Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18237 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 05/09/2011), n.18237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Marra Alfonso Luigi, che la rappresenta e difende per

procura in atti.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domicilialo in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma del 3 giugno 2008

nel procedimento n. 53038 del Ruolo generale Affari diversi 2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 2 marzo 2011 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, doti. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato:

LA CORTE:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

IL CONSIGLIERE RELATORE;

letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. G.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 3 giugno 2008, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 1.400,00 a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo avente ad oggetto accessori su prestazioni previdenziali, instaurato con ricorso depositato il 19 ottobre 1993 e definito con sentenza di primo grado del 5 maggio 1995. impugnata in appello il l’11 novembre 1995, a cui aveva fatto seguito sentenza di appello del 22 maggio 1998, impugnata con ricorso per cassazione del 26 febbraio 1999, deciso con sentenza del 4 luglio 2001. con riassunzione del giudizio il 14 marzo 2002 e con prima udienza fissata all’11 aprile 2005;

1.1. il Ministro intimato ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Napoli ha accollo la domanda nella misura di Euro 1.400.00, in ragione di Euro 700.00 per anno di ritardo, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del giudizio di rinvio superiore di due anni termine ragionevole, stabilito in un anno, ravvisata invece la ragionevole durata del giudizio di primo grado in tre anni e quella dei giudizi di appello e di cassazione in due anni ciascuno;

3. la ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo sedici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione tornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

– la mancata considerazione della natura previdenziale della causa, ai fini della determinazione in due anni del termine ragionevole di durata de processo di primo grado e in un anno e sei mesi ciascuno del termine ragionevole di durata del processo di appello e di cassazione (secondo motivo):

– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza, sulla base di carente motivazione, dei parametri Europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (motivi da tre a sette);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, de bonus di Euro 2.000.00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di lavoro (ottavo e nono motivo);

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, senza indicare le voci tariffarie applicabili, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e dalla Corte di Cassazione in sede di annullamento senza rinvio, e disattendendo i minimi tariffari e la nota spese depositata e con erronea applicazione, con vizio di motivazione, delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontarie giurisdizione, anzichè i giudizi ordinati dinanzi alla Corte d’appello (motivi da dieci a sedici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

– il secondo motivo appare manifestamente fondato, in quanto secondo i parametri fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo i termini di ragionevole durata sono determinati in tre anni per il giudizio di primo grado, due anni per quello di appello, e un anno per il giudizio di cassazione e per il giudizio di rinvio, fermo restando, comunque, che, per quanto riguarda il termine ragionevole di durata delle cause di natura previdenziale, la violazione del termine stesso non può discendere in modo automatico dall’accertata natura della controversia e dall’inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 2004/6856; 2005/19204; 2005/19352);

– i motivi da tre a sette appaiono manifestamente infondati, in quanto è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

inoltre la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 700,00 per anno di ritardo non si discosta in maniera irragionevole da quella calcolata in base ai parametri stabiliti dalla CEDU e dalla giurisprudenza di questa Corte (Euro 750,000 per i primi tre anni di durata non ragionevole ed Euro 1.000.00 per ogni successivo anno di ritardo); inoltre è vincolante, per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile a periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597;

2008/14);

– appaiono manifestamente infondate anche le doglianze di cui all’ottavo e nono motivo; deve infatti tenersi conto che non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411;

2008/6898);

– restano assorbite dilli”accoglimento del secondo motivo le censure sulla liquidazione delle spese processuali (motivi da dieci a sedici);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che. in base alle considerazioni che precedono, dichiarato inammissibile il primo motivo e rigettati i motivi da tre a nove, meriti accoglimento il secondo motivo, con assorbimento dei motivi da dieci i sedici:

che il decreto impugnato deve essere cassato e che, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere rinviala ad altro giudice.

che si individua nella Corte di appello di Roma in diversa composizione.

che esaminerà il ricorso tenendo conto di quanto in precedenza rilevato in punto di determinazione della ragionevole durata del giudizio, e regolerà anche le spese della presente fase di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta i motivi da tre a nove: accoglie il secondo motivo, assorbiti i motivi da dieci a sedici. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e rinvia anche per le di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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