031)

2.- Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la nullità della sentenza per il mancato riconoscimento del criterio di prevenzione per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3.

Con il medesimo motivo parte ricorrente lamenta, altresì, la mancata ammissione della nuova c.t.u. richiesta in appello.

Il motivo è del tutto infondato.

La Corte territoriale ha dato correttamente conto della risultanza che il regolamento edilizio del Comune di Torre Annunziata prevede, per la zona B (ove si trovano i manufatti per cui è causa) una distanza minima delle costruzione di cinque metri dal confine.

Nel detto strumento urbanistico mancano prescrizioni che prevedono la possibilità di costruire in aderenza: pertanto è esclusa la possibilità di costruzione in base al principio della prevenzione con conseguente violazione, nella fattispecie, della normativa sulle distanze legali.

In proposito non può che rammentarsi e ribadirsi il condiviso orientamento più volte affermato da questa Corte, secondo cui “allorquando i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, detta prescrizione deve intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, della operatività del criterio cosiddetto della prevenzione” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 22 febbraio 2007, n. 4199).

Inammissibile è, poi, la censura riguardante la mancata rinnovazione della consulenza.

In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a dispone una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (da ultimo, Cass. n. 17693 del 19/07/2013).

Per di più la formulata censura, nel caso di specie, non è articolata con la dovuta indicazione delle parti della consulenza che avrebbero dovuto indurre i giudici del gravame a disporre un nuovo accertamento tecnico.

In punto, quindi, la medesima censura è anche carente sotto il profilo del compiuto adempimento degli oneri connessi all’ossequio del noto principio di autosufficienza.

Si sarebbe, infatti, dovuto procedere – ad onere della parte ricorrente – alla riproduzione diretta del contenuto dei documenti fondanti, secondo l’allegata prospettazione, la censura mossa all’impugnata sentenza (Cass. civ., Sez. 5, Sent. 20 marzo 2015, n. 5655).

Il motivo in esame deve, perciò, essere respinto.

3.- Il ricorso va, dunque, rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e Si determinano così come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in” favore del contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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