Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18236 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 05/09/2011), n.18236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.G., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Marra Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma del 26 maggio 2008

nel procedimento n. 56095/2006 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 2 marzo 2011 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato;

LA CORTE:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata al difensore della ricorrente:

IL CONSIGLIERE RELATORE;

letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. M.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 26 maggio 2008, con il quale la Corte di appello di Roma ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 5.920,00 a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo avente ad oggetto interessi su prestazioni previdenziali, instaurato davanti alla Pretura di Napoli con ricorso depositato il 15 febbraio 1994 e definito con sentenza di primo grado del 2 maggio 1996, impugnata in appello il 7 febbraio 2007 davanti al Tribunale di Napoli, che ha deciso con sentenza del 13 aprile 2005;

1.1. il Ministro intimato non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 5.920,00, in ragione di Euro 800,00 per anno di ritardo, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo di appello superiore di sei anni e due mesi al termine ragionevole, stabilito in anni due;

3. la ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU”(primo motivo);

– la mancata considerazione della natura previdenziale della causa, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata del processo (secondo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza, sulla base di carente motivazione, dei parametri Europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (terzo e quarto motivo);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di lavoro (quinto e sesto motivo);

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, senza indicare le voci tariffarie applicabili, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e dalla Corte di Cassazione in sede di annullamento senza rinvio, e disattendendo i minimi tariffari e la nota spese depositata e con erronea applicazione, con vizio di motivazione, delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello (motivi da sette a tredici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

– il secondo motivo appare manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello, ai fini della determinazione del termine ragionevole di durata, determinando in due anni la ragionevole durata del processo di appello, si è attenuta ai criteri di valutazione indicati dalla L. n. 89 del 2001, in conformità ai parametri fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo un ragionevole criterio di valutazione che resiste alle infondate critiche della ricorrente, considerato comunque che la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dall’accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 2004/6856; 2005/19204; 2005/19352);

– il terzo e quarto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14);

inoltre la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 80,00 mensili, pari ad Euro 960,00 per anno di ritardo, è nel caso di specie superiore a quella calcolata in base ai parametri stabiliti dalla CEDU e dalla giurisprudenza di questa Corte (Euro 750,000 per i primi tre anni di durata non ragionevole ed Euro 1.000,00 per ogni successivo anno di ritardo, per un importo complessivo di Euro 5.420,00); inoltre è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597;

2008/14);

– appaiono manifestamente infondate anche le doglianze di cui al quinto e sesto motivo; deve infatti tenersi conto che non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411 ;

2008/6898);

– le censure sulla liquidazione delle spese processuali (motivi da sette a tredici) appaiono manifestamente fondate nella parte in cui viene lamentata l’inosservanza della tariffa professionale, mentre restano assorbite le ulteriori doglianze sul punto;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo e vanno rigettati i motivi da due a sei, mentre meritano accoglimento i motivi da sette a tredici, nei termini di cui in motivazione, con conseguente annullamento del decreto in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna del Ministero della giustizia al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dal l’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352);

ritenuto altresì che le spese del giudizio di cassazione – da liquidarsi come in dispositivo con compensazione nella misura dei due terzi, atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso e limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito – vanno poste a carico del Ministero soccombente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta i motivi da due a sei; accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da sette a tredici.

Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 (cinquantamila) per spese, oltre a spese generali e accessori di legge. Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, compensate per due terzi, che si liquidano per l’intero in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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