Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18240 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/07/2017, (ud. 15/06/2017, dep.24/07/2017),  n. 18240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13532-2016 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO CALCAGNI;

– ricorrente –

contro

D.B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO

CARO, 63, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MARINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ELVIO FORTUNA ed AMILCARE

LAURIA;

– controricorrente –

nonchè contro

COMUNE DI TERAMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1299/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/06/2017 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 25/11/2015, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto da D.B.E., e in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da C.E. diretta alla condanna del D.B. e del Comune di Teramo al risarcimento dei danni subiti dall’attrice a seguito di una caduta verificatasi a causa dell’inciampo all’interno di un’area adibita a parcheggio pubblico catastalmente intestata al D.B.;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il fatto dannoso dedotto in giudizio dalla C. doveva integralmente ricondursi alla responsabilità della danneggiata, il cui comportamento colposo, nel porsi quale causa esclusiva dell’evento, aveva assunto i tratti del caso fortuito idoneo a escludere ogni responsabilità del custode dell’area;

che, avverso la sentenza d’appello, C.E. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi d’impugnazione;

che D.B.E. resiste con controricorso;

che il Comune di Teramo non ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i due motivi di ricorso proposti, la C. censura la sentenza impugnata per errore di fatto su un punto essenziale della controversia, nonchè per violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., per avere la corte territoriale proceduto in modo erroneo alla ricostruzione del fatto e del comportamento della ricorrente, essendo giunta all’attribuzione alla C. dell’esclusiva responsabilità nella causazione del fatto sulla base di premesse fattuali totalmente sfornite di riscontro sul piano probatorio;

che entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili;

che, al riguardo – premessa l’irriconducibilità del primo motivo di doglianza ad alcuno dei vizi tipici individuati dall’art. 360 c.p.c., come denunciabili in sede di legittimità (e dunque come tale non proponibile in questa sede), osserva il collegio come l’odierna ricorrente, al di là della prospettazione della seconda censura articolata in ricorso sotto il profilo della violazione di legge, risulta aver complessivamente richiamato, a fondamento di entrambe le doglianze avanzate, l’esame delle risultanze di causa con riguardo alla (da lei ritenuta) più esatta ricostruzione dei profili della causalità dell’evento dannoso e della colpa della danneggiata, al fine di comprovare l’erronea ricognizione, da parte della corte territoriale, della fattispecie concreta e non già l’erronea lettura di una fattispecie normativa astratta, unica rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3;

che tale impostazione critica – neppure coinvolgendo l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso (insistendo la ricorrente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dello stesso, rispetto a quanto operato dal giudice a quo) – rimane del tutto estranea alla logica di prospettazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, come tale inammissibilmente sollevato in questa sede, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che all’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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